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Don Tonino, 20 anni dopo: il potere dei segni
15 aprile 2013

Siamo già al ventennale della morte di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e Presidente di Pax Christi, oggi servo di Dio, mentre è in corso il processo di beatificazione, il cui iter troverete in un altro articolo. “Quindici” che ogni anno, il 20 aprile, data della sua morte, lo ha ricordato pubblicando un suo scritto adeguato ai tempi e agli avvenimenti di quel periodo storico, per dimostrare la sua straordinaria attualità e le sue virtù profetiche, oggi gli dedica 15 pagine da staccare e conservare, che abbiamo realizzato come un inserto che riproduce la testata, come fosse un giornale nel giornale. E questo vuole essere, a distanza di 20 anni e con un nuovo Papa, Francesco, che ci ricorda tanto don Tonino, soprattutto quando invita ad amare i poveri e quando parla del “potere come servizio”, il potere dei segni di don Tonino, quel potere della Chiesa del grembiule, contro i segni del potere. Abbiamo raccolto testimonianze, ricordi, qualche scritto e foto inedite, non soltanto per rendere omaggio a don Tonino, ma per preservarne la memoria, che ci sembra la cosa più importante. E lo abbiamo fatto anche nel segno della continuità, riproducendo la stessa foto di don Tonino che ci piace tanto che esprime la sua forza profetica che, con gli indici tesi, sembra indicare i “segni” e la strada da percorrere. Nel decennale della morte, “Quindici” pubblicò testimonianze inedite e altri contributi di coloro che lo avevano conosciuto da vicino e regalò anche un poster ai lettori. Chi ha perduto quel numero, troverà in questo riproposte almeno le notizie generali, alle quali si aggiungono nuove testimonianze inedite o poco note. Riproponiamo, per coloro che non l’avessero letto, anche una parte dell’editoriale scritto in quella circostanza dal titolo “Profeta del nostro tempo”, in cui raccontiamo il nostro rapporto con quest’Uomo col quale abbiamo tutti un debito di gratitudine. Siccome spesso mi è stata chiesta una testimonianza diretta (e scusate se per una volta parlo in prima persona, contrariamente alle mie abitudini, ma in questo caso è inevitabile) e, dopo aver esitato parecchio, 10 anni fa, ho reso pubblici alcuni episodi personali, ma che danno l’idea della personalità di questo straordinario pastore, non ho difficoltà a riproporli per ricordarli a chi li avesse già letti e a farli conoscere a chi li ignora. Del resto un giornalista racconta per mestiere tutto ciò di cui è stato testimone. Anzi ha il dovere di farlo. Ma ci sono episodi e personaggi che esulano dalla sfera pubblica ed entrano nel tuo privato. E’ questo il caso. E poi chi non ha un ricordo privato, personalissimo del nostro indimenticabile vescovo? Non c’è persona che io incontri che non lo abbia conosciuto direttamente, che non si sia rivolta a lui per risolvere un problema o chiedere un consiglio. O soltanto per il piacere di parlare con questo “grande pastore” che non appariva distante, ma amico. E’ capitato anche a me di essere presente a qualcuno di questi incontri, sempre gioiosi, sempre ricchi di tanta speranza. La gente, dopo aver parlato con lui, andava via più serena, confortata dalle sue parole e dal suo sguardo che trasmetteva un senso di pace. Sì, perché lui parlava di pace non solo con le parole. In questa regola di riservatezza che mi sono dato sui ricordi di Don Tonino, penso di fare eccezione con un episodio, per dare un piccolissimo contributo alla conoscenza di quest’Uomo, della sua forza, ma anche nella sua fragilità: in fondo era e voleva essere un nostro fratello. Il tempo e la Chiesa diranno se è stato un Santo, anche se il popolo lo ha già beatificato con quelle sue fotografie presenti in ogni casa, in ogni bottega, in ogni negozio. Credo che solo Padre Pio, oggi San Pio, abbia avuto un simile privilegio. Ebbene, don Tonino in uno dei colloqui che periodicamente avevo con lui mi chiese una cosa incredibile: “dammi coraggio”. La richiesta mi lasciò stupefatto: “Come – gli risposi – io, semplice cronista, devo dare coraggio a un vescovo che di coraggio ne sta dimostrando tanto ogni giorno (e ne dimostrerà poi tantissimo, durante la sua malattia andando anche a Sarajevo per la pace)?”