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Convegno sul rilancio della pesca e il ruolo dell'Europa venerdì a Molfetta
04 gennaio 2016

MOLFETTA – Il 2016 riparte dal mare a Molfetta, come dice il sindaco Paola Natalicchio. Venerdì 8 gennaio, alle ore 16 al Mercato ittico di Molfetta, presso l'Associazione armatori, convegno sul rilancio della pesca e il ruolo dell’Europa.

Interverranno l’assessore alla pesca del Comune, Tommaso Spadavecchia, la vice presidente della Commissione Pesca del Parlamento Europeo, Renata Briano e l'europarlamentare Elena Gentile attiva in Commissione Ambiente, Sicurezza Alimentare e Lavoro. Si cercherà di capire quali opportunità ci sono in campo nel settore e mostrare i frutti del lavoro dell’amministrazione comunale su vendita diretta del pescato e rilancio del Mercato Ittico all'Ingrosso.
L'incontro sarà un forum con gli operatori ma è anche aperto alla cittadinanza che vuole sapere, capire e contribuire a una riflessione più ampia. 

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Per non parlare delle scorie radioattive! Perché? Parliamone e vediamo come siamo combinati anche se non è un segreto per nessuno. Gli oceani subiscono l'impatto dei rifiuti dell'uomo sia per gli scarichi deliberati, sia per il dilavamento della terraferma. Almeno l'83 per cento di tutto l'inquinamento marino deriva da attività di terra. Gli oceani possono svolgere una preziosa funzione agendo da “depuratori di scorie” ma la questione è: qual è la quantità massima di rifiuti che si possono smaltire senza provocare danni? Vale a dire: quale tipo di scorie gli oceano sono in grado di assorbire, dove possono meglio ospitarle,quanto ci impiegheranno a degradarle attraverso i processi naturali, e soprattutto quale livello di conseguenze negative siamo disposti ad accettare? Ogni anno scarichiamo nei mari centinaia di nuove sostanze chimiche che si aggiungono alle migliaia già presenti, senza avere la minima idea del loro potenziale impatto. Dai dilavamenti agricoli ai centri urbani, dalle industrie ai reattori nucleari, alle raffinerie di petrolio, scarichiamo in mare agenti inquinanti persistenti, il cui effetto si va accumulando attraverso le varie catene alimentari; rifiuti fognari, civili e industriali, scorie industriali e radioattive, portatori di malattie e di morte. Le perdite di petrolio dalle navi trovano molta eco sulla stampa, ma rappresentano solo una frazione dell'inquinamento che ha invece origine in mare. Ancora più intenso lo scarico di scorie in oceano aperto. Lo scarico di acque nere – di origine organica, industriale e umana – è potenzialmente pericoloso a causa della massa dei virus e batteri contenuti. Fino al 1970 gli Stati Uniti e altri paesi affondano le scorie radioattive chiuse in contenitori che (in seguito lo si è scoperto) lasciavano filtrare il materiale. Il 90 per cento di questi inquinamenti rimangono in acque costiere, che sono di gran lunga il settore biologicamente più produttivo degli oceani. L'insensata distruzione in queste zone vitali avrà serie conseguenze (se non ci sono già) non solo per il benessere dell'uomo e per tutto il regno marino, anche sull'esistenza della vita stessa sul pianeta.
Il rilancio della pesca sarà molto, molto difficile. Il progresso tecnologico nel settore della pesca ha causato diversi problemi, alcuni diventati irrisolvibili. La pesca indiscriminata e sfrenata sta distruggendo le riserve del pianeta. La colpa in parte è della tecnologia: le grandi flotte pescherecce che operano lontane dalle basi fanno ricorso a particolari tecniche, con reti a maglie finissime per “setacciare” il mare. In parte, è dalla nostra ignoranza degli ecosistemi marini. La causa principale, però, è stata sempre la maggiore richiesta di pesce e dei prodotti derivati (mangimi e fertilizzanti) da parte dei popoli dell'area Nord del pianeta. Nel Nord Atlantico, americani e europei occidentali hanno contribuito per un 40 per cento all'impoverimento delle riserve di aringhe, per un 90 per cento al declino di halibut e di varie specie pregiate come haddock, merluzzi e altre ancora per un totale di 27 su 30. Ma c'è di peggio, perché queste nazioni, dopo aver utilizzato e sfruttato le proprie risorse locali, si sono avventurate lontano dalle loro coste in modo sfrenato alle riserve che si trovano al lqargo delle coste occidentali dell'Africa, e di altri paesi tropicali. Oggi che gli abitanti dell'Europa occidentale e dell'America del Nord consumano quantità sempre maggiore di carne, si è indotto un boom nella richiesta di mangimi integrativi per animali, e fra questi della farina di pesce. Circa un terzo del pesce globalmente pescato viene impiegato per la produzione di farina e olio, soprattutto per nutrire un Nord sempre più “affamato” mentre il Terzo Mondo vede risursi sempre più la sua già scarsa parte di pescato. Gli altri abitanti del Nord vogliono semplicemente maggiori quantità di pesce. Il Giappone, per esempio, conta sugli oceani per ricavarne il 60 per cento delle sue esigenze di proteine animali (di fronte a una media globale del 15per cento). Anche i paesi sovietici (ieri Urss) però sono andati nella ricerca di proteine d'alta qualità e ieri come oggi un cittadino sovietico consuma il doppio dim pesce di un americano. La loro filosofia nei confronti delle ricchezze potenzialmente rinnovabili del mare è riassunta dal comportamento tenuto nei confronti delle grandi balene. Il pescato globale ha conosciuto un brusco declino nel 1972, soprattutto a causa dell'esagerata pesca delle acciughe al largo delle coste del Perù. Un'altra causa è stata la corrente di El Nino, una massa d'acqua calda che si è sovrapposta alla fredda corrente peruviana ricca di sostanze nutrienti che alimentava la zona. Altra forma di distruzione della fauna marina è l'inquinamento? Oggi i mari sono un vero e proprio “pozzo nero” in cui confluiscono con continuità enormi quantità di fanghi e minerali provenienti dalla terra ferma. Noi stiamo chiedendo al mare di accettare anche quantità sempre crescenti di materiali generati dall'uomo, dagli scarichi delle fognature a quelli industriali e agricoli, tutti quanti ricchi di sostanze chimiche contaminanti. Per non parlare delle scorie radioattive.-

