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Dipingo, dunque esisto! Gaetano Grillo si racconta
15 dicembre 2014

Per esprime la certezza indiscussa che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante, Cartesio usava la locuzione cogito ergo sum che significa letteralmente «penso dunque sono». Così parafrasando l’asserzione del famoso filosofo e matematico francese, oggi Gaetano Grillo intitola la sua ultima fatica, il libro “Dipingo, dunque esisto!”. Organizzata dalla locale Associazione Puglia Autentica con l’ausilio della Casa Editrice L’Immagine (che ha pubblicato il libro) e con il patrocinio del Comune di Molfetta, la serata di presentazione si è svolta nella sala Finocchiaro della Fabbrica di San Domenico. Con un titolo – come lo ha definito Gaetano Centrone – del tutto programmatico, il libro di Grillo diventa mezzo di espressione per l’arte nonostante le storture subite dal sistema negli ultimi tempi. Caratterizzato da un’estrema scorrevolezza, riservata come è noto sempre agli scritti migliori, riproduce un collage tra l’espressione del sentimento d’amore verso la pittura e la critica che, seppur a malincuore, le rivolge. È un racconto che potrebbe sembrare autobiografico ma che in realtà può essere definito al massimo diaristico, come ha suggerito il professor Gaetano Mongelli. È un elogio all’arte figurativa che, secondo l’autore, rappresenta la “casa madre” di tutti i linguaggi dell’arte visiva. Si tratta, dunque di un testo capace di evocare immagini, luoghi e situazioni coniugandole con molte riflessioni sulla pittura e sulla’arte che troppo spesso si sottomettono all’odierno conformismo. Ma alla pars destruens, come sosteneva il grande luminare Bacone, Grillo giustappone la pars costruens, proponendo una personale prospettiva di recupero dell’arte attraverso l’accettazione della sua incompletezza ed emarginazione. È una presa di coscienza infondo sul rapporto tra l’arte, il mercato e la speculazione che sottrae alla produzione artistica il valore etico e l’idea che debba essere al servizio della ricerca. Il testo – come ha raccontato Anna d’Elia – nei primi capitoli si avvale di un registro narrativo attraverso cui l’autore nostrano racconta, in modo misterioso e quasi epifanico, il momento in cui ha scoperto la pittura: «[…] All’improvviso una rifrazione con i colori dell’iride apparve sui miei segni anemici come un respiro lieve e tremulo. Era una luce luminosissima, con colori sfumati e delicati; attraversò il mio graffito vibrando sensibilmente e dopo pochi secondi svanì nell’ombra. Rimasi sbalordito e incantato, o meglio ammaliato, da quella apparizione vitale, delicatissima e poetica; sentivo dentro di me un turbamento profondo, un’emozione indescrivibile […]». È il caso di dire che è stato amore a prima vista. Ma proseguendo, lo stile narrativo muta, regalando al lettore un racconto saggistico incentrato sull’analisi degli ultimi cinquanta anni di storia dell’arte italiana ed europea, caratterizzati dal mutamento di mode, tendenze e linguaggi. Di fatti a partire dagli anni ’70, decennio particolare che ha sancito l’esclusione dei linguaggi tradizionali della produzione artistica, si afferma l’idea di un’arte concettuale che “al fare” privilegia il pensiero. È come se l’opera si smaterializzasse e si tramutasse in un gesto, una parola. Anche la galleria, come spazio di accoglienza dell’arte, viene travalicato a favore di installazioni realizzate anche per strada. L’idea era quella di voler disseminare l’intervento artistico nell’ambito della quotidianità, operazione possibile in quegli anni grazie alla rottamazione di un modello tradizionale di fare arte e al mutamento che temi e linguaggi stavano subendo. Ma col passare del tempo anche questo filone di pensiero e azione, diffondendosi, è diventato esso stesso atto di conformismo, un’aberrazione che standardizzandosi è diventata ordinaria. A fronte di tale consapevolezza, Grillo lancia una provocazione: ritornare a dipingere per amore del puro gesto artistico, tralasciando e snobbando l’idea di arte come consumo. Infondo è un modo per rendere libero l’artigiano della produzione visiva, senza costrizioni derivanti da regole dettate dal periodo storico. È vero. Si correrà anche il rischio di esclusione per non essersi adeguati alle tendenze e mode del momento, ma così facendo l’artista recupera la sua dimensione di autenticità. Originalità che non è però sinonimo di un tradizionalismo spasmodico ma di apertura a nuovi modelli, conservando sempre la propria e personale espressione. Di fatti, Grillo sostiene che la pittura, come strumento di estrema sensibilità che permette di entrare in contatto con i colori, non si esprime solo attraverso l’utilizzo della tavolozza e del pennello ma accoglie anche l’istanza della modernità di un pixel o di un’immagine video. Un codice culturale contemporaneo ma sempre attento a preservare e coniugare sapientemente passato e presente. In ultimo definendo l’arte come uno dei maggiori strumenti di comunicazione, Antonella Pierno – amica e collega di Grillo presso l’Accademia di Belle Arti di Brera – definisce il pittore molfettese come un grande interprete della sua dimensione artistica, un operatore culturale e didatta di valori condivisi.

Autore: Angelica Vecchio
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