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“Cum tanto ardire et audacia”
15 marzo 2019

Bernardino Tommasini nacque a Siena nel 1487. Fu detto Ochino dal nome della contrada senese dell’Oca, dove era la casa natale. Intorno al 1503 entrò nell’Ordine dei francescani Osservanti. Negli anni seguenti iniziò la sua ascesa nelle gerarchie dell’ordine, insieme all’instancabile attività di predicatore itinerante, che gli consentì anche di conoscere e frequentare personaggi di rilievo che in futuro si sarebbero distinti per aver promosso un programma di riforma della vita religiosa, a cominciare dal vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti. Tuttavia, ritenendo che l’Osservanza fosse degenerata per infiltrazioni politiche e per diffusi episodi di immoralità, Bernardino decise nel 1534, di abbandonarla per aderire, con numerosi altri confratelli, alla Congregazione dei Cappuccini, fondata nel 1525 da Matteo da Bascio, e Ludovico da Fossombrone. L’intento era di ricondurre i frati minori alla originaria purezza della Regola francescana. La comparsa e la predicazione dei cappuccini, produsse un impatto notevole nella società religiosa italiana del tempo, percorsa da tensioni apocalittiche ed attese di rigenerazione morale che traevano alimento, anche se in maniera indiretta, dalla prima diffusione delle dottrine della Riforma, che penetrarono in Italia come un fiume sotterraneo difficilmente individuabile e valutabile nella sua reale pericolosità. La reazione di Roma fu inizialmente contraddittoria ed esitante nel valutare le devianze, e nel predisporre adeguate reti e modalità di controllo e repressione. Grazie al suo eccezionale carisma, alla dottrina ed alla predicazione incentrata sull’annuncio del Vangelo, e sulla esortazione alla conversione interiore basata sulla fede nel “Beneficio di Cristo”, Ochino tra il 1535 e il 1542, percorse più volte la penisola, salendo sui pulpiti più prestigiosi, coltivando amicizie e riconoscimenti fra membri dell’alta aristocrazia italiana, e contribuendo alla diffusione di una spiritualità autonoma ed evangelica, guardata con sempre maggiore sospetto dai più severi assertori della ortodossia romana. Nel 1538 fu eletto Vicario Generale dei Cappuccini. Nella Quaresima del 1536 a Napoli, in San Giovanni Maggiore, ebbe tra i suoi ascoltatori l’Imperatore Carlo V, e conobbe l’agente imperiale Juan Valdés, che in quegli anni stava acquisendo fama di maestro spirituale dei nuovi fermenti religiosi, insieme a Giulia Gonzaga, Marcantonio Flaminio, ed altri. Intanto, con la pubblicazione delle sue prime opere, aumentava la sua fama di innovatore, ma anche i sospetti di eterodossia, provenienti in particolare dagli ambienti dei Teatini di Napoli. Nell’agosto del 1542, Ochino, allora a Verona, non rispose alla convocazione del Pontefice Paolo III che lo richiamava nella capitale, ufficialmente per discutere problemi riguardanti il suo Ordine. Temendo una incriminazione, e forse un processo per eresia, decise di fuggire dall’Italia, rifugiandosi a Ginevra insieme al canonico lateranense Pietro Martire Vermigli, ed altri suoi seguaci. Da quel momento inizia per il Nostro una lunga e tormentata odissea, che lo condusse in diversi Paesi europei, con alterne vicende, alla disperata ricerca di una riconciliazione di tutti i cristiani, all’insegna del reciproco rispetto e tolleranza. In questa sede non possiamo seguire tutte le sue dolorose vicis- situdini: Bernardino Ochino, ormai vecchio ed in miseria, morì nel 1564 a Slavkov in Morvia, ospite del medico veneziano Niccolò Paruta, autorevole esponente del movimento anabattista, combattuto con eguale ferocia, da protestanti e cattolici. Queste brevi note biografiche sul Tommassini, ci servono per introdurre alcune notizie sulla vita, altrettanto errabonda, di un altro cappuccino, spogliatosi del saio e passato all’eresia: Girolamo Spinazzola da Molfetta, pressocchè sconosciuto nella nostra città. In realtà sia Michele Romano che Antonio Salvemini scrivono di un Girolamo da Molfetta, cappuccino, e famoso predicatore, ma entrambi collocano la sua nascita negli ultimissimi anni del ‘500, e lo fanno appartenere alla famiglia de Agno. Il Romano gli attribuisce addirittura la paternità del “Dialogo del Divino Amore” di cui più avanti: tutti particolari che escludono si tratti della stessa persona. E’ pertanto ragionevole supporre che il primo Girolamo, nato intorno al 1510, sia di origine molfettese. Cercheremo ora di riportare le scarse notizie che abbiamo rinvenuto in merito a questo cappuccino. Il racconto non sarà lineare ma procederà per riferimenti slegati, provenienti