Dall’anno trascorso all’anno che verrà
Con una miriade di maledizioni, ci siamo messi alle spalle l’orribile anno 2020. Milioni di contagi, angosciosi ricoveri in terapia intensiva e decessi a decine di migliaia solo in Italia. Imprese sul lastrico, attività chiuse e operatori senza lavoro. Come se non bastasse, alcuni giornali hanno stimato che la pandemia del Covid-19, unita ai gravi problemi pregressi, polverizzerà più di 170 miliardi di euro del prodotto interno lordo, lasciando in ginocchio l’economia nazionale in un contesto europeo e mondiale notevolmente destabilizzato. Per questo, purtroppo, in futuro saremo chiamati a pagare un conto salatissimo. Per tentare di spiegare la sciagura universale del 2020, c’è chi ha fatto ricorso al folklore e nei talk show si è compiaciuto di sentenziare: Anno bisesto, anno funesto, dimenticando o ignorando che la cosiddetta saggezza popolare in quel proverbio ci somministra una coda molto amara: e triste quello che gli viene appresso (che speriamo non si avveri mai). A loro volta, i calendaristi superstiziosi e gli astrologi del senno del poi hanno osservato che il 2020 aveva ben tre vipere in seno: venerdì 17 a gennaio, ad aprile e a luglio, per cui c’era poco da stare allegri. I più snob poi, per far colpo, hanno citato nientemeno che la teoria del cigno nero, cioè l’imprevedibilità di alcuni eventi dalle conseguenze impensabili, teoria formulata da Nassim Nicholas Taleb, epistemologo americano di origini libanesi. Il saggista, nel libro The Black Swan (Il Cigno Nero, appunto) prende le mosse dal verso di Giovenale Rara avis in terris, nigroque simillima cycno (Uccello raro sulla terra, quasi come un cigno nero) per discettare sulla tendenza degli uomini a dare, con uno sguardo retrospettivo, interpretazioni fallaci e semplicistiche di certi accadimenti rari e impreveduti dagli effetti fortemente negativi, che in parte si potrebbero arginare e talvolta volgere a proprio vantaggio. Oltre all’elevato numero di vittime del contagio, lo scotto più grave che abbiamo pagato e che stiamo ancora pagando è la forte restrizione della libertà individuale e la perdita quasi totale della libertà associativa a causa delle imposizioni governative. Complice la deprecabile faziosità e rissosità di molti politici, opinionisti e sedicenti epidemiologi, su di esse molto si è discusso e si discute, a proposito e a sproposito. Si sono chiamati in causa anche i silenzi e le notizie a scoppio ritardato della Cina e invocati perfino loschi interessi di multinazionali e macchinazioni dirigiste sovranazionali. Ma il danno è fatto e cianciare a vuoto non serve, come più che mai non serve litigare nella maggioranza di governo o evocare o provocare crisi in un frangente come questo. Ora occorre voltar pagina. Prima di tutto, le regole igieniche, gli accorgimenti cautelativi e i distanziamenti fisici vanno rigorosamente rispettati. Secondariamente, bisogna offrire la massima collaborazione alle autorità più avvedute e lungimiranti, al lodevolissimo personale medico e infermieristico più efficiente, alle forze dell’ordine meglio coordinate e agli insegnanti spesso lasciati soli in prima linea, il cui impegno a volte viene misconosciuto e perfino ostacolato e vilipeso da parte di genitori poco avveduti. Inoltre, occorre comprendere, sorreggere, motivare e orientare verso il bene comune i giovani più indisciplinati e insofferenti dei vincoli e delle precauzioni igieniche, protettive e sociali. Infine, in un contesto politico più coeso e costruttivo, bisogna diradare il polverone asfissiante della disinformazione e delle fake news e combattere gli atteggiamenti irresponsabili dei negazionisti e dei no-vax. Infatti è il vaccino che ci salverà. In una pratica facoltativa, occorreranno necessariamente tempo e aggiustamenti di tiro per i vari tipi di vaccino, bisognerà eliminare le lentezze politiche, burocratiche, produttive e logistiche, ma i risultati positivi non mancheranno, grazie all’apporto determinante della scienza. Insomma, ciò che non si deve mai abbandonare è la fiducia nella ricerca scientifica, che può salvare molte vite umane. Per fare un solo esempio, mentre la quinta ondata di colera imperversava nel mondo tra il 1881 e il 1896 (in Italia nel 1893), il batteriologo tedesco Robert Koch nel 1883 riuscì a isolarne l’agente patogeno, il vibrio cholerae, e valutò la malattia come un’infezione gastrointestinale specifica. In questo modo aprì la strada alla possibilità di una profilassi, che fu realizzata per la prima volta a New York nel 1887. La tappa successiva fu la messa a punto di un vaccino da parte dell’Istituto Pasteur in Francia nel 1892. Così, durante la sesta pandemia del 1899-1923, nonostante i numerosi casi di contagio (in Italia soprattutto nel 1910), le maggiori conoscenze sui batteri del colera e i diversi mezzi di prevenzione impedirono alla malattia di diffondersi in maniera altamente drammatica in Europa, salvando moltissime vite. Su queste basi, nel corso della settima pandemia colerica, nel 1973 in Italia la profilassi e la vaccinazione diedero risultati eccellenti, limitando di molto i decessi in Campania, Puglia e Sardegna. Attualmente il progresso scientifico ha impresso una forte accelerazione alla messa a punto e al processo produttivo dei preparati immunizzanti. Per questo, armandoci di grande pazienza e d’infinita prudenza, potremo godere degli effetti benefici del vaccino, se approvvigionato tempestivamente, distribuito razionalmente e inoculato alla maggior parte della popolazione. Vitaliano Brancati, che era uno scrittore navigato e arguto, soleva dire: «L’arte sconvolge, la scienza rassicura». Ed è la rassicurazione ciò di cui ora abbiamo maggior bisogno. © Riproduzione riservata