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Gaetano Salvemini, Francesco Picca e la società di pubblica assistenza di Molfetta nei giorni del colera del 1910
15 gennaio 2006

Nell'agosto 1910 si verificarono in Puglia alcuni casi di colera. Gaetano Salvemini, che dopo essere stato a Molfetta nel mese di luglio era in vacanza a Boscolungo Pistoiese sull'Abetone, alle prime avvisaglie del male si mise subito a disposizione della Pubblica Assistenza di Molfetta, e chiese al Presidente dell'Associazione, prof. Mauro Magrone, "se fosse necessaria la sua cooperazione", raccomandando, nel contempo, di non dare pubblicità alla sua offerta. In quei giorni Salvemini scrisse anche ai suoi due più cari amici di Molfetta: Adelchi Valente e Francesco Picca, al quale ultimo egli comunicò il 29 agosto: "Io scrissi a Valente che in caso di necessità desidero di essere avvisato telegraficamente per venire costà. Lo stesso ho scritto a Mauro Magrone. Lo stesso dico a te. Non mi piace fare sacrifici inutili. Ma se a Molfetta il personale di assistenza e di sorveglianza attuale non basta e occorrerà farne venire di fuori, desidero di esserci anch'io. Mi sentirei offeso e disonorato, se, prima di venire i Lombardi e i Romagnoli a correre in vostro aiuto, non fossi avvisato io. Spero che tu non farai prevalere su questo sentimento fondamentale altri sentimenti più affettuosi a mio riguardo" (v. lettera "a un amico di Molfetta", in “G. Salvemini, Carteggio 1910”, a cura di Sergio Bucchi, Lacaita, Manduria 2003). In risposta a Salvemini, Francesco Picca, che soleva ospitarlo spesso a Molfetta, scrisse il 2 settembre: "Carissimo Gaetano, la tua lettera e cartolina sono arrivate qui alle 20 del 31 e portate a casa alle 11 del 1° corr. quando io ero in campagna; quando mi sono ritirato era impossibile trovare Magrone, col quale solo di sera mi è riuscito avere un colloquio. Sono andato a trovarlo all'Ufficio di polizia dove risiede il Consiglio di salute pubblica, diretto dal deputato Pansini e da certo Commendator Fiore della Croce rossa, mandato dal Ministero. Il Magrone stava per spedirti una lettera, in cui dopo riconfermati i sensi di gratitudine si conchiude: "E' però mio dovere dichiarare che il personale attivo di pronto soccorso (Pub. assistenza) e l'infermeria (Croce rossa) è sufficientissimo ai pochi casi giornalieri. Urgendo il bisogno di persone a un tempo valide ed autorevoli, nell'aiuto e nel consiglio, prima chiamerò telegraficamente Vostra Signoria Illustrissima". Questa lettera serbo presso di me per ogni buon fine e intanto giudica tu se poteva telegrafarti diversamente, sconsigliandoti dal venire, giacché alla direzione del movimento non potresti essere adibito essendo quello assorbito da Pansini e da quel Commendatore; per l'opera materiale di assistenza: cura, sorveglianza ecc. ve ne sono già troppi, né i casi sono più di 2 a 3 al giorno e come pare accennano a diminuire. E allora la tua presenza qui in tali condizioni non avrebbe altra mira che quella di evitare la facile critica degli eroi a buon mercato ovvero di suscitare dei pettegolezzi tra te e Pansini, dei quali tu faresti le spese e il grosso degl'imbecilli si godrebbe la festa. Poiché questo non è nelle tue intenzioni non credo valga la pena per sì poca cosa di allontanarti per ora da quel luogo, di cui hai tanto bisogno per la tua salute, affrontare il disagio non lieve di questa stagione e con questi caldi soffocanti; quindi per ora non muoverti. In appresso se ci sarà bisogno non mancherò di chiamarti; e verrai a casa anche se dovessimo continuare a trovarci in questo disordine attuale, perché figurati nella tua stanza vi è la vasca da bagno, i barili dell'acqua minerale, il lettino per dopo il bagno, in un'altra stanza vi è una catasta di sacchi di mandorle, e poi in un'altra una suora, rimasta qui sequestrata. Ciò non ammette che tu venendo a Molfetta possa andare altrove che non fosse casa mia" (lettera inedita in “Archivio G. Salvemini”, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze). Così rassicurato, Salvemini rimase in attesa di una chiamata da Molfetta in caso di bisogno, che non arrivò mai. Ciò non avrebbe avuto alcuna conseguenza se egli, venuto a Molfetta ai primi di ottobre per altri suoi motivi, non avesse descritto i tumulti avvenuti in città il 29 