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“E' tutta colpa di Paola Natalicchio”. L'ex sindaco replica a bugie, insulti e falsità di De Nicolo e Altomare
15 giugno 2016

Sono giornate piene di dolori, di pensieri e di speranze. Giornate in cui vorrei solo recuperare un po’ di energie e ragionare insieme alla città di come meglio interpretare i mesi del commissariamento e iniziare ad abbozzare qualche idea per la prossima campagna elettorale. Devo, però, prima mettere ordine e distribuire qualche replica alle cose che ho letto e sentito in queste ore. Non possiamo metterci i paraocchi e i tappi alle orecchie e incassare ancora falsità, ingiurie e bugie. Se non facciamo chiarezza e non ci diciamo la verità su quello che è successo rischiamo di fare peggio. Ne ho sentite tante, sulle mie dimissioni. Tantissime. Troppe. E vale la pena rispondere alle balle di fango che inquinano un dibattito pubblico che, invece, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, dobbiamo avere l’onestà di mantenere trasparente, limpido e profondo. Ho sentito Piero De Nicolo dire che mi sono dimessa perché voglio andare a fare carriera a Roma, come segretario nazionale di Sinistra Italiana. Lui, che sta nel Pd di Matteo Renzi, che da anni fa il segretario nazionale del primo partito d’Italia e il presidente del consiglio, insieme. Lui, fedelissimo di Michele Emiliano, sindaco di Bari e segretario regionale Pd, a lungo; poi presidente di Regione e segretario regionale, fino a una manciata di giorni fa. Non ho intenzione di candidarmi alla segreteria di Sinistra Italiana, al momento. Il congresso deve ancora prendere forma e il processo costituente è appassionante quanto pieno di contraddizioni. Staremo a vedere e non accetto anatemi sul mio futuro, qualunque esso sia, nel giornalismo o nella politica. Sarebbe il colmo. Ho 37 anni e non posso stare certamente inchiodata al semaforo rosso perenne che qualcuno ha pensato per me. Faccio solo notare che se fossi stata la volpe astuta e calcolatrice dipinta da De Nicolo avrei avuto tutto l’interesse ad arrivare al congresso con la visibilità di un sindaco. De Nicolo dice anche che sono scappata perché avevo paura di dare seguito a un parere sul Porto Commerciale che ci impone di risolvere il contratto con la CMC. Balle. Messe in circolo per evitare che si parli del fallimento del suo Pd. Sappiamo da mesi che il contratto con CMC e le altre ditte della “Molfetta Newport” è fermo e che nulla si muove dalla data del sequestro, a causa dell’ordinanza di dissequestro della Procura e dei pareri dell’Anac e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Siamo stati noi, l’8 aprile, a convocare gli avvocati per decidere come sciogliere il contratto: se con l’autotutela, con la risoluzione unilaterale o con l’istanza di nullità al Tribunale. Peraltro, a quella riunione, era presente anche l’Assessore Giulio Germinario, vicinissimo a Piero. Il parere arrivato un mese dopo traccia solo la strada tecnica più prudente, quella obbligata per qualunque sindaco o commissario. E’ una bugia assoluta che questa vicenda abbia influito sulla mia decisione di dimettermi, come se fossi stata presa dallo spavento per questa improvvisa notizia. E peraltro io quel parere l’ho ricevuto ufficialmente al protocollo il 10 maggio, a dimissioni già rassegnate. Come sempre De Nicolo fa il guascone. Mente sapendo di mentire per distrarre il dibattuto pubblico dall’unica verità: l’Amministrazione è caduta perché è stata terremotata da un Pd incapace di tenere insieme il suo gruppo consiliare e perché è stata inchiodata dal Pd a una verifica di maggioranza interminabile, inconcludente e inutile. Un Pd che non ha votato compattamente la manovra fiscale e aveva annunciato astensione sul voto di bilancio dei suoi stessi assessori che quel bilancio hanno contribuito a scriverlo e a comporlo. Un Pd allo sbando. Giulia e Giovanna. Dentro e fuori. Maggioranza e opposizione. Ammettere questo, però, significherebbe per Piero rassegnare le dimissioni da una carica che lo ha visto mancare ogni obiettivo. E, a differenza mia, De Nicolo non lascia facilmente la sua poltrona, da cui gestisce con centinaia di tessere alla mano e una sede sempre più deserta, una postazione di potere utile più ai suoi giochi baresi che a determinare il futuro della città. Vedremo chi, tra me e De Nicolo, farà carriera politica su queste dimissioni. Sono certa che su questo, come si dice, il tempo sarà galantuomo. Ne ho