Astensionismo Non sono bastati 5 candidati sindaci, 18 liste e un esercito di 412 candidati a convincere tanti cittadini ad andare a votare. 34.068 votanti il 6,22% in meno rispetto al 2013: 3.332 persone in meno, malgrado il numero degli elettori fosse aumentato da 55.950 a 56.193. Certo è un fenomeno abbastanza diffuso, a cominciare dalle città vicine che si recavano al voto: Bitonto -6,03%, Terlizzi -2,58, Giovinazzo - 2,73. Ma rimane il fatto che Molfetta ha la più bassa partecipazione al voto dell’intera provincia di Bari, e una percentuale notevolmente più bassa della media provinciale (68,34), regionale (66,74). Né possono bastare a spiegare una performance così negativa i 7.000 elettori in più rispetto ad appena 6 mesi fa, al referendum del 4 dicembre, che dovrebbero essere molfettesi residenti all’estero, che conservano il diritto ad esprimere un voto durante le elezioni amministrative, anche se difficilmente possono esercitarlo realmente. Il progressivo e inesorabile aumento dei cittadini che decidono di non partecipare al voto dovrebbe far riflettere partiti e forze politiche in genere, e non solo a livello locale, visto che si tratta di fenomeno nazionale e non solo. In queste ultime elezioni amministrative la media nazionale di partecipazione è stata perfino inferiore a quella bassissima di Molfetta, fermandosi al 60,07% (-6,81), né ci può consolare il fatto che alcune medie regionali si avvicinino alla soglia fatidica del 50%: Liguria 50,63, Lombardia 55,30 ed Emilia Romagna 55,51 o che città importanti come Genova l’abbiano addirittura superata fermandosi addirittura al 48,39%. Che non sia solo un problema italiano lo conferma il primo turno delle elezioni legislative francesi tenutesi lo stesso giorno delle nostre amministrative, in cui si è registrato un astensionismo record, pari al 51,2%, in pratica meno di un francese su due si è recato a votare: mai si era raggiunto un livello simile dal 1958. Quasi sicuramente il 25 giugno, al secondo turno, sarà molto peggio. Già nel 2013 quasi 5.000 persone non andarono a votare al secondo turno rispetto al primo, facendo scendere la percentuale al 58,90%. Nel 2006 furono 9.098 in meno. Nel 1994 addirittura -9.238. Questa vota è probabile che la percentuale scenda sotto la soglia del 50% e che altre 10.000 persone vadano al mare. Sconfitti e perdenti Sicuramente sconfitti sono i navigatori solitari Leonardo Siragusa e Bepi Maralfa, entrambi fuori dal prossimo Consiglio comunale. Il primo non ha lesinato investimento in denaro (nella dichiarazione preliminare ha scritto che avrebbe speso 20.000 euro come candidato sindaco), presenza pubblicitaria massiccia sia per strada che in rete, anche escogitando la furbata della pubblicità dell’agenzia immobiliare praticamente identica alla pubblicità elettorale, dichiarazioni roboanti (“non so che farmene dei partiti, la città è con me”). Risultato: 1.256 voti al candidato sindaco, 965 alla lista. Bocciato. Stessa sorte per Bepi Maralfa, che raccoglie 1.427 voti come candidato sindaco e 1.218 alla lista. Un risultato davvero deludente sia se confrontato con quello ottenuto il 2013 (3.229, – 66%) sia con le pesanti deleghe ricoperte durante la triennale esperienza amministrativa (vicesindaco, con delega alla socialità, politiche giovanili, Polizia municipale, sicurezza, legalità e trasparenza). Bisogna riconoscere che Bepi Maralfa è l’unico componente della giunta uscente, insieme all’ex sindaco Paola Natalicchio, ad aver avuto il coraggio di presentarsi al giudizio dell’elettorato, anche a rischio per entrambi di diventare bersaglio di tutte le frustrazioni sociali e le rabbie represse di una