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Francesco Padre, processo riaperto: presunto bombardamento serbo-montenegrino. Primavera 2011, il recupero
21 ottobre 2010

TRANI – Presunta ritorsione montenegrina: nuova ipotesi per l’affondamento in acque internazionali del motopeschereccio Francesco Padre nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1994.

Conferenza stampa alla Procura di Trani per la riapertura delle indagini, concluse nel 1997 con l’archiviazione del caso. «Non poteva essere altrimenti – ha sottolineato il dott. Carlo Maria Capristo, procuratore capo della Repubblica di Trani (nella foto accanto ai procuratori Giuseppe Maralfa e Francesco Giannella) - per l’impossibilità di acquisire la documentazione specifica». Input decisivo le istanze dei legali delle parti offese (in particolare, la sig.ra Caterina Ragno, vedova di Luigi De Giglio, mai rassegnata alla verità ufficiale).
 
Tutto cambiato, nuovi documenti dalla Nato. «Cessato il segreto di stato, abbiamo rivolto delle rogatorie all’estero, acquisito attraverso i Carabinieri documenti NATO - ha spiegato il dott. Capristo - oggi sarà notificata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una richiesta ufficiale per ottenere i documenti della “Sharp Guard”, operazione di embargo del Montenegro, già acquisisti dalla Marina Italiana, ma non più classificati come in passato, dunque accessibili». Ordine esecutorio favorito anche dalla collaborazione di Cesare Previti, Ministro della Difesa nel 1994.
Escluso il veto di un possibile segreto di stato, posto dal Governo Berlusconi nel 2005: le dichiarazioni del Procuratore Capo lasciano presagire ampi margini di soluzione per un mistero intricato e drammatico.
Una svolta per i familiari dei marinai scomparsi, per la marineria molfettese e la città di Molfetta. Ottenere giustizia, cancellare l’accusa del traffico di armi, ridare dignità ai 5 marittimi morti, come “Quindici” chiede da tempo: il comandante Giovanni Pansini, il motorista Luigi De Giglio, il pescatore Saverio Gadaleta, il capopesca Francesco Zaza, il marinaio Mario De Nicolo (solo quest’ultimo ritrovato in superficie, in fondo al mare i resti degli altri uomini).
 
Maralfa, possibile ritorsione serbo-montenegrina. Una sterzata dalla rilettura giudiziaria dell’intervista del comandante Giovanni Pansini all’emittente televisiva Telemontecarlo, il 30 ottobre 1994, qualche giorno prima dell’affondamento. «Il comandante Pansini rivela che era in atto da parte di alcuni pescherecci di Molfetta e del basso Adriatico il trasbordo del pescato da navi montenegrine e serbe su pescherecci locali – riferisce il dott. Giuseppe Maralfa, sostituto procuratore della Repubblica - venduto nei mercati locali come pesce pescato su navi nazionali e locali».
Un traffico illegale che non coinvolge il Francesco Padre, vittima innocente di una possibile ritorsione delle organizzazioni criminali serbo-montenegrine per la denuncia pubblica del comandante Pansini, «che ha sempre rifiutato le tangenti di queste organizzazioni criminali, pari alla metà del valore del pescato».
Non si esclude la pista militare. «Continuiamo a indagare anche su quel versante, grazie alla declassificazione di molteplici documenti di provenienza Nato – ha ribadito il dott. Maralfa – ma non è possibile rivelare nessuna informazione».
L’accordo bilaterale con gli USA sulla cooperazione giudiziaria, in vigore 2006, potrebbe consentire l’acquisizione di un atto militare importante per la ricostruzione dei fatti: «la documentazione riguardante il volo dell’aereo pattugliatore che per primo avvistò il bagliore in mare e che provocò l’intervento della nave spagnola “Tramontana”, la prima sul luogo dell’affondamento». Dal tracciato radar, se esistente, si potrebbe apprezzare la traccia di un eventuale siluro o bomba che affondò il motopeschereccio: capire, insomma, se «l’esplosione andasse dall’esterno verso l’interno dell’imbarcazione, o fosse interna, come ipotizzato dalla prima indagine». Questo tracciato potrebbe smentire l’ipotesi della presenza a bordo di ordigni.
 