Il rilancio della pesca sarà molto, molto difficile. Il progresso tecnologico nel settore della pesca ha causato diversi problemi, alcuni diventati irrisolvibili. La pesca indiscriminata e sfrenata sta distruggendo le riserve del pianeta. La colpa in parte è della tecnologia: le grandi flotte pescherecce che operano lontane dalle basi fanno ricorso a particolari tecniche, con reti a maglie finissime per “setacciare” il mare. In parte, è dalla nostra ignoranza degli ecosistemi marini. La causa principale, però, è stata sempre la maggiore richiesta di pesce e dei prodotti derivati (mangimi e fertilizzanti) da parte dei popoli dell'area Nord del pianeta. Nel Nord Atlantico, americani e europei occidentali hanno contribuito per un 40 per cento all'impoverimento delle riserve di aringhe, per un 90 per cento al declino di halibut e di varie specie pregiate come haddock, merluzzi e altre ancora per un totale di 27 su 30. Ma c'è di peggio, perché queste nazioni, dopo aver utilizzato e sfruttato le proprie risorse locali, si sono avventurate lontano dalle loro coste in modo sfrenato alle riserve che si trovano al largo delle coste occidentali dell'Africa, e di altri paesi tropicali. Oggi che gli abitanti dell'Europa occidentale e dell'America del Nord consumano quantità sempre maggiore di carne, si è indotto un boom nella richiesta di mangimi integrativi per animali, e fra questi della farina di pesce. Circa un terzo del pesce globalmente pescato viene impiegato per la produzione di farina e olio, soprattutto per nutrire un Nord sempre più “affamato” mentre il Terzo Mondo vede ridursi sempre più la sua già scarsa parte di pescato. Gli altri abitanti del Nord vogliono semplicemente maggiori quantità di pesce. Il Giappone, per esempio, conta sugli oceani per ricavarne il 60 per cento delle sue esigenze di proteine animali (di fronte a una media globale del 15 per cento). Anche i paesi sovietici (ieri Urss) però sono andati nella ricerca di proteine d'alta qualità e ieri come oggi un cittadino sovietico consuma il doppio di pesce di un americano. La loro filosofia nei confronti delle ricchezze potenzialmente rinnovabili del mare è riassunta dal comportamento tenuto nei confronti delle grandi balene. Il pescato globale ha conosciuto un brusco declino nel 1972, soprattutto a causa dell'esagerata pesca delle acciughe al largo delle coste del Perù. Un'altra causa è stata la corrente di El Nino, una massa d'acqua calda che si è sovrapposta alla fredda corrente peruviana ricca di sostanze nutrienti che alimentava la zona. Altra forma di distruzione della fauna marina è l'inquinamento? Oggi i mari sono un vero e proprio “pozzo nero” in cui confluiscono con continuità enormi quantità di fanghi e minerali provenienti dalla terra ferma. Noi stiamo chiedendo al mare di accettare anche quantità sempre crescenti di materiali generati dall'uomo, dagli scarichi delle fognature a quelli industriali e agricoli, tutti quanti ricchi di sostanze chimiche contaminanti. Per non parlare delle scorie radioattive.-

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