città dalla memoria labile, disposta a perdonare i grandi peccati ma inesorabile fino alla cattiveria con le colpe minori. La risposta comunque per l’ex vice sindaco è stata chiara e forte: bocciato. Alla luce di questi risultati, peraltro prevedibili anche se magari non in maniera così eclatante, appare ancora meno comprensibile la sciagurata scelta di presentarsi da solo, impedendo di fatto il formarsi di una coalizione rappresentativa dell’azione amministrativa, depurata dei fedifraghi. D’accordo le responsabilità non sono solo sue, ci sono molti corresponsabili della disastrosa frammentazione del centro-sinistra (Paola Natalicchio e le sue dimissioni allo stesso tempo premature e tardive che hanno condannato la città a un anno di commissariamento, la sanguinosa “guerra dei Roses” dei guglielmini contro l’”ingrata” Paola, Gianni Porta e Rifondazione che hanno voluto imporre una candidatura a prescindere da qualsiasi confronto e metodo democratico di selezione della candidatura, i fuorusciti dal Pd che hanno condizionato la loro scesa in campo a un impossibile accoglimento nella coalizione dei Cambiaverso, le capriole dei GD ecc. ecc.), ma il colpo di grazia a poche ore dall’apertura della campagna elettorale fu suo. Sarebbe un bel segnale di nuova politica sentirlo dire semplicemente: scusate, ho sbagliato. Altri sconfitti sicuramente sono i Grandi Partiti. Primo fra tutti Forza Italia del sen. Antonio Azzollini. Può sembrare strano segnare nella lista degli sconfitti quello che si conferma primo partito della città. Eppure a me sembra evidente che un partito che perde quasi il 58% dei voti scendendo da 8.674 a 4.099, non può che essere considerato sconfitto. Certo, a scusante bisognerebbe considerare che gran parte dei candidati del 2013 sono transitati in altre liste, soprattutto nelle liste civiche farlocche della Grande Armata di Tommaso Minervini. Ma tant’è, questa, per loro, è la politica della Terza Repubblica. Il secondo Grande Partito sconfitto è il Partito Democratico. In pochi mesi è riuscito a mettere in atto un vero capolavoro di masochismo politico: ha affossato l’amministrazione in cui era partito di maggioranza relativa, ha cacciato larga parte dei suoi fondatori locali, ha abbracciato in un’alleanza scabrosa buona parte del personale politico della destra, ha accompagnato alla porta il giovane segretario da poco eletto all’unanimità dal congresso insieme alla parte più attiva e vivace del partito, compresi gli ex assessori. Risultato elettorale: perde un terzo dei suoi voti, malgrado il consistente apporto di sangue fresco trasmigrato dalla ex SEL (quasi metà dei 3192 voti sono “proprietà personale” di Piergiovanni, 1024, e Facchini, 355), manda a casa l’intero gruppo consiliare eletto nel 2013 (tutti, ma proprio tutti!), passa da 7+1 consiglieri a 3, nella migliore delle ipotesi. Ciliegina sulla torta: dopo il voto diffonde un comunicato stampa per dire di aver ottenuto “Risultati straordinari”. È vero, straordinario, difficile fare peggio. Sconfitte sono anche le altre liste che sicuramente non entrano in Consiglio Comunale: DEP - Democratici e Progressisti (839 voti) e Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale (405 voti). Un premio speciale (lo Sfigatino d’oro 2017) merita la lista DEP - Democratici e Progressisti: non solo ha presentato solo 18 candidati invece dei canonici 24, ma ha collezionato ben 4 candidati con 0 voti e altri 5 con voti da 1 a 7. Un record difficile da battere. Progetto Molfetta, capeggiata da Giulio la Grasta, che di suo raccoglie 408 preferenze, si aggiudica lo Sfigatino d’argento 2017 per aver schierato 4 candidati con 0 voti e 2 