. “Sì, mi rispose, perché anche un vescovo che si trova in una città non sua ad affrontare tanti problemi e a incontrare tanti ostacoli, ha bisogno di coraggio. Non pensavo di ricevere tanta ostilità”. Ma le sue parole non erano di sconforto, non era abbattuto, era semplicemente amareggiato dalla reazione, soprattutto dei politici, alle sue parole e ancor più alle sue azioni. “Avevi ragione – aggiunse – quando ci conoscemmo e mi descrivesti la città e i suoi abitanti, le sue paure e le sue ipocrisie, le sue vanità e le sue miserie”. Naturalmente non potevo sottrarmi al suo affettuoso invito e cercai, nel mio piccolo, di dargli quel “coraggio” che mi chiedeva. Poi, poco dopo ho capito che era un modo tutto suo di dare “coraggio” agli altri, a me in quel momento nel mio lavoro di giornalista (Lui credeva molto nel ruolo e nell’importanza dei mass-media), perché nel nostro discorso si intrecciarono, inevitabilmente, anche i riferimenti personali: “Vedi, don Tonino, anche a me è capitato, ecc…”.Per lui era un modo per non farti perdere la speranza, per renderti “protagonista”, attore e non spettatore della vita sociale e politica. Don Tonino era un personaggio straordinario, capace di essere discreto anche quando voleva darti coraggio senza fartelo pesare, senza darti l’impressione di voler invadere la tua sfera personale o di offrirti un aiuto non richiesto o infonderti un invito ad andare avanti senza avere paura. Un altro episodio, che ho tenuto nascosto per qualche anno e che ho deciso di rivelare solo dopo circa dieci anni dalla scomparsa di don Tonino, per spiegare alcune cose che altrimenti sarebbero rimaste incomprensibili, riguarda la nascita del giornale di Molfetta “Quindici giorni”. Don Tonino mi rimproverava ogni tanto di fare poco per la città “che muore…, la città diseredata vive in simbiosi con la disperazione più nera e langue per asfissia da futuro”, di essere un “intellettuale alla finestra, chiuso nella torre d’avorio” (il riferimento era alla sua bella lettera “Trahison des clercs”). Cercavo di difendermi, sostenendo la mia impossibilità, materiale e temporale, ad occuparmi della città per il mio lavoro di giornalista economico, redattore di un quotidiano, che mi costringeva soprattutto dal primo pomeriggio, spesso fin oltre la mezzanotte, ad essere in redazione a Bari alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, quando non ero costretto a stare fuori regione o talvolta all’estero per il mio lavoro. L’impossibilità materiale di partecipazione mi pesava. Così, ogni volta, cercavo di giustificarmi di fronte all’amorevole rimprovero. Ma una delle ultime volte che ne abbiamo parlato, gli avevo detto che, in fondo, un giornalista come me poteva fare poco per la propria città, soprattutto da “lontano”. La sua risposta fu decisa: “Fai un giornale”. Un giornale? Da solo? Dove trovo risorse umane ed economiche? Lui, riflettendo un attimo sulle mie perplessità e condividendole, rimase silenzioso. Quel silenzio mi è pesato più di un rimprovero sonante. E mi è rimasto dentro. Promisi a me stesso e non a don Tonino per timore di deluderlo nel caso di insuccesso, che un giorno avrei accolto quell’invito. Così, quando Lui ci aveva già lasciati da un anno, nella primavera del 1994, si crearono le condizioni perché quella promessa divenisse una realtà: si mobilitò la società civile, nacque un vasto movimento di partecipazione e di rinnovamento, destinato a candidarsi alla guida della città (come poi avvenne) e si decise di dar voce a questa nuova realtà. Coinvolto con convinzione fin dal primo momento in questo progetto di rinnovamento, accolsi con entusiasmo l’invito a realizzare un giornale. Mantenni nascosta la promessa e la motivazione profonda di questa scelta e mi “imbarcai” in quella che si rivelò una vera sfida con tanta ostilità iniziale affrontata con pochi mezzi, ma in assoluta libertà, tanta volontà e soprattutto tanta collaborazione in un’iniziativa di volontariato, che è costata e costa tanti sacrifici non solo economici, ma anche fisici, temporali e psicologici (per gli attacchi, gli insulti, le denunce, le aggressioni subite nel corso di questi anni, come non era mai accaduto ad alcun giornale cittadino). Anche “Quindici” era e resta un giornale “scomodo”. In questi anni mi sono sforzato di ispirarmi laicamente, per quanto possibile nel mio piccolo, ai suoi insegnamenti, ai valori della libertà, della verità, della giustizia e soprattutto della solidarietà. Mi ha sempre sorretto la forza di quella promessa e di un impegno morale verso una persona che ha dato tanto a me, ma, credo, a ciascuno di noi, anche a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ma che lo scopre oggi attraverso i suoi scritti, che restano di un’attualità sconcertante. Ecco perché oggi tutti ne sentiamo la mancanza. Don Tonino è stato e resta un profeta del nostro tempo.

Autore: Felice de Sanctis
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