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Flash mob di solidarietà con la capitana coraggiosa Carola Rackete
15 luglio 2019

Prima di parlare di umanità bisognerebbe avere l’umanità di parlare, proprio come è successo a Molfetta in occasione del flashmob che ha visto 40 persone mobilitarsi per solidarietà con Carola Rackete. La comandante della SeaWatch rivelatasi l’Antigone del XXI secolo è stata scagionata dalle accuse negli ultimi giorni, ma il clima che quest’azione ha scatenato e che si continua a respirare in Italia va aldilà di un episodio che, seppur estremamente significativo, va contestualizzato e guardato in ogni sua sfaccettatura, per far sì che le riflessioni che ha suscitato vadano anche oltre l’evento stesso. Alcuni dei partecipanti al flashmob del 30 giugno scorso hanno rilasciato a “Quindici” un’intervista in cui hanno espresso le loro idee, le loro impressioni, ma soprattutto la loro spinta energica che dall’energia ha provocato la sinergia. L’arresto di Carola Rackete è un gesto di forte significato politico che ha scosso il nostro Paese negli ultimi giorni. Qual è il messaggio che, a tuo parere, passa attraverso un’azione come questa e quale sarà il tuo prossimo passo per provare a cambiare la situazione? Cosa ti ha spinto a metterti in gioco manifestando il tuo dissenso verso l’accaduto? Quale ritieni sia il potere del flashmob cui hai preso parte? Quali sono state le reazioni alla manifestazione che più ti hanno colpito e quali, invece, quelle che meno ti saresti aspettato? Roberta Pansini, Responsabile del Gruppo Italia 236 Amnesty International di Molfetta «Sono preoccupata per l’atteggiamento del Governo Italiano che, dal 2017, attraverso i media e i social network, criminalizza l’operato delle associazioni e della società civile, piuttosto che impegnarsi, nelle sedi istituzionali italiane e soprattutto europee, a realizzare un sistema di soccorso e una rete di canali legali e sicuri per i migranti e per i rifugiati, contrastando in maniera concreta il traffico illegale di esseri umani. Spaventa questo continuo assalto globale alle ONG e al mondo solidale, poiché ha il solo fine di consolidare consensi elettorali diffondendo paura tra la gente comune e tra le fasce più deboli della società, aizzando il loro odio verso i più deboli. Noi di Amnesty International ci batteremo sempre per i diritti di tutti e di tutte, a prescindere dal governo e dai suoi rappresentanti in carica, con coraggio e con la consapevolezza che il rispetto dei diritti umani sia e sarà sempre il fondamento di una società più giusta ed egalitaria. Stiamo vivendo un periodo storico dominato dall’odio, è importante mostrare solidarietà nei confronti di quelle persone che continuano a difendere i diritti umani. Con Amnesty International lo facciamo ogni giorno da più di 50 anni: ci mobilitiamo per prevenire e per far cessare i gravi abusi alla libertà. Siamo in tanti a non accettare queste politiche dell’odio ed è importante mostrare ogni giorno che chi ci governa non ha l’appoggio dell’intero Paese. Con il flashmob abbiamo mosso una piccola comunità e siamo riusciti a trasmettere un messaggio di solidarietà ricevendo un consenso che cresce ogni giorno di più. Abbiamo svolto il flashmob con la consapevolezza che saremmo stati criticati, è ciò che ci capita ogni giorno sui social. Durante il flashmob il numeroso pubblico presente sul posto ha ascoltato in silenzio ciò che avevamo da dire, emozionandosi anche. Alla fine della lettura del comunicato siamo stati sommersi da un grande applauso. Abbiamo anche ricevuto pesanti offese e minacce da un’unica persona presente a cui è stato risposto con la semplice esposizione dei messaggi che mostravamo: “IO NON ODIO”, “RESTIAMO UMANI”, “L’UMANITÀ NON È UN REATO”». Enzo Farinola, Coordinatore della Camera del Lavoro CGIL – Molfetta «Non entro nel merito dell›azione della magistratura che ha sempre l’obbligo di intervenire allorquando intraveda ipotesi di reato. Mi rifiuto di pensare che il procedimento penale a carico del