candidate con 1 solo voto. Anche Fratelli d’Italia - Alleanza Nazionale non scherza, ma deve accontentarsi dello Sfigatino di bronzo 2017: anche loro hanno presentato solo 18 candidati, tra i quali 3 non hanno nemmeno avuto il coraggio di votare se stessi e altri 3 hanno raccolto meno di 8 voti. Sconfitta è la coalizione di sinistra (o centrosinistra?) capeggiata da Gianni Porta. Se dobbiamo credere alle intenzioni proclamate a gran voce durante tutta la campagna elettorale, l’obiettivo era arrivare al ballottaggio per evitare la sciagura di un “ballottaggio tra due destre”. L’obiettivo non è stato raggiunto e questo per me è sinonimo di sconfitta. Il fatto che poi fosse un obiettivo troppo ambizioso, troppo difficile se non impossibile da raggiungere, che il risultato raggiunto fosse prevedibile, che anzi possa essere considerato persino migliore delle più rosee previsioni sono considerazioni che avrebbero potuto avere valore prima del voto, nelle estenuanti riunioni degli inconcludenti tavoli che hanno ucciso la primavera del 2013, la speranza del cambiamento. Almeno per questa tornata elettorale. Può sembrare paradossale, ma un grande sconfitto del voto dell’11 giugno è Tommaso Minervini. Tanto abile nel costruire una coalizione apparentemente invincibile, destinata alla vittoria al primo turno, quanto incauto nel non rendersi conto, come un nuovo dottor Frankenstein, di aver costruito una specie di mostro politico, apparentemente potente ma intimamente fragile e ingestibile. La conferma viene dallo scarto enorme tra candidato sindaco (15.154 voti, 45,72%) e coalizione (16.311 voti, 51,05%): 1157 voti in meno, -5,33%, una enormità, uno scarto persino superiore a quello che portò poi alla sconfitta Ninnì Camporeale nel 2013. Un segnale allarmante, preoccupante. Certo l’avv. Isa De Bari non pare un avversario preoccupante: eccellente professionista, stimata universalmente come avvocato matrimonialista, scelta come controfigura dal sen. Azzollini, è apparsa assai debole dal punto di vista politico, impacciata nelle interviste, ha inanellato una serie di gaffe, deludente e impreparata nel primo confronto con gli altri candidati sindaco, si è presentata al secondo con un compitino apparentemente scritto da altri, vista la difficoltà che ha avuto nel leggerlo, per poi disertare tutti gli altri rimediando una palese brutta figura. Ma visto il risultato raccolto, non pare che la preparazione politico-amministrativa sia un requisito apprezzato né considerato necessario da molti elettori molfettesi, in particolare quelli di destra. Evidentemente contano più le capacità di convincimento personale degli elettori, i fondi messi a disposizione (una leggenda metropolitana che gira in città narra di 400.000 euro già investiti dal senatore in questa campagna elettorale), che potrebbero essere determinanti nel secondo turno, quando le truppe dei candidati al Consiglio comunale tornano deluse a casa. Non possiamo però dimenticare che nella storia delle elezioni amministrative a Molfetta non è mai successo che un candidato che prende meno voti delle sue liste riesca a farsi eleggere sindaco. Non è una previsione, è una costatazione e un campanello d’allarme. I vincitori (per ora) Certamente, per ora, vanno considerati tra i vincitori i due candidati sindaci e le due coalizioni che si sfideranno al ballottaggio il 25 giugno, ma solo uno tra loro lo sarà per davvero. Invece sicuramente vincitore, anche se non vincente, è un altro candidato sindaco: Gianni Porta. Ha infatti raccolto 5.389 voti, ben 1.183 più della somma delle liste che lo sostenevano. Ha fatto una campagna pacata, dai toni moderati (e forse