Precedenti di sequestro e attacco armato, crescono i sospetti. La tesi esposta dal dott. Maralfa è sostenuta da due episodi sospetti di sequestro di persona a scopo di estorsione e attacco armato.
Primo indizio, il sequestro di un marinaio laziale nel settembre 1994 (liberato il 12 novembre 1994), imbarcato a bordo di un peschereccio ufficialmente diretto a Anzio, ma partito da Molfetta verso il Montenegro. A bordo anche un molfettese (nomi omessi per segreto istruttorio). Caso archiviato, «per una serie di motivi che non cito per non arrecare nocumento all’investigazione».
Attacco armato il 2 giugno 1993 da parte di una motovedetta serbo-montenegrina. Oggetto della raffica di colpi un peschereccio di Manfredonia, Antonio e Sipontina (dal nome dell’armatore Antonio Salvemini e dalla moglie): a bordo il molfettese Antonio Gigante, morto per un proiettile all’inguine che ha reciso la vena aorta. Ennesima archiviazione dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunali di Bari su richiesta del Pubblico Ministero: «le autorità serbo-montenegrine si sono rifiutate di fornire il nome del comandante della motovedetta, a quanto pare processato dal tribunale militare serbo-montenegrino nel 1993 e assolto – il chiarimento del dott. Maralfa - in assenza dell’imputato, non è stato possibile procedere con il processo per omicidio volontario e colposo».
Avanzata una richiesta di rogatoria alle autorità serbe e montenegrine per ottenere informazioni sull’affondamento del Francesco Padre, fidando in un un dialogo più lineare e meno omertoso.
 
Possibile recupero di relitto e resti umani nel 2011. Costi notevoli, ma la Procura confida anche nell’impegno economico del Comune di Molfetta, come il sindaco-senatore-presidente Antonio Azzzollini ha dichiarato in una lettera ufficiale del marzo 2010. Preventivi ancora al vaglio. 930mila euro per la video ripresa, preliminare e necessaria al recupero del veicolo a 243m sotto il livello del mare, richiesti dalla società Impresub, autrice del video del 1996 (il mezzo delle riprese potrebbe entrare nell’imbarcazione attraverso le falle). Valutato anche il preventivo della Marina Militare di circa 50mila euro giornalieri per 10-15 giorni, con costi a carico del Ministero della Giustizia.
«Un recupero determinante ai fini dell’indagine, soprattutto per la ricostruzione tecnica – la chiosa del dott. Maralfa – da attuarsi al più tardi nella primavera del 2011, per evitare il moto ondoso invernale». Importante per ottenere precise indicazioni sull’esplosivo, se lanciato o trasportato, militare o civile. Infatti, l’indagine di due tecnici della Polizia di Stato di Roma sui 456 reperti riemersi lascia molti dubbi e incertezze in merito.
 
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Autore: Marcello la Forgia
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C'è uno strano ed assordante silenzio attorno a questa vicenda: questo forum ha visto e vede quotidianamente molte donne ed uomini dare il proprio contributo: perchè questo silenzio? La magistratura -come ha più volte detto il Presidente Napoletano- svolge un'attività soggetta alla critica dei cittadini, che nel loro insieme costituiscono il "popolo sovrano": se così non fosse essa non sarebbe un servizio, ma solo un potere.- E' evidente che sino ad oggi i PM che si sono occupati del caso hanno commesso errori madornali, ancora non sottoposti ad una revisione critica, che potrebbero causare una nuova archiviazione, se si riparte dalla "RITORSIONE SERBO-MONTENEGRINA".- Per noi, questo è un film già visto: a decine sono i sinistri marittimi, i morti, gli infortuni, le navi affondate o scomparse cariche di veleni o di armi, per i quali il silenzio è stata l' unica risposta.- E non a caso la notra sezione di MOLFETTA è presieduta da PEPPINO ADESSO, grande invalido del lavoro, che ha subito quasi quarant'anni fa un gravissimo infortunio che lo ha segnato nel corpo e nell'anima: per lui, nessun responsabile è stato condannato, anche se era chiaro a tutti dall' inizio che era coinvolta l'ENI quale società appaltante.- Essa aveva affidato i lavori per la posa delle catene per un campo boe al largo di Palermo ad una società che aveva una chiatta per trasporto merci, che calava le catenarie con un verricello saldato sul ponte: il suo collasso colpì al viso Peppino Adesso.-


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