sentite tante anche da Annalisa e Lillino, che hanno imbrattato i muri dell’ennesimo manifesto fatto di insulti, punti esclamativi e bugie di bassa lega. Come la fandonia sulle consulenze gonfiate e gli incarichi fuori controllo, su cui ho raccolto dati e statistiche che provano, numeri alla mano, che abbiamo abbattuto le spese legali e che abbiamo abbattuto anche le consulenze tecniche a geometri, ingegneri e architetti rispetto alle vacche grasse azzolliniane. Ma Annalisa e Lillino, si sa, dispensano lezioni di buona politica da mezzo secolo e la tentazione di un ritorno al paleolitico è stata troppo forte in zona Sporting Club. Spero che uno dei due autori indiscussi della caduta di Molfetta si candidi alle prossime elezioni. Anzi lo chiedo ufficialmente. Sono impaziente, infatti, che chi in tre anni ha saputo solo attaccare, avvilire, distruggere si misuri con il consenso dei cittadini. Ne ho sentite moltissime anche da Roberto La Grasta, eletto usando il mio cognome e la lista civica ad esso associato per poi lanciarsi nella scalata malriuscita al Pd locale, tutta centrata su trucchi e barbatrucchi maldestri. Voleva fare l’assessore, nel luglio 2016, checché ne dica e ne smentisca. Poi voleva fare il capogruppo, notizia che Giuseppe Percoco può certamente confermare, ricordando un blitz in gruppo consiliare finito senza il giusto numero di voti a saldo. Poi, come lui stesso venne a dirmi, scusandosene, si ritrovò tra i protagonisti che cercarono di farmi cadere andando dal notaio, sconsigliato all’ultimo momento - così mi disse lui - dal suo mentore, Mimmo Spadavecchia, editore, animatore e agitatore di Molfettafree, fratello del più noto Enzo, consigliere di centrodestra che voleva passare da questa parte costituendo con Roberto, a Molfetta, il presidio della formazione Sud al Centro. Classiche operazioni trasformistiche giustificate dal sostegno a Michele Emiliano, quelle in corso in tutti i Comuni pugliesi al momento. La Grasta, per mesi, non è mai venuto a una sola riunione di maggioranza. Né mai ha chiuso un regolamento innovativo in consiglio comunale: suo il lungo stop al regolamento del Forum della Cultura, suo l’interminabile lavoro mai venuto in aula sul nuovo Statuto del Consiglio Comunale, fermi da lui i regolamenti sulla socialità e sulle unioni civili (ha fatto prima il Governo nazionale in una manciata di mesi che il Pd locale). Cosa voleva La Grasta negli ultimi consigli? Perché ci ha tolto i voti sulla manovra fiscale? Ignazio Cirillo, almeno - al pari di Tommaso Minervini - ha avuto la dignità di non sprecare troppe parole per giustificare la sua decisa lontananza dalla maggioranza, avanti ormai da settimane. Aveva divaricato la sua distanza da noi, si sentiva poco coinvolto sulle politiche dell’agricoltura, aveva avviato un dialogo al centro di cui mi aveva detto qualcosa, assicurandomi però che mi avrebbe fatto finire il mandato senza farmi mancare il suo sostegno. Qualcosa deve avergli fatto cambiare idea. Capiremo cosa nei prossimi mesi. Ma sono stati davvero solo questi tre consiglieri, più il duo gregario De Pinto-De Ceglia a farcicadere? Sento ripetere da tanti compagni di strada, anche a me vicini: “eravamo 13, dovevi andare avanti, le cose si potevano risolvere”. E questa frase mi fa rabbia. Un consiglio comunale in cui avevamo 12 consiglieri a favore e 12 contro e in cui il 13esimo voto era il mio era davvero un consiglio comunale “salvabile”? In cui fare grandi cose e prendere grandi decisioni? Avremmo mai votato i bilanci o la strada, come io credo, era già scritta come a Martina Franca, in cui l’Amministrazione di centrosinistra è caduta pochi giorni fa? Bisogna essere seri. Onesti, saldi, semplici, sinceri. Io non sono attaccata alla poltrona e ho preferito andarmene con le mie gambe quando ho capito con chiarezza che non c’era più nulla da fare. Il progetto del 2013 scricchiolava da tempo. Perché forse a quel progetto, in fondo in fondo, nella nostra maggioranza, credevamo in pochi. Dava fastidio, sopra ogni cosa, la nostra politica sull’urbanistica. E in molti sono pronti a prenderne le distanze nella prossima campagna elettorale, vedrete. Anche qui, è questione di tempo. Presto si gireranno le carte. L’attacco all’urbanistica dell’Amministrazione, guidata dall’Assessorato retto da Rosalba Gadaleta è stato diffuso e costante. Mi sarei aspettata ben altro dopo lo scandalo “Le Mani sulla Città”. Invece solo malcontento. Nonostante avessimo sbloccato una buona