anche moderata nei contenuti), quasi fosse preoccupato di mostrare che non è vero che “i comunisti mangiano i bambini”. Ha fatto vedere a tutti di essere competente e preparato sia nei confronti pubblici che nei comizi in solitario. Aveva una partenza ad handicap, con una coalizione scollata e litigiosa, messasi insieme a poche ore dall’inizio della campagna elettorale senza entusiasmo, durante la quale con pazienza ha saputo riaccendere la passione di un popolo che appariva sfiduciato e rassegnato. Considerando le condizioni date, probabilmente ha raccolto il massimo. Ma lui e il suo partito, insieme a tanti altri come abbiamo già scritto, hanno la pesante responsabilità di averle create quelle condizioni, imponendo senza condivisione quella candidatura. E non è poco. Altro vincitore è proprio il Partito della Rifondazione Comunista. Praticamente scomparso nel resto d’Italia, dove i sondaggi più generosi lo accreditano tra lo 0,7 e l’1,2% , a Molfetta raggiunge un lusinghiero 6,22% con 1.989 voti, con un +52,53% rispetto al 2013, raddoppiando, da perdenti, la propria rappresentanza consigliare. Unico neo: a rappresentarli saranno i sempiterni Zaza e Porta. L’usato sicuro va di moda a Molfetta. Usato sicuro anche per un altro “vincitore”, nelle file della coalizione di Destra: Pino Amato, che dopo una pausa forzata, torna a essere il più Amato dai molfettesi; dall’alto delle sue 1176 preferenze, traina anche il suo partito l’UDC a un + 49,61% con 2310 voti, che ne fanno il quarto partito più votato dopo Forza Italia (4.099), PD (3.192), Insieme per la città di Tammacco (3.151). Top e flop Il top dei top va sicuramente assegnato a chi è riuscito da solo a prendere più di mille consensi. Sono soltanto tre: Amato (UDC) con 1176 preferenze, Minuto (Direzione Italia ) 1079, Piergiovanni (PD) 1024. Devo confessare la mia ammirazione e anche una buona dose di invidia. Se i tre top player fossero disposti a donare alla città una serata di sincerità, lasciando a casa le banalità tipo “sono sempre al servizio di chi ha bisogno di aiuto”, e volessero raccontare davvero “tutta la verità, nient’altro che la verità” su come si fanno a raccogliere elezione dopo elezione per interi lustri oltre mille preferenze sarei disposto ad organizzare un seminario e sono sicuro che ci sarebbe la fila anche se ci fosse da pagare il biglietto per accedere. Al top anche altri campioni di raccolta delle preferenze tra 500 e 1000 ci sono 5 candidati: Enzo Spadavecchia (Molfetta per la Puglia) 794, Sergio De Candia (Molfetta per la Puglia) 661, Mariano Caputo (Molfetta futura) 585, Marilena de Gioia (Insieme per la città) 582, Michele Palmiotti (Molfetta Futura) 533. Si avvicinano a quota 500 altri 6: l’ex sindaco Paola Natalicchio (SI) con 497 voti, Sara Castriotta (Forza Italia) 472, Carmela Germano (Molfetta per la Puglia) 471, Adele Claudio (UDC) 465, Pietro Mastropasqua (Si può fare Molfetta) 458, Antonello Zaza (Rifondazione) 442. Tra i top vanno segnalate le new entry a Palazzo Giovene. In caso di vittoria di Minervini: Gabriella Azzollini per il PD, Marilena de Gioia, Vito Paparella e Nicola La Forgia di Insieme per la città, Dario de Robertis e Giuseppe Balestra per Molfetta in più. Per Forza Italia oltre a Sara Castriotta entrerà Fulvio Spadavecchia. In caso di vittoria dell’avv. De Bari si aggiungeranno Maria Spano, Doriana Carabellese, Leonardo Scardigno, Mimmo Cives per Forza Italia, Adele Claudio, Nella Sgherza e Rino Lanza per l’UDC, Daniele Bellarte per Direzione Italia. Venendo ai flop, ben 15 candidati hanno totalizzato 0 voti, 6 hanno raccolto solo 1 voto. Per carità di patria li lasciamo nell’anonimato, anche