Capitano della Sea Watch sia stato promosso sulla base delle sollecitazioni provenienti da esponenti dell’Esecutivo. Certo è che il messaggio che è stato sapientemente veicolato (pur essendo ancora nella fase delle indagini preliminari) è quello (complice l’ignoranza assai diffusa delle regole del procedimento penale) di colpevolezza della donna. L’iniziativa di un Sindacato grande come la CGIL deve associarsi a quella di tanti altri soggetti per sensibilizzare l’Europa, attraverso i nostri Parlamentari, perchè affronti come Governo Europeo il tema della democrazia e delle libertà, congiunto a quello dello sviluppo economico, in primis in Libia e nei Paesi del continente africano, tenuto conto che quei Paesi sono stati oggetto, per secoli, di vero e proprio saccheggio delle loro ricchezze da parte degli stati europei, nella consapevolezza che nessuno, come hanno dimostrato i nostri emigranti, parte dalla propria terra volentieri. Dall’altro lato un sindacato deve essere rivolto a compiere ogni sforzo per smontare agli occhi dell’opinione pubblica l’idea che i problemi di ordine pubblico e di disoccupazione in Italia derivino dai “negri”! Al “potere”, da sempre, ha fatto comodo (e la propaganda ha giocato un ruolo fondamentale) che la popolazione individuasse in qualcosa di diverso rispetto all’azione di governo la responsabilità delle difficoltà del momento: ieri “l’altro” erano i terroni che, migrando verso Nord, portavano in quei territori il disordine, rubavano, stupravano le ragazze, pretendevano senza lavorare; poi sono stati gli albanesi e i rumeni, oggi sono i “negri”: le caratteristiche che gli si attribuiscono sono le stesse! Molte volte azioni fuori dal comune, comunque nei limiti della legalità, possono servire anche nella calura estiva a scuotere dal torpore l’opinione pubblica e a smontare, come ho detto prima, quel castello di sabbia di menzogne. Dato il clima generale che una sapiente azione di disinformazione di massa ha creato, la reazione di alcuni era prevedibile, anzi, con onestà, mi aspettavo una reazione più forte. Il fatto che, nonostante l’ora, le 18, di una calda giornata di fine giugno e il posto, la spiaggia, la gente sia rimasta ad ascoltare e a vedere, mi ha favorevolmente impressionato». Valeria Farinola, Gruppo Scout Agesci Molfetta 1 e 4 «Credo che il messaggio che passi attraverso questa azione e che spero arrivi alle autorità è che non si può continuare a strumentalizzare esseri umani per propaganda politica e che non si risolve il problema lasciando gente in mare per giorni. Con questa piccola azione politica ho cercato di far sentire la mia voce, di esprimere il mio parere. Il senso del flash mob è quello di informare e sollecitare la gente a pensare. Tramite i cartelli abbiamo cercato di ricordare l’importanza dell’accoglienza e di tutti i valori ad essa connessi come la solidarietà, l’umanità. Ho, con sorpresa, scoperto che un gesto pacifico e volto a diffondere un messaggio di speranza può invece creare un clima ostile. Alcuni bagnanti infatti, uno in particolare, nell’esprimere il suo dissenso, ha addirittura attaccato verbalmente una ragazza che ha risposto esponendo il cartello che aveva in mano e che il signore ha accartocciato e stropicciato... Simbolico il fatto che sul cartello c’era scritto “restiamo umani”, anche se a volte di umanità intesa come rispetto reciproco ne rimane davvero poca». Floriano Maria Mongelli, Tesla «Il messaggio penso sia abbastanza chiaro: noi stiamo con Carola. Non crediamo ci siano parole più riassuntive di queste. Il messaggio che con il flashmob abbiamo cercato di comunicare è quello di solidarietà, di umanità e di aiuto verso il prossimo a prescindere dalla sua nazionalità, dalla sua religione e dalla sua situazione econoPrima di parlare di umanità bisognerebbe avere l’umanità di parlare, proprio come è successo a Molfetta in occasione del flashmob che ha visto 40 persone mobilitarsi per solidarietà con Carola Rackete. La comandante della SeaWatch rivelatasi l’Antigone del XXI secolo è stata