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Fotografi a Molfetta tra ‘800 e ‘900
15 marzo 2017

Roland Barthes scrive di “attaccamento a certe foto” in cui noi distinguiamo una area di interesse culturale e socioantropologico (studium), ma anche una “striatura imprevista” che attraversa le foto medesime (punctum): ecco che la fotografia, nella sua dimensione di contingenza pura, restituisce particolari che alimentano non solo il sapere di chi osserva. Il nostro sguardo postmoderno, per dirla con Lyotard, indugia sui volti e sulle posture dei soggetti immortalati. Per Susan Sontag la Fotografia “è un’arte elegiaca, un’arte crepuscolare un memento mori. E’ insieme una pseudo presenza ed anche l’indicazione di un’assenza”. Sembra che i soggetti raffigurati ci siano, ma in realtà sono profondamente assenti. Oggi, nell’era degli smartphone con camera incorporata, assume evidenza il cambiamento del modo di essere della Fotografia; se Sontag avesse conosciuto i cellulari, probabilmente avrebbe scritto che essi rappresentano “l’arte quintessenziale delle società opulente, dissipatrici e irrequiete, uno strumento indispensabile della nuova cultura di massa”. Tornando a Barthes, spesso ha scritto della malinconia della Fotografia, mentre Vilém Flusser dice di qualcosa che ripropone l’antico “gesto venatorio del cacciatore paleolitico nella tundra. Non insegue la sua cacciagione nella prateria aperta, bensì nella giungla degli oggetti culturali”: c’è la resistenza della cultura, il suo condizionamento. Tra la fine dell‘800 ed il cadere del ‘900, la produzione dei piccoli studi fotografici operanti in paesi come Molfetta è oscura, insondata, da svelare; quella propriamente riferibile a Molfetta proviene da collezioni private che ci restituiscono i nomi di Michele De Gennaro, Teodoro Angioletti, Nicolaos Birkos, Saverio Calò, Luigi Aiello, Pasquale Angione, per citare alcuni tra i più vecchi fotografi, essenzialmente ritrattisti attivi dalla seconda metà dell’Ottocento. Michele De Gennaro (attivo almeno dal 1876) realizzò in studio un ritratto del poeta ed intellettuale Giacinto Poli (1811- 1882) emblema dell’estetica ottocentesca della borghesia; in corrispondenza alla diffusione delle Carte de visite e del ritratto in formato Gabinetto, quello di De Gennaro è un modo di fotografare che rimanda alla ritrattistica in pittura. Nato il 29 gennaio del 1846, De Gennaro intorno ai cinquant’anni è registrato come “fotografo” e dimorante in Via S. Domenico, 11. A partire dal 1909 si perdono le sue tracce. Di una generazione seguente a De Gennaro è Luigi Aiello, del quale sono noti molti scatti la cui importanza è vieppiù rimarcata dall’utilizzo che ne fece, negli anni Venti del Novecento, l’etnoantropologo Saverio Lasorsa (1877-1970), che più volte pubblicò foto riguardanti le cerimonie della Settimana Santa pugliesi e molfettesi. Una lunga stirpe di fotografi molfettesi è poi attiva dai primi del Novecento:Francesco Ribera, Ignazio Petroli, Vincenzo Montaruli, Domenico Marcotriggiano (1903-1972), Galileo De Judicibus, Foto Umberto, Giuseppe De Pinto, Foto Leo, Foto Aldo ed altri. Si propongono alcuni ritratti realizzati in studio (collezione dello scrivente, collezione Giuseppe Saverio Poli, collezione Lazzaro Laforgia e collezione Eleonora Marcotriggiano) che ben esemplificano l’arte prodotta negli studi fotografici molfettesi. Di De Gennaro appare molto interessante il ritratto di giovanetto in una elegantissima postura; di Aiello sono emblematici i due ritratti di donna in studio. Infine, di Marcotriggiano viene pubblicata una inedita foto scattata a Gravina nel 1930, in cui è raffigurato un altro fotografo attivo a Molfetta, Galileo de Iudicibus.

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