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Furto al funerale Il racconto
15 marzo 2023

Le allucinazioni erano iniziate quella notte stessa in cui Alfredo, ladro da una vita, aveva rubato in quella casa. L’immagine del volto della signora compariva nei momenti più impensabili. Sul vetro del vecchio furgone si stagliava evidente il disegno di quella donna che appariva a bocca sgangherata senza denti in una smorfia a metà tra il dolore e la minaccia. Oppure dal barbiere, certo la vedeva solo lui, quell’icona minacciosa tornava questa volta ad occhi chiusi e con l’indice sulla bocca. Ancora, nella specchiera, col naso spappolato. Durava quel tanto che serviva ad ossessionare, impaurire, terrificare. Finanche riflessa nei vetri dei negozi, del bar, delle tabaccherie che Alfredo usava frequentare. %%% Rubare. Non l’aveva mai distolto da quel lavoro disonesto lo spettro della galera oppure l’idea che una crivellata di pallottole potesse tagliargli il filo della vita; lo stesso suo stile d’esistenza fatto di sconcezze, nascondimenti, travisamenti e prospettive ombrose più che di speranze ambìte, non avevano mai scalfito la sua durezza. Per Alfredo esistere significava rubare. La sua specializzazione erano i furti d’appartamento. La città era il suo piatto prediletto. Allampanato com’era riusciva ad inerpicarsi sui tubi dei palazzi, a sgattaiolare, ad incunearsi come un topo alla ricerca del suo formaggio. Non mancava alla sua professione maledetta la fase di studio: un vero professionista anche in questo. Il colpo contemplava sempre una fase di scelta della vittima, un pedinamento, una ricognizione territoriale, la distruzione preventiva delle videocamere laddove ve ne fosse stata la necessità, ma senza dare più di tanto all’occhio, dunque la scelta degli attrezzi e quella del momento opportuno per colpire. Ma da quella sera Alfredo si era trovato a fare i conti con qualcosa di paranormale. Era defunta la signora Alberta Mocassini, in città tutti la conoscevano. La chiamavano la sarta d’oro. Lei confezionava da una vita vestiti d’una eleganza sorprendente. Cinquant’anni di carriera d’una stilista ante litteram durante i quali la sua schiena si era curvata a forza di disegnare modelli, tagliare e cucire. In tanti le dicevano che se fosse vissuta a Milano avrebbe senz’altro sfondato nel campo della moda. Ma la grazia di Alberta nel creare vestiti le aveva procurato ricchezza, riconoscenza e benessere. Alfredo aveva atteso con trepidazione il giorno della sua dipartita sapendo che in quella casa c’era un po’ di tutto, una miniera che non poteva lasciar stare. La signora Alberta aveva consumato gli ultimi spiragli di vita, ormai novantenne, in casa tra le braccia di suo marito Franco. Lui le era stato sempre vicino dentro un ossequioso ed opaco esistere. Si era abituato ad essere da tutti riconosciuto come «Franco, u’ mérait della cucitora». Ebbene Alfredo conosceva Franco, qualche volta aveva giocato assieme a lui a biliardo, da giovani, quando già le loro strade erano profondamente divise. Franco a riscuotere gli affitti delle case comprate da Alberta ed Alfredo già impegnato nei gangli della malavita. Letti i manifesti funebri Alfredo, avendo già saputo anzitempo della grave malattia della sarta, era già pronto al furto. Il funerale si sarebbe officiato in Cattedrale, la Chiesa più grande della città. Ore sedici, aveva posizionato il suo furgone ed aveva atteso che tutti i parenti di Franco uscissero di casa. Nemmeno a dirlo! Tutto contrìto, avvolto in cappotti scuri il codazzo della famiglia e degli amici più intimi erano andati via. Alfredo aveva impegnato cinque minuti ad entrare in quella casa. Aiutato da due amici aveva giusto sbrecciato col “piede di porco” la porta dal telaio e si era portato all’interno, avvantaggiato dal fatto che nel palazzo vivesse un altro inquilino per giunta sordo. Avevano fatto razzia. Un autentico trasloco in pieno giorno. Potete immaginare l’ingordigia e la frustrazione della povertà che cosa avevano potuto fare nel cuore di quei ladri. Alfredo prima di uscire dalla casa della defunta aveva preso da una panca dell’ottocento pesantissima poiché letteralmente saldata al suolo, uno scrigno che portava all’interno un cuscinetto di velluto rosso con un brillante. Questo solo bastava a portarlo via da quella casa pago dell’opulente refurtiva. Potete anche qui capire quanto dolore abbia potuto provare il povero Franco nel tornare a casa affranto per la perdita della sua Alberta e nel trovare la casa a soqquadro, privata ormai delle cose più intime, dei ricordi più belli della sua musa. Il brillante regalatole alle nozze di diamante contrappuntato di bellissimi ricami era stato violentemente rubato! Espressione d’una saggezza manuale ed artistica che non ha pari, sotto il quale aveva deposto all’avanzare della sua malattia la dentiera di recentissima fattura, non c’era più! Alberta gli aveva chiesto perentoriamente di farla traghettare all’altro mondo con quella dentiera. Vuoi per vanità, vuoi per affetto, desiderava conservare la fisionomia naturale di una donna che non teme la morte, anzi pronta a mordere la polpa d’un nuovo destino se un nuovo destino ci fosse stato. E Franco se n’era dimenticato. Più della perdita del brillante gli procurava dolore la sua promessa non mantenuta. Alfredo, il ladro d’appartamenti è stato rinchiuso in una clinica psichiatrica. Vede volti di donna senza denti dappertutto. E per questo è costantemente sedato. Franco piange la perdita di sua moglie in riva al mare sperando che qualcuno trovi la macabra refurtiva: la sua dentiera. In uno stagno di campagna non lontano dalla città i girini mordono fragili steli di erba verde. La vita ricomincia sempre con un piccolo morso.

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