Da “Molfetta vecchia” a “Centro storico”
Laboratorio di progettazione partecipata con il Comitato di Quartiere
Già nello scorso numero la nostra rivista si è occupata della nascita del Coordinamento di Quartiere del Centro Storico di Molfetta, sorto come iniziativa spontanea di residenti e operatori di volontariato del quartiere. Sfruttando la spontanea capacità di aggregazione degli abitanti del quar-tiere, il Comitato opera attraverso assemblee collettive che si svolgono al centro di via Piazza, riportando poi le eventuali richieste al Sindaco o ad altri enti competenti. Tramite questa modalità finora il comitato ha potuto conseguire piccoli ma importanti successi, come la riapertura delle fontane collocate all’interno del Centro Storico, per qualcuno degli abitanti unico punto di approvvigionamento idrico.
Ed è di qui che passa il processo che potrebbe portare, anche nel linguag-gio comune, alla trasformazione di “Molfetta Vecchia” nel “Centro Stori-co”. Non si tratta solo di una finezza linguistica: è evidente come il modo di definire qualcosa, in questo caso un quartiere della propria città, è espressione dei sentimenti che si nutrono nei suoi confronti. Riesce facile dunque comprendere come sia differente parlare di “Centro Storico”, piuttosto che di “Molfetta Vecchia”.
Sulla spinta delle idee emerse dalle prime assemblee, il Comitato ha ora deciso di lanciare un’iniziativa di progettazione partecipata del Centro Storico, riprendendo esperienze sperimentali realizzate già in altre parti d’Italia, una delle quali tentata in passato anche nel quartiere Catacombe. L’obiettivo primario è quello di riqualificare alcuni spazi del quartiere, co-sì da renderli fruibili da tutti, facendo però in modo che le destinazioni d’uso siano legate alle richieste della popolazione.
Nella progettazione partecipata, viene evitato l’intervento di studiosi ed esperti solo esterni, le cui proposte potrebbero poi essere vissute come im-poste, preferendo invece interpellare gli abitanti. Rispetto alle esperienze precedenti, però, questa si distingue perché il gruppo di lavoro, in definiti-va tutti gli abitanti, sono direttamente coinvolti sin dall’inizio nella realiz-zazione dell’idea, nella individuazione delle proposte, e d’altro canto, non essendo il gruppo sorto per l’occasione, potrà fare tesoro dell’esperienza specifica, proseguendo in futuro con altri obiettivi, e controllando anche la realizzazione e la conservazione degli obiettivi raggiunti. Un altro ele-mento rilevante in questa iniziativa è l’assenza di una figura individuale che accentri su di sé il controllo di tutto.
Con queste intenzioni le prime assemblee di quartiere hanno mirato a in-dividuare le esigenze primarie del quartiere e gli spazi da riqualificare, in modo da far convergere le esigenze di recupero con il soddisfacimento di una richiesta diretta degli abitanti. La proposta emersa è stata quella di intervenire sullo spiazzo collocato tra via Amente e via Forno, laddove c’era uno dei primi edifici interessati dai crolli dell’immediato dopoguer-ra. Uno spazio che gli abitanti hanno spontaneamente definito piazza Amente, poiché si è persa la memoria della situazione originaria. In questa area, ora utilizzata solo dai residenti più vicini come parcheggio, la propo-sta della maggior parte degli intervenuti alle assemblee, è stata la realizza-zione di uno spazio di gioco per i bambini, che ora sono costretti ad utiliz-zare aree esterne alla cinta muraria, come la banchina San Domenico o piazza Mazzini, con i rischi connessi al traffico leggero e pesante.
Il Comitato ha poi creato una commissione, finalizzata proprio all’organizzazione ed alla gestione dell’iniziativa di progettazione parteci-pata. Il luogo dove però le decisioni vengono prese rimane l’assemblea di quartiere, aperta a tutte le persone interessate e di buona volontà, seppure non residenti all’interno delle mura.
In tutto questo nessuno dei partecipanti si nasconde le difficoltà che pos-sono sorgere qualora la realizzazione delle proposte richieda l’eliminazione di abusivi privilegi di pochi, che diverrebbero invece disagi per tutti gli altri.
L’obiettivo a lungo termine dell’iniziativa rimane il risanamento definitivo del quartiere, e la sua gestione oculata, per renderlo vivibile da chi ci abita e da chi viene solo per visitarlo, obiettivo che va sentito come un’esigenza da tutti i 70.000 molfettesi.
Senza voler fare del campanilismo spicciolo, siamo tutti chiamati a pren-dere coscienza delle peculiari caratteristiche formali delle strade del Nu-cleo Antico, degli angoli da valorizzare, delle piccole soluzioni realizzate sugli edifici usando solo uno scalpello sulla pietra, e della loro conserva-zione, poiché l’amore della propria città passa dalla sua conoscenza. Dob-biamo comprendere come Molfetta non ha nulla da invidiare ad altre lo-calità, vicine e lontane da noi, e saperle proporre e valorizzare costante-mente, anche nell’ottica di potenziare l’offerta turistica. Girando per l’Italia non è difficile vedere come altre città siano state in grado di inte-ressare partendo da piccoli tesori, ben curati e pubblicizzati, e da piacevoli iniziative. Ad esempio non va ignorato il ruolo giocato negli anni scorsi dall’evento “Kalenda Maia”.
Certo, a questo deve poi fare seguito un’attività imprenditoriale illumina-ta, capace di rischiare un capitale iniziale per potenziare le attività ricetti-ve, piuttosto che per incrementare i servizi di ristorazione, che servono solo al turista “mordi-e-fuggi”, ma in questa speranza ci soccorre la sag-gezza orientale, ricordandoci che “i lunghi viaggi cominciano sempre con un piccolo passo”.
Nicolò Visaggio