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Fotti e chiagni, il grande bluff per ingannare i cittadini e giocare col rischio idraulico
15 ottobre 2019

Per dieci lunghi anni la vita e la politica della città di Molfetta sono stati ostaggio di due progetti entrambi finora abortiti. Uno di questi è stato il nuovo porto commerciale e su questo tanto si è detto. L’altro progetto abortito è stato il nuovo Piano degli insediamenti produttivi (detto Pip), il terzo piano di insediamento, appunto, dopo le prime due zone artigianali. Quello che è stato subito denominato Pip cioè la terza zona artigianale. Perché il Pip3 è abortito? Semplicemente perché era stato approvato nel lontano 2008 con una riserva: sarebbe stato valido solo se avesse ricevuto l’ok da parte dell’Autorità di Bacino ovvero quell’ente che dice se un progetto rischia di creare pericoli idraulici. Che significa? Semplice. Tutti ricordano nell’estate 2016 l’alluvione che causò ingenti danni alle aziende della zona artigianale e industriale. Tutti sanno che basta mezz’ora di pioggia abbondante e ininterrotta – le ormai famose “bombe d’acqua” – perché le nostre zone artigianali e industriali si allaghino con grande danno e pericolo per cose e persone. Perché avviene tutto ciò? Perché quando all’epoca si sono costruiti i fabbricati, i capannoni, le strade del primo e del secondo Piano di insediamenti produttivi (Pip1 e Pip2) e della zona Asi, non si è tenuto conto delle lame, dei flussi d’acqua, insomma, della conformazione del territorio. Diciamo sbrigativamente che all’epoca, tra anni Ottanta e Novanta, la consapevolezza del rischio idraulico non era diffusa. Poi le cose sono cambiate un po’, dopo alluvioni e alluvioni che disastravano e inghiottivano nel fango un paese dopo l’altro, Sarno ad esempio. Per cui ogni qualvolta bisogna realizzare grandi progetti – come una nuova zona artigianale – la legge obbliga i Comuni a ottenere un parere positivo riguardante la sicurezza idraulica. Allora iniziano le lamentazioni sui freni allo “sviluppo”, sui lacci e lacciuoli, sull’ecologia nemica dell’economia. Succede poi che se si costruisce in barba a questi pareri e raccomandazioni e – dopo qualche evento alluvionale – ci sono morti, ecco gli stessi che prima si lamentavano che si mettono a piangere, invocano i controlli, pretendono giustizia, organizzano campagne mediatiche e di raccolta fondi con i sempreterni messaggini di 1 euro. Insomma, il solito andazzo in cui si “chiagne e si fotte”, in cui chi ha fottuto, dopo si mette a piangere. E questo (mal)costume non riguarda solo i decisori, i cosiddetti politici, o i portatori di interessi economici privati ma anche larghe fasce di cittadini. Che non si pensi che esistono cittadini “naturalmente” buoni, politici “naturalmente” disonesti e imprenditori “naturalmente” speculatori. I politici insensibili e gli imprenditori disinteressati sono il prodotto quasi inseparabile di cittadini menefreghisti, sono di solito tutti uniti nel presente quanto richiedono “sviluppo, sviluppo, sviluppo senza se e senza ma”, e sono di solito altrettanto uniti nel futuro quando “dopo aver sviluppato senza se e senza ma”, si producono danni, morti e disgrazie e si permettono di recriminare, inveire, lamentarsi per le calamità “naturali”. Insomma, prima “fottono” insieme, dopo “chiagnono” insieme. Tornando alle vicende del Pip3 di Molfetta, ebbene questo parere positivo dal 2008 non è mai arrivato per il progetto della terza zona artigianale voluta dal centrodestra. Nel frattempi bracci di ferro istituzionali, carte bollate, progetti pagati per canaloni e canalini di mitigazione idraulica, quante campagne elettorali giocate a dire agli allocchi quanti nuovi posti di lavoro si