scagionata dalle accuse negli ultimi giorni, ma il clima che quest’azione ha scatenato e che si continua a respirare in Italia va aldilà di un episodio che, seppur estremamente significativo, va contestualizzato e guardato in ogni sua sfaccettatura, per far sì che le riflessioni che ha suscitato vadano anche oltre l’evento stesso. Alcuni dei partecipanti al flashmob del 30 giugno scorso hanno rilasciato a “Quindici” un’intervista in cui hanno espresso le loro idee, le loro impressioni, ma soprattutto la loro spinta energica che dall’energia ha provocato la sinergia. L’arresto di Carola Rackete è un gesto di forte significato politico che ha scosso il nostro Paese negli ultimi giorni. Qual è il messaggio che, a tuo parere, passa attraverso un’azione come questa e quale sarà il tuo prossimo passo per provare a cambiare la situazione? Cosa ti ha spinto a metterti in gioco manifestando il tuo dissenso verso l’accaduto? Quale ritieni sia il potere del flashmob cui hai preso parte? Quali sono state le reazioni alla manifestazione che più ti hanno colpito e quali, invece, quelle che meno ti saresti aspettato? Roberta Pansini, Responsabile del Gruppo Italia 236 Amnesty International di Molfetta «Sono preoccupata per l’atteggiamento del Governo Italiano che, dal 2017, attraverso i media e i social network, criminalizza l’operato delle associazioni e della società civile, piuttosto che impegnarsi, nelle sedi istituzionali italiane e soprattutto europee, a realizzare un sistema di soccorso e una rete di canali legali e sicuri per i migranti e per i rifugiati, contrastando in maniera concreta il traffico illegale di esseri umani. Spaventa questo continuo assalto globale alle ONG e al mondo solidale, poiché ha il solo fine di consolidare consensi elettorali diffondendo paura tra la gente comune e tra le fasce più deboli della società, aizzando il loro odio verso i più deboli. Noi di Amnesty International ci batteremo sempre per i diritti di tutti e di tutte, a prescindere dal governo e dai suoi rappresentanti in carica, con coraggio e con la consapevolezza che il rispetto dei diritti umani sia e sarà sempre il fondamento di una società più giusta ed egalitaria. Stiamo vivendo un periodo storico dominato dall’odio, è importante mostrare solidarietà nei confronti di quelle persone che continuano a difendere i diritti umani. Con Amnesty International lo facciamo ogni giorno da più di 50 anni: ci mobilitiamo per prevenire e per far cessare i gravi abusi alla libertà. Siamo in tanti a non accettare queste politiche dell’odio ed è importante mostrare ogni giorno che chi ci governa non ha l’appoggio dell’intero Paese. Con il flashmob abbiamo mosso una piccola comunità e siamo riusciti a trasmettere un messaggio di solidarietà ricevendo un consenso che cresce ogni giorno di più. Abbiamo svolto il flashmob con la consapevolezza che saremmo stati criticati, è ciò che ci capita ogni giorno sui social. Durante il flashmob il numeroso pubblico presente sul posto ha ascoltato in silenzio ciò che avevamo da dire, emozionandosi anche. Alla fine della lettura del comunicato siamo stati sommersi da un grande applauso. Abbiamo anche ricevuto pesanti offese e minacce da un’unica persona presente a cui è stato risposto con la semplice esposizione dei messaggi che mostravamo: “IO NON ODIO”, “RESTIAMO UMANI”, “L’UMANITÀ NON È UN REATO”». Enzo Farinola, Coordinatore della Camera del Lavoro CGIL – Molfetta «Non entro nel merito dell›azione della magistratura che ha sempre l’obbligo di intervenire allorquando intraveda ipotesi di reato. Mi rifiuto di pensare che il procedimento penale a carico del Capitano della Sea Watch sia stato promosso sulla base delle sollecitazioni provenienti da esponenti dell’Esecutivo. Certo è che il messaggio che è stato sapientemente veicolato (pur essendo ancora nella fase delle indagini preliminari) è quello (complice l’ignoranza assai diffusa delle regole del procedimento penale) di colpevolezza della donna. L’iniziativa di un Sindacato grande come la CGIL deve associarsi