parte del PRG (comparto 18 compreso) e avviato, al contempo, le pianificazioni sulla costa, sulla mobilità sostenibile, sui consumi energetici, sui dehors. In molti volevano meno rigidità, relazioni più permeabili con i privati, non tollerando nessun ragionamento sulla riduzione dei volumi in sede del nuovo PUG in nome dei “diritti acquisiti”. Molte tensioni in corso, nelle ultime settimane, si agitavano in particolare attorno alle partite del B21 e del Maxicomparto. C’erano molti mugugni interni, poi, sul porta a porta e sulla gestione della Asm. Un’aria da regolamento dei conti alla fine dei mandati presidenziali delle partecipate. Sul destino inhouse della Multiservizi eravamo spaccati in due come una mela. Il PD era fortemente contrario, Piero De Nicolo (che forse da lezioni sulla gestione aziendale avrebbe dovuto quantomeno astenersi) ha animato con interventi sopra le righe ben due sessioni di maggioranza sul tema, superando il limite in molte affermazioni con l’Assessore Sel Angela Amato. La lista dei problemi interni potrebbe continuare. Perché gli episodi del voto sull’acqua pubblica avvenuto con Carmela Minuto e del PD che si è rifiutato di votare con noi sull’ospedale, unendo i suoi voti a quelli del gruppo Tammacco-Caputo sono stati un’avvisaglia chiarissima di quello che è avvenuto dopo. Dire e ripetermi “potevi andare avanti, la maggioranza c’era” è una frase autoassolutoria che vuole solo sancire una cosa semplice, propagandistica: “è il sindaco ad aver lasciato la città, mentre le forze politiche avrebbero continuato a starle accanto, pur nel quadro di una difficoltà generale”. Ma perché allora Ignazio Cirillo non si è dimesso per far entrare Michele Jacono nei venti giorni dopo l’annuncio delle mie dimissioni? E perché la Commissione di Garanzia del Pd non ha espulso Annalisa e gli altri? E perché De Nicolo non si è dimesso ed è ancora là incollato alla poltrona? Ma non starò qui ad affastellare le domande, come ha fatto con me negli ultimi giorni Guglielmo Minervini, amareggiandomi alquanto. Resta l’orgoglio di aver messo in piedi un laboratorio di buona politica durato 1.000 giorni di cui ha parlato e parla ancora l’Italia. Di aver salvato il depuratore, riportato legalità nel settore territorio e appalti e contratti, di aver lanciato i Cantieri di Servizio, finanziato lo Sprar per l’accoglienza rifugiati e il Centro Antiviolenza di Piazza Luxemburg, rilanciato pesca e agricoltura, rifatto le palazzine popolari e aperto un parco a Madonna dei Martiri e completato le urbanizzazioni in periferia, riaperto i parchi di Ponente e rifatto i giochi in Villa e la Banchina San Domenico, restituito centralità a cultura e turismo, risanato i bilanci e avviato una razionalizzazione delle spese e una riorganizzazione della macchina comunale, riportato legalità nelle vicende oblique della piscina comunale e del centro anziani, riempito i cassetti del Comune dei progetti su Waterfront, ciclabili, Piazza Principe di Napoli e Parco di Mezzogiorno, su cui non è più possibile tornare indietro. Resta il dovere di vigilare su questo lungo commissariamento, molto stentato nel suo insediamento, ma che può costituire per la politica cittadina un momento prezioso per ritrovare equilibrio. E resta l’obbligo di non abbandonare il campo della costruzione di un nuovo progetto politico di sinistra capace di farsi attraversare dalle forze civiche migliori della città, che sono tante e che non possono essere disperse. Alla rassegnazione, nella mia vita, ho sempre preferito la reazione. Servirà una reazione all’altezza della gravità di quello che è successo per rimettere davvero la sinistra molfettese in piedi. Servirà fare appello a tutte le nostre energie positive e propositive per ricucire strappi interni e ferite aperte. Molfetta se lo merita. Non possiamo abbandonarla a un destino di ritorno al passato. I prossimi mesi dovremo dimostrare alla città di essere all’altezza di una nuova ripartenza. Per esserne capaci serve mettere in pista, presto, un nuovo progetto di governo per la città. Io per ragioni familiari non posso ricandidarmi, ma manterrò il legame ormai indissolubile con la città e sono disponibile da subito a collaborare con le forze politiche che tengono alla Molfetta pulita e migliore. Se non ne saremo capaci, non basterà dire per i prossimi dieci anni, come sento ripetere: “è tutta colpa di Paola Natalicchio”.

Autore: Paola Natalicchio
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