sarebbero avuti. Risultato? Finora le zone artigianali 1 e 2 con tutta la zona Asi sono ancora zone a rischio. Quindi cosa ti va a pensare la nuova amministrazione “di centrodestra più il Pd” di Tommaso Minervini? Non è riuscito il Pip3? Qual è il problema, si propone un nuovo progetto. Il Pip 4 o Pip 3 e mezzo. Insomma, dopo dieci anni di perdita di tempo, si lancia in aria un nuovo pallone dietro cui far correre cittadini e imprenditori con speranze di lavoro e oro colato, anche perché ci sono le prossime campagne elettorali in cui, non essendo riuscita l’amministrazione “degli esperti” a sbloccare il porto, bisogna pur vendere qualche bidone agghindato come sogno di ricchezza. Nel consiglio comunale del 13 settembre scorso abbiamo assistito agli interventi di assessori e consiglieri di maggioranza che facevano già a gara per chi doveva prendersi il merito dei tanti posti di lavoro che avrebbero procurato. Ovviamente noi la pensiamo un po’ diversamente non foss’altro perché prima di consentire che la città venga infilata a forza dentro un altro bidone, ci basiamo su alcuni dati ufficiali reperiti presso gli uffici comunali per produrre alcune riflessioni che crediamo essere innanzi tutto di buon senso. L’amministrazione Minervini propone una nuova zona artigianale di circa 145.000 mq di suolo che verrebbe sottratto al suo impiego agricolo. La vecchia graduatoria del Pip3 era costituita da 86 aziende che richiedevano l’assegnazione di un suolo per costruire un capannone e insediarvi la propria impresa. Di queste 86 aziende, ben 21 sono rinunciatarie, liquidate, cancellate, cessate, escluse e fallite. Dunque le 86 imprese richiedenti si riducono a 65. Di queste 65 aziende soltanto 13 hanno confermato la richiesta di assegnazione di un suolo per una superficie totale pari a circa 32.000 mq. Ci sono poi altre 9 aziende non inserite nella graduatoria del Pip3 che hanno chiesto in questi anni un suolo per una superficie totale pari a circa 32.000 mq. Dunque, ricapitolando ci sarebbe una richiesta effettiva globale di suoli maturata in questi ultimi dieci anni pari a circa 64.000 mq. Inoltre, ci sono nelle prime due zone artigianali (Pip1 e Pip2) circa 23.000 mq di suolo non assegnati e non utilizzati. Quindi se ai 64.000 mq di fabbisogno di suoli chiesti dalle imprese, sottraiamo questi 23.000 mq che potrebbero essere assegnati nelle vecchie zone, il reale fabbisogno di suoli richiesto scende a circa 41.000 mq. Ebbene possiamo anche concedere che sopraggiungano altre richieste nei prossimi anni, diciamo fino al 50% delle richeste giunte finora (“ad abundantiam”) e che il fabbisogno di suolo salga fino a circa 60.000 mq. Si tratterebbe comunque sempre meno della metà dei 145.000 mq che l’amministrazione Minervini vuole ipotecare. Insomma, la riproposizione della solita megalomania del centrodestra, questa volta “più il Pd”. La solita tendenza bulimica al consumo di suolo, la stessa idea quantitativa di sviluppo senza nemmeno occuparsi e preoccuparsi della qualità dello sviluppo nelle nostre zone artigianali e industriale che ad oggi, dopo anni, rimangono sprovviste di interventi non invasivi di mitigazione del rischio idraulico e di strutture di servizio alle imprese insediate. Non c’è un ufficio postale né un ufficio bancario, non esiste un’area di parcheggio pubblica vigilata e connessa alla rete di trasporto pubblica. Al punto che qualche privato si inventa la creazione di nuovi posti auto da fittare ai lavoratori dei grandi call center presenti. Insomma, per farla breve, ancora una volta nulla di nuovo sotto il sole di Molfetta, così come i primi comizi inneggianti allo “sviluppo senza se e senza ma”. Gianni Porta

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