Condivisione per battere l'arroganza mafiosa
La tappa molfettese della carovana antimafie
Giunta alla sua sedicesima edizione, la Carovana Antimafie ha quest'anno fatto tappa anche nella città di Molfetta promuovendo, in collaborazione col locale circolo Arci “Il Cavallo di Troia”, un incontro-dibattito dal titolo “Al di là del mare: un patto tra popoli e generazioni. Diritti, sicurezza, futuro”.
Nel corso degli anni, l'iniziativa (che come associazioni fondatrici ha Libera, Arci e Avviso Pubblico) ha guadagnato sempre più peso, tanto che, nata in Sicilia come percorso regionale atto a sensibilizzare la cittadinanza e soprattutto i più giovani al tema delle mafie, ha disseminato i suoi appuntamenti in tutte le regioni d' Italia e da quest'anno in diverse nazioni europee.
L'uditorio presente nella Sala Finocchiaro, composto per lo più da giovani, ha seguito con grande attenzione l'incontro incentratosi fondamentalmente su tre temi: la confisca dei beni mafiosi quale strumento essenziale nella lotta alle mafie; la necessità di un' “antimafia del quotidiano”; il carattere internazionale delle mafie.
Tra i relatori Don Tonio dell'Olio (responsabile del settore internazionale di Libera) e Giovanni Impastato (fratello minore del giovane attivista antimafia Peppino, assassinato da Cosa Nostra trent'anni or sono) hanno ribadito con forza quanto sia importante che i beni appartenuti ai mafiosi vengano loro confiscati e dunque destinati a nuove funzioni, il che non ha solo valore materiale ma anche simbolico: a Corleone, le terre una volta appartenenti a Riina, sono oggi gestite da cooperative di ex disoccupati che hanno trovato un lavoro e ritrovato se stessi; la stessa città ha visto un immobile di proprietà del boss diventare una scuola.
Ma che senso ha allora, ci si è chiesti increduli, il disegno di legge Ghedini? Durante il dibattito molti hanno infatti appreso con stupore che, in coda alla legislatura, uno degli avvocati di Silvio Berlusconi, il parlamentare di FI, Nicolò Ghedini, si è attivato per proporre la modifica della legge Rognoni-La Torre, relativa alle modalità con cui lo Stato deve procedere nella confisca dei beni mafiosi, ipotizzando non solo la possibilità della revisione senza limiti di tempo e su richiesta di chiunque sia titolare di un interesse giuridicamente riconosciuto dei suddetti provvedimenti, ma anche quella della messa all'asta delle proprietà sottratte alla mafia.
Avrebbe gioco facile un mafioso a rivolgersi ad un prestanome, chiedendogli di partecipare all'asta in cui sono in vendita i propri beni ed ecco che, in un battibaleno, terre, ville, appartamenti e quant'altro ritornano nelle mani del loro “illegittimo proprietario”. Si consideri ancora che, come ha ricordato Impastato, secondo le stime ufficiali la mafia vede entrare nelle proprie casse circa 100 miliardi di euro l'anno: a fronte di ciò dal 1984 al 2004 lo stato italiano ha confiscato beni pari solo a un miliardo!
Risulta allora essenziale un progetto di riforma dell'intero sistema sociale le cui radici risiedano in un profondo ripensamento del concetto di civismo e delle relative pratiche nella vita di ogni giorno. Come ha asserito Impastato: “Il nostro paese non deve aver bisogno di eroi, la rottura della condiscendenza rispetto ad ogni genere di pratica mafiosa deve essere totale, comune a tutti, non è un problema delegabile unicamente alle istituzioni: è innanzitutto una questione di cultura. E dove non arriva la giustizia deve arrivare la nostra memoria”.
Anche l'assessore regionale alla Trasparenza e Cittadinanza attiva, Guglielmo Minervini, ha ribadito la necessità che ogni cittadino faccia suo quel “principio della condivisione” avverso a quello mafioso “dell'arroganza”, contribuendo ad un sistema di “sicurezza locale integrata” fondato su istituzioni trasparenti, partecipazione, controllo sociale diffuso, reattività della società civile contro l'azione mafiosa.
Le istituzioni locali, d'altra parte, non dovrebbero in alcun modo mostrarsi permeabili ai metodi della malavita, tuttavia l'assessore stesso ha raccontato quanto sia stato difficile procedere, nel corso dell'estate 2005, alla chiusura di stabilimenti balneari abusivi, all'abbattimento di complessi edilizi e più in generale alla difesa degli spazi demaniali, che molta gola fanno alle mafie in tutta la terra di Puglia. Quando si tratta di sanzionare la criminalità privandola dei beni di cui si è impossessata indebitamente, ha affermato Minervini, “talvolta anche le istituzioni hanno paura e girano alla larga”.
La Puglia, infine, ha asserito Minervini: “Necessita di lucide politiche sociali, urbanistiche ed economiche che garantiscano ai più deboli la possibilità di una vera integrazione sociale e di un' esistenza libera dai tentacoli della mafia”.
Ancor più complessi i bisogni rilevati dalla Carovana durante le tappe estere di qualche mese fa in Albania, Serbia e Bosnia. La Carovana, ha asserito dell'Olio, è stata “percorso tra luoghi di morte, piaghe ancora aperte, e luoghi della speranza” la cui struttura sociale si fonda purtroppo sulla connivenza tra potere politico-giudiziario e organizzazioni mafiose locali ed internazionali. Queste terre soffrono la mancata efficienza di servizi pubblici basilari quali sistema sanitario e scolastico: non ci sarà sviluppo fino a quando le popolazioni locali non vedranno garantiti i propri diritti fondamentali, iniziando quindi a percepirsi come “cittadini” depositari di diritti e doveri, e se le mafie agiscono come organizzazioni internazionali, allora sono necessari patti di solidarietà internazionale che ne ostacolino l'azione. Allo stesso tempo gli stati democratici dovrebbero garantire ai migranti ospitati la possibilità di inserirsi realmente nel tessuto sociale del luogo di immigrazione: solo così sarà possibile non offrire bassa manovalanza alla mafia e solo così sarà possibile che la società civile muti il suo modo di percepire la figura del migrante. A tal proposito, come ha asserito il giornalista Gianluigi de Vito, che cura sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” la pagina “Gazzetta Mondo”, è necessario che i media correggano il tiro rispetto a quella costante, intrinseca tendenza a “lavorare più sugli anti che sui pro” specie quando oggetto della cronaca sono le condizioni di vita nei paesi di provenienza degli immigrati o la relativa condotta di vita nei paesi di immigrazione.
Miriam de Candia