da fonti diverse. Ci siamo limitati quindi ad un mero elenco, ritenendo impraticabile, al momento, una organica successione cronologica. Ne emergerà comunque il ritratto di un protagonista di non secondaria importanza della travagliata e complessa riforma cappuccina di metà Cinquecento, con le sue crisi, apostasie, processi, condanne, esili, riconciliazioni. Si tratta beninteso di un primo approccio che necessita di ulteriori approfondimenti, ammesso che questi siano possibili. Prima di proseguire, va fatta una fondamentale premessa. Intorno al 1535 Girolamo conosce l’Ochino, ha modo di ammirare la sua forte personalità ed il suo carisma e di condividere le idee che va maturando e professando e che provocano, con il progressivo distacco dalla ortodossia, grande sconcerto nell’Ordine. Da quel momento fu tra i seguaci più validi e fedeli del senese, insieme a Francesco di Calabria, Gianbattista da Venezia, ed altri. Nell’autunno del 1542 raggiunge il suo Maestro a Ginevra e resta al suo fianco per qualche tempo. Poi le loro strade si divideranno. Nel 1536 Girolamo da Molfetta veniva denunciato a Brescia per predicazioni eterodosse, e nel 1539 espulso da quella città. Il cronachista Pandolfo Nassino, a proposito della predicazione del cappuccino nella chiesa bresciana di San Giovanni, dello stesso anno, racconta che questi si era scagliato contro la corruzione del clero e di alcuni ordini religiosi e di conseguenza “Alli dise aprile 1539 nel dì de Zobia circa ori 21 per il magnifico messer Zoan Antonio de ca Tayapiera pottestà de Bressa fo comandato al molto reverendo padre Ieronymo de Malfetta de l’ordine di frati capuzini scorniato fora de la giesia de Santo Zoanne e poi fora de la città di Bressa: qual frate predicava in Santo Zoanne. E cum tanto ardire et audacia che non so qual potesse avere tanta vose. Costui manzava se non del lem in manestra. E non voleva se non meza libra de pesso menuto lui et suo compagno. El magnifico Pottestà lo fece exomiar fora de Bressa, per tanta rabia messa insieme, ma dove andava, de terra in terra, andava predicando”. Un altro cronista cappuccino Mattia da Salò lo considerava “famoso predicatore non meno che l’Ochino”. Il 12 novembre 1551 il presbitero Pietro Manelfi anabattista pentito, nella sua denuncia all’Inquisizione romana, riferì che Girolamo nel 1540 aveva accompagnato Ochino ad Ancona ed aveva ricevuto da lui diversi libri di autori protestanti. Inoltre: “sono da dieci over undici vel circa fiate che facend’io predicare fra Hieronimo Spinazzola cappuccino la quaresima in una mia chiesa, mi cominciò detto frate persuadere che la chiesa Romana era contraria alla scrittura, et cosa diabolica ritrovata tra gli huomini. Passata la quaresima, essend’io andato ad Ancona, vi ritrovai detto frate, il quale mi condusse a frate Bernandino Occhino, che alhora si ritrovava in quella città il qual fra Bernardino mi confermò nella dottrina insegnatami da detto fra Hieronimo et di più mi disse ch’el Papa era l’Antichristo”. Il 22 novembre 1542 Umberto Gambara, Vescovo di Tortona, scrisse una lettera al cardinal Alessandro Farnese, riferendo di aver saputo che Ochino si trovava a Ginevra, dove “veste di negro con berretta da secolare, et è seco un napolitano che ha una gran barba rossa e bianca, il quale ha predicato, in Siena, Roma, et Fiorenza in San Lorenzo, et vi sono sei altri compagni “. Pietro Carnesecchi, già protonotario apostolico, protetto e beneficiato da Papa Clemente VII, si accostò e quindi professò idee riformate, seppure con grande prudenza. Le sue lettere a Giulia Gonzaga ritrovate e sequestrate alla morte di questa lo tradirono e segnarono la sua sorte. Condannato a morte, fu giustiziato a Roma il 1 ottobre 1567. Nel corso del suo processo, riferì di una predicazione combinata di Girolamo e dell’Ochino: “Io cognobbi questo Heronimo a Napoli nel ’39, in quel tempo che vi pre- dicava fra Bernardino, predicando esso nella Nuntiata. Né di poi mi ricordo di averlo visto altramente”. Dalle carte di un processo veneziano del 1543, si apprende che dopo la fuga di Ochino a Ginevra, e prima di raggiungerlo, Girolamo si rifugiò nei territori del conte Vinciguerra III di Collalto. Molti anni dopo, nel corso di un interrogatorio condotto dall’Inquisitore di Ceneda, un ex servitore dei conti, accusato di possedere dei libri eretici, confessò di averli trovati in un forziere chiodato: “Non so veramente de chi fussero, ma penso che tali libri potessero essere statti di uno che si dimandava si ben mi recordo, il Melficta, il qual era bandito per quello ho inteso da Papa Paulo III per heretico da tutto il mondo, et questo