se ci resta un dubbio: per quale accidenti di motivo si sono candidati? Tra i flop spicca il vicepresidente del Consiglio comunale Saverio Patimo, forse trascinato a fondo dalla débâcle del PD, il suo partito, che sprofonda dai 680 voti del 2013, che lo avevano incoronato maggior suffragato, agli attuali 234 che lo collocano al settimo posto. Flop anche per gli altri consiglieri uscenti del PD Roberto La Grasta (aspirante candidato sindaco) 245 voti (227 con Signora Molfetta), Raffaella Ciccolella 131 (432 l’altra volta) e Davide de Candia (passato intanto a DEP) 265 (468 nel 2013). Gli altri ex consiglieri del PD Annalisa Altomare, Giuseppe Percoco, Damiano Angeletti e Sergio De Pinto hanno preferito rimanere fuori a questo giro. Altro flop, vista la grande campagna mediatica messa su negli ultimi mesi, è quello della nuova lista civica Officine Molfetta e del suo ispiratore Pasquale Mancini, partito con la grancassa e proclami roboanti per fare il candidato sindaco e riuscendo a rimediare appena 172, surclassato dal sempreverde Antonio Ancona che con 365 voti potrebbe approdare in Consiglio se vince Tommaso Minervini. Flop anche per il giovane e attivissimo Luigi Vista che si ferma a 60 preferenze. Spigolando qui e là tra le liste è possibile scoprire altri flop. Solo per fare qualche esempio, senza pretese di esaustività, Paola Latino passa dai 224 del 2013 a 81 voti; Michele La Grasta segnalatosi per alcuni post quantomeno discutibili su Facebook si ferma a 89 voti; Leo Bicò, protagonista come Siragusa di pubblicità furbette che mischiavano politica ed affari, rimane fuori dal consiglio con i suoi 193 voti. E si potrebbe continuare con questo gioco della caccia ai flop. Lasciamo ai lettori il compito di segnalare i tanti flop di questa incredibile campagna elettorale districandosi nell’esercito dei 412 candidati. Coppie e giovani sogni Un altro gioco divertente è quello delle coppie: come sapete era possibile assegnare due preferenze purché di genere diverso e appartenenti alla stessa lista e ci sono alcune coppie che hanno saputo cogliere a pieno questa opportunità: Palmiotti e Secchi (Molfetta Futura) con 533 e 454 voti, Castriotta e Pisani (Forza Italia) con 472 e 372, Azzollini e de Nicolò con 316 e 315. A voi il compito di continuare. Per finire questa lunga carrellata di spigolature tra i risultati elettorali vorrei toccare un argomento che mi sta molto a cuore, la presenza abbondante e vivace di giovani nelle liste elettorali e il magrissimo risultato di giovani che entreranno in Consiglio Comunale: un solo giovane sotto i 25 anni entrerà in Consiglio (Dario De Robertis per La Molfetta in più con 272 voti), 3 con meno di 35 (Gabriella Azzollini per il PD 316, Marilena de Gioia di Insieme per la città 582, Sara Castriotta per Forza Italia, 472) in caso di vittoria di Minervini, mentre se vince De Bari non entra Azzollini del Pd sostituita da Bellarte di Direzione Italia con 178. Davvero troppo poco. Certo non ci facciamo eccessive illusioni, come dimostrato anche nello scorso Consiglio comunale si può essere vecchi anche con meno di 30 anni e farsi imprigionare da vecchie logiche e rapporti di potere. C’è chi fa notare che anche tra questi giovani ci sono rappresentanti del partito trasversale del mattone che potrebbero trovarsi presto in palese conflitto di interessi. È vero, può succedere, purtroppo. Ma noi che siamo inguaribili sognatori, che non vogliamo perdere la speranza del cambiamento, immaginiamo che possa anche succedere che un giovane architetto arrivi in Consiglio e si faccia paladino della difesa dell’ambiente e del paesaggio, della buona urbanistica e del bello.