a quella di tanti altri soggetti per sensibilizzare l’Europa, attraverso i nostri Parlamentari, perchè affronti come Governo Europeo il tema della democrazia e delle libertà, congiunto a quello dello sviluppo economico, in primis in Libia e nei Paesi del continente africano, tenuto conto che quei Paesi sono stati oggetto, per secoli, di vero e proprio saccheggio delle loro ricchezze da parte degli stati europei, nella consapevolezza che nessuno, come hanno dimostrato i nostri emigranti, parte dalla propria terra volentieri. Dall’altro lato un sindacato deve essere rivolto a compiere ogni sforzo per smontare agli occhi dell’opinione pubblica l’idea che i problemi di ordine pubblico e di disoccupazione in Italia derivino dai “negri”! Al “potere”, da sempre, ha fatto comodo (e la propaganda ha giocato un ruolo fondamentale) che la popolazione individuasse in qualcosa di diverso rispetto all’azione di governo la responsabilità delle difficoltà del momento: ieri “l’altro” erano i terroni che, migrando verso Nord, portavano in quei territori il disordine, rubavano, stupravano le ragazze, pretendevano senza lavorare; poi sono stati gli albanesi e i rumeni, oggi sono i “negri”: le caratteristiche che gli si attribuiscono sono le stesse! Molte volte azioni fuori dal comune, comunque nei limiti della legalità, possono servire anche nella calura estiva a scuotere dal torpore l’opinione pubblica e a smontare, come ho detto prima, quel castello di sabbia di menzogne. Dato il clima generale che una sapiente azione di disinformazione di massa ha creato, la reazione di alcuni era prevedibile, anzi, con onestà, mi aspettavo una reazione più forte. Il fatto che, nonostante l’ora, le 18, di una calda giornata di fine giugno e il posto, la spiaggia, la gente sia rimasta ad ascoltare e a vedere, mi ha favorevolmente impressionato». Valeria Farinola, Gruppo Scout Agesci Molfetta 1 e 4 «Credo che il messaggio che passi attraverso questa azione e che spero arrivi alle autorità è che non si può continuare a strumentalizzare esseri umani per propaganda politica e che non si risolve il problema lasciando gente in mare per giorni. Con questa piccola azione politica ho cercato di far sentire la mia voce, di esprimere il mio parere. Il senso del flash mob è quello di informare e sollecitare la gente a pensare. Tramite i cartelli abbiamo cercato di ricordare l’importanza dell’accoglienza e di tutti i valori ad essa connessi come la solidarietà, l’umanità. Ho, con sorpresa, scoperto che un gesto pacifico e volto a diffondere un messaggio di speranza può invece creare un clima ostile. Alcuni bagnanti infatti, uno in particolare, nell’esprimere il suo dissenso, ha addirittura attaccato verbalmente una ragazza che ha risposto esponendo il cartello che aveva in mano e che il signore ha accartocciato e stropicciato... Simbolico il fatto che sul cartello c’era scritto “restiamo umani”, anche se a volte di umanità intesa come rispetto reciproco ne rimane davvero poca». Floriano Maria Mongelli, Tesla «Il messaggio penso sia abbastanza chiaro: noi stiamo con Carola. Non crediamo ci siano parole più riassuntive di queste. Il messaggio che con il flashmob abbiamo cercato di comunicare è quello di solidarietà, di umanità e di aiuto verso il prossimo a prescindere dalla sua nazionalità, dalla sua religione e dalla sua situazione economica. mica. I passi che faremo in futuro ripercorrono la strada che abbiamo intrapreso in passato e che continuiamo a percorrere nel presente: informare e sensibilizzare l’opinione pubblica con azioni culturali di qualsiasi tipo, impregnare ogni nostra attività culturale con gli ideali sopraccitati. È un periodo storico, secondo noi, in cui il migrante ci sta costringendo a rispondere a delle domande morali ormai dimenticate. Fortunatamente, non tutti rispondono girando la testa. Domenica ne abbiamo dato dimostrazione. Ci sono uomini, donne e bambini che ogni giorno rischiano la vita per fuggire da guerra e miseria. Ci dovrebbe essere qualche motivazione per aiutarli? La mia