Covid-19, il dramma delle donne costrette a casa con mariti maneschi
Partiamo da un presupposto: restare a casa, in queste settimane è un dovere e, se ci è consentito aggiungere, anche a un diritto per la tutela della propria salute e di quella degli altri. La riscoperta, grazie al maggior tempo a disposizione, di cose e valori dimenticati, rappresenta il valore aggiunto di questa inattività imposta ma, come spesso si sente dire, lo stare a casa non è uguale per tutti e non è solo per i metri o le tecnologie a disposizione perché per alcune donne restare a casa rende ancora più angoscioso il tempo in compagnia del proprio carnefice. Invisibili spesso, dignitose sempre, come quando nascondono i lividi con make up o, quando le ecchimosi non possono essere “mimetizzate”, adducono frasi, scuse per difendere sé stesse e coloro che amano e proteggono, i figli ma spesso anche il loro aguzzino. Sono loro, le donne vittime di violenza domestica, a subire maggiormente gli effetti devastanti di questa reclusione forzata, quando basta un nonnulla per scatenare l’ira devastante del compagno, perché tutto in queste settimane procede ad un ritmo più lento ma non la violenza. Il numero di accessi al numero 1522 e allo sportello del Centro Antiviolenza Pandora “Annamaria Bufi” di Molfetta, registra un sensibile calo. In altri momenti, afferma la dott.ssa Valeria Scardigno, avvocata penalista e Responsabile del C.A.V e presidente dell’Associazione Pandora che gestisce il Centro, sarebbe stato registrato come dato positivo ma, data la drammatica attualità, è indice dell’impossibilità di accesso delle donne maltrattate, dovuta alla forzata coabitazione per un numero maggiore di ore, col maltrattante. La dott.ssa Francesca Bisceglia, vice presidente dell’Associazione Pandora e avvocata civilista, e la dott.ssa Claudia de Pinto, educatrice, operatrici del Centro, confermano che, nella nostra città, a partire dai primi giorni di marzo, si sono registrati due soli accessi ai servizi del C.A.V., di cui uno segnalato dai carabinieri della Stazione di Molfetta. Del pericolo maggiore vissuto dalle donne maltrattate in questo periodo col maltrattante, se ne è occupata anche la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che ha emanato una circolare indirizzata alle Prefetture al fine di individuare soluzioni ulteriori di alloggio, anche temporanee, rispetto a quelle esistenti, per le donne che necessitino di collocamento in case rifugio. Fermo restando il prosieguo delle attività dei Centri, dopo il doveroso periodo di fermo per il Covid19, le attività dei Centri stessi, proseguono grazie al numero antiviolenza e stalking 1522 e alle attività di consulenza e colloqui grazie a piattaforme come Skype o alla costituzione di gruppi su Google Classroom, che richiedono interazione e devono superare eventuali difficoltà di accesso all’account. Rimangono garantiti i servizi nelle strutture che accolgono donne maltrattate e i propri figli, che hanno lasciato le abitazioni ove risiedevano. Nella nostra città, continua la dott.ssa Scardigno, si registrano accessi solo da parte di donne vittime di uomini maltrattanti o di donne maltrattanti della propria famiglia. L’accesso è garantito, altresì, anche a donne vittime di mobbing. Ed è importante ricordare, per chi non ha ancora trovato l’input per accedere agli aiuti forniti dal Centro, la risoluzione del caso di mobbing orizzontale, quello tra colleghi dello stesso “livello”, di una lavoratrice che, grazie al sostegno delle operatrici del C.A.V. Pandora “Annamaria Bufi”, è riuscita a non solo a risolvere la propria problematica, ma a ritrovare sicurezza e fiducia in se stessa. Vale la pena ricordare che la violenza non è ostentazione di forza ma “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci” (Isaac Asimov). © Riproduzione riservata