Melficta abitò in questo castello per qualche tempo”. Dalle carte di una inchiesta inquisitoriale condotta negli anni ‘60 del ‘500 dal vescovo di Larino, emerge che la diffusione delle idee riformate in Capitanata, e in particolare nella “Serra Capriola”, era dovuta alla predicazione dei cappuccini, “delli quali un fra Hieronimo da Melfeta, et altri frati del medesimo ordine predicarno et infusero dette heresie, et fra gli altri errori, insegnavan che non si doveriano adorare, ne scolpire l’imagini”. Nella seconda parte di queste note, parleremo dell’attività di Girolamo come autore e curatore editoriale. Ci limiteremo, per concludere a riportate le parti salienti di una sua Dedicatoria ai Somaschi di Lombardia che egli nel 1539 premise all’edizione, da lui curata del “Dialogo dell’unione spirituale di Dio con l’Anima, dove sono interlocutore l’Amor Divino, l’Anima Sposa, e la ragione Humana”, dell’osservante Bartolomeo Cordoni da Città di Castello. Il volumetto comprendeva altre opere: ma di questo ed altro alla prossima puntata. La Congregazione dei Chierici Regolari di Somasca, era stata fondata dal patrizio veneziano Gerolamo Miani (detto poi Emiliani), che era stato in gioventù comandante militare. La solitudine del carcere dove fu rinchiuso dopo una battaglia perduta, indusse nel suo animo una profonda trasformazione. Dopo la liberazione, si diede alle opere di carità, dapprima dedicandosi all’assistenza dei malati, e poi alla raccolta, ed educazione degli orfani. Morì di peste nel 1531, assistendo i malati. Fu canonizzato nel 1766. “Fra Girolamo Molfetta Predicatore dell’Ordine de’ Frati Minori detti Cappuccini Alli diletti in Christo Padri e Fratelli servi de’ Poveri, e suoi Fanciullini orfani nell’Opere di Lombardia. Dilettissimi in Christo Giesù Padri e Fratelli, la Pace, e la pratica del Signore Nostro Giesù Christo sia con voi sempre, ed à tutti quelli che vivendo in lui accompagnano la Fede, e Nome Christiano con opere simili. Essendomi, già molti dì sono, pervenuto alle mani un’Operetta del Divino Amore, composta dal Venerabile Padre e di Santa Memoria, fra Bartolomeo della città di Castello dell’Ordine nostro de’ Frati Minori, Huomo di non minore santità di vita, e costumi, e non meno acceso del fuoco del Divino Amore che gl’infocati e dolci suoi scritti ci dimostrano, non me’ paruto per la Carità vostra, che così bella et utile Operetta rimanga sepolta sì per l’honore di Dio, come per l’utilità che mi si mostra ne sia per riuscire a qualunque la leggerà in silentio e diligentemente (premessa però l’oratione) per i belli e mirabili modi d’unione Divina, ch’egli in quella ci scuopre e approva con molte efficaci ragioni e irrefragabili testimonii della Sacra Scrittura che vi sono inserti. Onde avendo io fra me stesso proposto di pubblicarla, e pensando a cui meglio si convenisse, che io facessi così santo e bello Dono, m’è venuto in mente, non senza singolarissima Providenza di Dio, e credo che io non potessi meglio collocarla, che se io la dirizzassi alle Carità vostre, le quali, come lucerne ardenti, mostrate di fuori raggi di opere infiammate di esso Divino Amore. Indotte a ciò dall’esempio e ammaestramenti di quella Beata Anima del Padre Girolamo Miani, gentilhuomo vinitiano, il quale hebbe ardentissimo desiderio di tirare e unire a Dio ogni e qualunque stato, grado e condizione d’huomini, e ne mostrò apertissimi segni, all’horchè abbruciando della Carità Divina per amore dell’Evangelio; e acciocché si aumentasse il Regno di Dio, abbandonate le ricchezze, essendosi gittato nelle braccia del suo nudo crocifisso Giesù Christo, doppo breve peregtinatione cominciò da voi poveretti ad eseguire il desiderio suo, col levarvi dal letame in Bergamo prima e poi in altre città, dove dimoravate in modo dalla fame, freddo e nudità afflitti, che ben spesso di voi alcuni morti si trovavano. E prego il Signore che tanto di fuoco del suo Divino Amore accresca nei cuori vostri, quanto io, per onore suo, e per aumento del Regno di quello desidero. E segua di qui l’universale riformatione della chiesa della quale egli ebbe grandissima sete, e ne ordinò particolare oratione, che tuttavia si canta alle messe, così dicendo: “Dolce Padre Nostro Signore Giesù, ti preghiamo per la tua infinita bontà che riformi tutta la cristianità a quello stato di Santità che fu nel tempo di tuoi Santi Apostoli”. Che il Signore Giesù Christo, per la sua infinita misericordia, lo conceda. E pregatelo qualche volta anche per me, misero peccatore, affinché tutti insieme ci conduca a godere della sua Beata Visione in Cielo. Amen”.

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