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Concerto di Battiato, una contestazione fondata Ma non sono mancate cadute di stile e inutili manifesti offensivi
15 gennaio 2000

di Paola Natalicchio Concerto di Natale di Franco Battiato all’insegna della contestazione quest’anno. “Giovani comunisti” e “Terre libere” hanno distribuito volantini davanti alla Cattedrale, inscenando una manifestazione di protesta con striscioni e contestando il costo dei biglietti (57mila lire) e la loro esiguità numerica e l’elevata quantità di ingressi omaggio ad autorità e amici (240). Contestato anche Battiato per i suoi 100 milioni di compenso. Questi i fatti sui quali occorre fare qualche considerazione. La polemica scaturita dalla dinamica organizzativa del concerto di Natale di Franco Battiato ci sembra fondata e plausibile, anche se ha le sue sbavature, principalmente in termini di stile e in termini di tempi. In termini di stile perché le polemiche con cartelloni, megafoni e volantini lasciano il tempo che trovano e i manifesti offensivi che demoliscono senza spiegazioni colano inutilità da tutte le parti; in termini di tempi perché quello che è successo con Battiato è l’esatta fotocopia, posto riservato in più o in meno, di ciò che era accaduto con Uto Ughi prima e con i Gospel poi. E’ bastato lo storico nome di Battiato a smuovere le acque e a scoperchiare retroattivamente questi e quegli errori. Uto Ughi e i Gospel erano effettivamente eventi d’elite, in quanto eventi che hanno trovato in una elite numerica il loro stesso target e la loro cassa di risonanza e, è evidente, erano deboli leve per gli eventuali franchi tiratori di turno. Si potrebbe anche ipotizzare che a quei tempi chi maneggiava volantini e striscioni fuori dalla Cattedrale il 22 dicembre sera, era in una posizione politica rispetto alla maggioranza in Consiglio comunale differente da quella odierna, ma non è questo il luogo per approfondire questa effettiva o solo presunta illazione. Facciamo che non ci interessa. Non ci interessa se il partito della Rifondazione Comunista abbia cercato solo di farsi puntare i riflettori addosso o più semplicemente abbia assolto rumorosamente al suo storico ruolo di opposizione intransigente; non ci interessa se anche da altri lidi si sia strumentalizzato l’evento, approfittando del riverbero che la presenza di un personaggio famoso ha su una cittadina sorniona come la nostra, assolutamente poco avezza a sbalzi di sorta. Quello che ci sembra evidente è che i contenuti della contestazione risultano essere più che fondati, e non sono giunti solo da chi “aveva interesse”, come si è detto, ad accendere la scintilla. Sono stati corali, e questo è un dato che il giornalista deve registrare. Questo concerto, insomma, ci sembra essersi rivelato un bluff, al di là di ogni giudizio di valore sulla prestazione canora dell’artista chiamato in causa. In primis, il Comune di Molfetta ha patrocinato l’iniziativa, come ci ha confermato il sindaco Minervini, con un contributo di 40 milioni. Da che mondo è mondo, l’ utilizzo del danaro pubblico ha sempre bisogno di una solida giustificazione a monte che riguardi l’offerta di un servizio altrettanto pubblico. Questa è una regola sulla quale è difficile transigere anche per il più fanatico simpatizzante di chi di questo danaro attualmente “dispone”. E’ palese che il servizio pubblico, nel senso più ampio del termine, non c’è stato. Di per sé un concerto che si svolge tra le mura della Cattedrale, per quanto suggestivo possa esserne stato il risultato, è un concerto “per alcuni” e non per tutti. Oltretutto, la cifra ufficiale degli ipotetici “alcuni” partiva da 900, per cui era di per sé limitata. Ma le solite “procedure di Palazzo” hanno fatto sì che il Comune e la Provincia, nonché ovviamente gli altri sponsor minori, abbiano distribuito qualche biglietto qua, qualche altro là: e uno al maresciallo, uno all’assessore, uno al consigliere che contesta ma non rifiuta l’invito, un altro al notabile e figlio… alla fine si è arrivati a ben 240 biglietti distribuiti ad amici e amici di. Il ghetto di under 25 e over 60, nel frattempo, era stato mirabilmente allestito alle spalle del palco. I “200 biglietti a prezzo ridotto”, alla fine rivelatisi 100, hanno certo offerto la possibilità ai più lesti di una di queste due categorie di partecipare all’evento, ma quel particolare backstage si è ridotto in un salotto in cui si ascoltava musica da camera, tra una chiacchiera e l’altra, dato che della sagoma di Battiato si scorgevano solo le mani ondulanti, e una sola cassa è stata rivolta verso la platea plebea, che assicurava una acustica poco più che dignitosa, insomma da 15.000 lire. Come noto, inoltre, la vendita dei biglietti è stata ripartita tra Molfetta e Bari: il fatto che l’evento si svolgesse a Molfetta non ci ha avvantaggiati nemmeno di un biglietto disponibile in più (a parte i 100 ridotti di cui sopra, ma stento a definirli biglietti) così, sebbene costosissimi, i biglietti si sono subito volatilizzati e molti appassionati sono rimasti a bocca asciutta. A prescindere da ciò, ad ogni modo, del “servizio alla cittadinanza” nemmeno l’ombra, dato che ne ha fruito una percentuale della stessa, alla fine, quasi insignificante. Dov’è allora il vantaggio che ritorna al cittadino, che di quei 40 milioni è la fonte? E’ stato risposto, in sostanza, la pubblicità, una risposta che di per sé disturba se associata ad un ente territoriale statale. Battiato a Molfetta è stato un evento che ha canalizzato l’interesse della stampa e quindi che ha fatto parlare del nostro comune sui giornali e sulle televisioni. Ma la politica di una città può avere dei testimonial? E ammesso che possa, può stornare dei finanziamenti a questo scopo, al pari di una qualsiasi impresa che deve vendere il suo prodotto sul mercato? Se siamo arrivati a questo, e soprattutto se siamo arrivati ad ammettere che le esigenze di Realpolitik superano quelle di amministrazione criteriata della cosa pubblica a favore di tutti e non di pochi, allora che la si smetta di lamentarsi sui crescenti dati dell’astensionismo e della bassa partecipazione politica. Se è più importante che a un evento culturale partecipi un addetto stampa o il collaboratore di una testata giornalistica che magari non scrive un rigo sul concerto, il consigliere comunale (che poi regala i biglietti al figlio o agli amici) o l’ “autorità” di turno, oltretutto ampiamente in grado di autofinanziare quella partecipazione, al contrario di molti, perché la politica postmoderna è ridotta al mero do ut des, allora ditelo. Ditelo subito e al di là degli slogan, la prossima volta che ci chiamate a scegliere i nostri rappresentanti che, come scrive il Maestro, “la democrazia moderna si fonda sulla “logica del minor male”. Almeno ce ne faremo una ragione. Forse.
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