settembre, per protesta contro le procedure di disinfestazione anticolerica messe in atto dalle autorità cittadine. Infatti, dopo che "La Domenica del Corriere" del 9 ottobre aveva dedicato a quei tumulti la copertina illustrata da Achille Beltrami, Salvemini scrisse l'articolo “I tumulti di Molfetta”, che fu pubblicato ne "La Voce" del 20 ottobre (ora riprodotto nell'edizione feltrinelliana “Movimento socialista e questione meridionale”, di G. Salvemini). Di questo numero della rivista diretta da Giuseppe Prezzolini egli chiese di mandare venti copie per ciascuno ai due rivenditori della città (Spadavecchia e De Pinto) e altre duecento copie contro assegno al Dott. Saverio Cirillo della Sezione socialista di Molfetta, la quale si sarebbe incaricata della vendita (cfr. Carteggio cit., p.255). La Società di Pubblica Assistenza di Molfetta, sentendosi dileggiata da quell'articolo, fece circolare il 29 ottobre un foglio volante in cui si accusava, tra l'altro, Salvemini di non essere venuto a Molfetta nei giorni del colera. “Col vostro articolo 'I tumulti di Molfetta' si dice infatti nella “Lettera aperta al prof . Gaetano Salvemini” stampata per la circostanza - avete dileggiato questa Società di Pubblica Assistenza servendovi d'informazioni false e di esagerazioni! Noi - dicono i Consiglieri della Società - ora intingiamo la penna per respingere le accuse inique contenute nel vostro libello. Diteci dunque, perché non veniste fra noi (. . . ) quando il Presidente vi rispose che sareste stato il benvenuto?" Invece, "voi rimaneste al fresco de' monti toscani, e il vostro dispaccio di offerta, a vostro dispetto, fu reso pubblico dalla stampa: diventò un'epopea!!. (. . . ) Aspettare di essere chiamati a prestare opera di carità, che potrebbe costare la vita - continuano a dire gli stessi Consiglieri -, significa desiderare di non essere chiamati. Chi sente amore di prossimo va, corre senz'altro! Eppure noi avemmo il coraggio d'invitarvi, ma voi non veniste perché non voleste venire; il vostro telegramma di offerta era stato già pubblicato!". Di questo telegramma non si conosce però la pubblicazione, come non è ancora possibile conoscere il testo del foglio volante pubblicato il 1° novembre 1910 da Francesco Picca per smentire le accuse rivolte a Salvemini. Il volantino, stampato dalla Tip. Candida di Molfetta, e indirizzato “Al Presidente della Pubblica Assistenza”, contiene la lettera di Salvemini scritta il 29 agosto al Picca e quella ad Adelchi Valente "offrendo i suoi servizi alla città di Molfetta colpita dal colera". Citato da Michele Cantarella, “Bibliografia salveminiana 1892-1984” (Bonacci, Roma 1986, p. 46, 47, 307) e nell' “Inventario dell'Archivio G. Salvemini”, curato da Stefano Vitali (Roma 1998, p. 717), il foglio è di non facile reperimento, perché l'unica copia conosciuta è conservata tra le “Carte di Salvemini” presso l'Harvard University in America. La lettera di Salvemini al Picca, del 29 agosto, insieme a quella del Presidente della Pubblica Assistenza, che, Francesco Picca "serbò presso di sè per ogni buon fine", furono rese note poi ne "La Voce" del 10 novembre 1910 (“Per i tumulti di Molfetta”), per smentire anche da quella sede le voci del volantino diffamatorio. Riprodotta anch'essa nel cit. “Carteggio 1910”, la lettera del Presidente Magrone, datata Molfetta 1° settembre, dice nella parte iniziale, dove sono “riconfermati i sensi di gratitudine” a cui accenna il Picca: “Chiarissimo Sig. Prof. Gaetano Salvemini, in conformità del telegramma trasmesso, questi Sig.ri Consiglieri (della Società di Pubblica Assistenza), commossi, confermano con la presente i sensi di ammirazione e gratitudine per la prova pietosa e fraterna di dedizione di V. S. I. nel voler accorrere in sollievo di quanti soffrono. La proposta è degna dell'Uomo, espressione di vera filantropia esplicata nell' ombra e non a base di osanna" (...). Un concreto atto di filantropia Salvemini farà comunque a Molfetta nei giorni di Natale del 1910, stipulando l'istrumento con cui donava il suolo di una sua cocevo1ina al "Petrullo" (via Baccarini) a scopo di un erigendo asilo infantile intitolata al decenne figlio Filippetto, perduto nel terremoto di Messina del dicembre 1908. Pasquale Minervini (Centro Studi Mo1fettesi)
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