associazione, ogni singolo membro che ne fa parte, non riesce a rimanere inerme di fronte a questa richiesta di aiuto. Siamo giovani, studenti e lavoratori, che da sempre, nonostante le difficoltà personali di tutti i giorni, lottano per le ingiustizie, vicine e lontane. Forse è proprio questo il punto cardine che la comunità ha dimenticato: non c’è bisogno di una motivazione per difendere i più deboli. Non facciamo cultura per divertimento, per hobby o perché ci annoiamo. Facciamo cultura e difendiamo i diritti dei più deboli perché sentiamo che è nostro dovere farlo. Perché un domani, quando ci chiederanno cosa abbiamo fatto per quei poveri migranti morti in mare, vogliamo poter rispondere: “Tutto il possibile”. Lo sappiamo, un flashmob non cambierà il mondo. Nessuna singola azione cambierà il macro-problema della migrazione (soprattutto perché è un problema prima economico e politico). Me è importante capire come tante piccole azioni possono scatenare azioni più grandi. Viviamo in un mondo in cui, chi è ai “piani alti” è troppo in alto (o siamo noi ad essere troppo in basso). C’è bisogno di una voce forte e collettiva per far sì che possa arrivare fin lassù. E per far questo dobbiamo combattere tante chimere. In prima battuta bisogna parlarne, e tanto. E solo per combattere questo muro di silenzio bisogna usare una forza non indifferente. In seconda battuta bisogna combattere le fakenews, ormai diventate pane quotidiano. Infine, dobbiamo sensibilizzare gli animi delle persone alla solidarietà. Ci stiamo disabituando all’essere generosi, quasi fosse una cosa da sciocchi. Il gioco che stanno attuando da ormai troppi anni è semplice: mantenere la popolazione in quello stato di pericolo quotidiano in cui un po’ tutti ci sentiamo coinvolti, da un punto di vista economico, sociale e culturale. Creata questa stasi, ognuno penserà al proprio orticello. Sempre. Se devo usare tutte le mie forze e le mie risorse per sopravvivere, come potrò mai avere la forza o la volontà di lottare per altri? E se il “Grande Fratello” (citando Orwell) ci convince che è addirittura il migrante (almeno parzialmente) la causa dei miei problemi allora è tutto più semplice. Il flashmob di domenica vuole spezzare questa routine. Ha voluto comunicare a tutti coloro che hanno visto questa azione che non si è soli, che nonostante tutto si può avere sempre il tempo e il coraggio di lottare anche per gli altri e che non sono le risorse ad essere poche. Sono solo distribuite male, ingiustamente e sulla vita di quelli che non chiamiamo più fratelli. Sono ormai anni che ognuno di noi partecipa a manifestazioni di questo tipo e ormai siamo abituati un po’ a tutto. Ma ci lasciamo sempre colpire dalla bontà più che dall’inciviltà. Ci ha colpito vedere le persone fermarsi, incuriosite da quello che stava succedendo e, una volta capito di cosa si trattasse, rimanere attente e rispettose, a prescindere dalla loro idea sul caso SeaWatch. Ci ha colpito sentire gli applausi, ci ha colpito vedere le mamme tenere i loro figli fermi per non disturbare il flashmob (lasciateci chiedere scusa ai bambini per aver interrotto i loro giochi) e ci ha colpito vedere noi stessi e tutte le persone che hanno partecipato. Chi ha dimestichezza con queste tipologie di azioni sa che essere 40 persone, con una chiamata alle armi avvenuta il giorno prima, non è poco, soprattutto per città come Molfetta. Molte volte ci dipingono come “cattivi ragazzi”. Molti non sanno che anche per noi non è facile metterci la faccia e lasciarsi giudicare da estranei, in bella mostra. Ma sappiamo che è giusto e necessario. Sì, non ci costringe nessuno a farlo, se non noi stessi. Ed è questa la forza di questo gruppo di persone, da sempre. Naturalmente, dopo il lato sentimentale, abbiamo anche un lato pratico. Per la legge dei grandi numeri sapevamo che la probabilità di trovare qualcuno che non la pensasse come noi era alta. E così è successo. Ma non ci faremo mai spaventare, né sorprendere, né turbare da persone che sbraitano contro una folla pacifica. Solo ha gridato e solo è andato via». Gabriele Vilardi, attivista «Quello che è accaduto a Carola è l’ultimo accanimento avvenuto a coloro che s’impegnano oggi a difendere i diritti umani in prima persona: si pensi a Domenico Lucano, ex Sindaco di Riace, al sequestro temporaneo della Proactiva Open Arms con l’accusa di associazione a delinquere da parte della Procura di Catania (poi dissequestrata dopo un mese), al blocco dell’attività dell’Aquarius di Msf e Sos Méditerranée dopo la revoca dalle autorità di Panama dell’ iscrizione dal registro delle imbarcazioni a causa delle pressioni del governo italiano, agli atti d’accusa plurimi nei confronti delle Ong con collegamenti immotivati all’ormai celeberrimo reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. La comandante della Sea-Watch è diventata involontariamente protagonista dello scontro ideologico e politico che i nostri tempi sono costretti a vivere e a superare prendendo una posizione chiara sia sui social e sia con i propri corpi: col flashmob abbiamo provato a fare esattamente questo. Il prossimo passo certamente sarà quello che cittadini consapevoli e realtà sociali e politiche attive devono continuare a fare: sensibilizzare le persone su temi come accoglienza, solidarietà, tutela dei diritti fondamentali, promuovendo una controinformazione basata sul fact-checking di quello che le Istituzioni propagandano su tutti i mass media e contribuendo a realizzare attività quanto più pratiche possibili. La spinta a prendere parte al flashmob è stata lanciata dalla necessità di ritrovarmi un giorno, quando saremo stati in grado di superare questo periodo moralmente e umanamente buio, assieme a tante e tanti altri dalla parte giusta della Storia. Per far questo però è necessario dare il proprio contributo impegnandosi qui e adesso, con la consapevolezza che i cambiamenti avvengono solo se si è in grado di trasformare la realtà in cui viviamo attraverso la forza della ragione e della volontà. Sicuramente la nostra azione ha permesso di generare un dibattito e quantomeno una minima presa di coscienza di quanto accaduto alla Sea Watch e al genocidio che si sta perpetrando da quasi 10 anni nel Mar Mediterraneo. Il flashmob, così come le manifestazioni, le mail e i socialbombing, è uno strumento che l’attivista può utilizzare per squarciare quel cielo di carta fatto di propaganda e false verità. Quelle stesse verità che ogni giorno vengono trasmesse da parte di chi ha convenienza nel generare un nemico fumoso ma al tempo stesso utile per essere un capro espiatorio rispetto a tematiche come disoccupazione, cambiamenti climatici, taglio al welfare sociale. A Molfetta siamo stati in grado di generare un’ottima sinergia tra realtà strutturate e singoli cittadini e di comunicare al meglio il messaggio che intendevamo trasmettere: la solidarietà non è un reato. Sinceramente mi sarei aspettato un maggiore astio da parte dei bagnanti che sono stati più che altro incuriositi da quanto stava accadendo. Bello e soddisfacente è stato l’applauso che parte dei presenti ha rivolto al termine del flashmob ai 40 attivisti, molto meno la reazione di un piccolo gruppo di persone che ha pensato bene di usare parole e toni d’odio durante l’iniziativa. Sui social media invece il Mondo sembra ribaltarsi, con commenti prevalentemente rabbiosi e parole che copiano pedissequamente il modo di porsi dell’attuale Ministro dell’Interno italiano sull’argomento. La piccola esperienza vissuta da me e da chi ha contribuito a realizzare il flashmob, avvenuto pochissimi giorni prima della scarcerazione di Carola Rackete e caduta delle accuse nei suoi confronti, ci porta a riflettere su quanto la realtà sia certamente molto più articolata e meno rabbiosa rispetto a quella che possiamo incrociare quotidianamente nelle piazze virtuali. C’è speranza». Speranza di vivere e non di sopravvivere, di cambiare e non di lasciarsi cambiare, di combattere ma non di lasciarsi abbattere. © Riproduzione riservata

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