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Cittadini del mondo mostra fotografica di Daniele de Gennaro
15 settembre 2013

Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è lo specchio del fotografo. Le parole di Ferdinando Scianna riflettono pienamente l’essenza dell’arte fotografica e si attagliano perfettamente alla personale di Daniele de Gennaro, “Cittadini del mondo”, realizzata presso l’Ospedaletto dei Crociati nell’ambito dell’Estate Molfettese. A curare l’allestimento l’architetto Angelantonia Soriano, che ha scelto che a condurre per mano i visitatori fossero una serie di massime e aforismi di grandi fotografi, in merito alla natura di tale arte e alla necessità di non sottovalutarne la portata. Il pubblico è stato inoltre invitato a farsi coautore dell’allestimento, attraverso l’affissione di post-it che comunicassero pensieri, impressioni, sensazioni scaturite dalla visione delle opere esposte. “Cittadini del mondo” si inserisce nel solco di una ricerca che nell’inverno 2012 aveva già prodotto le fotografie della collettiva “Techne. Arte in sinergia”, che, sempre con la curatela dell’arch. Soriano, aveva veduto de Gennaro esporre le proprie opere insieme agli artisti Depergola, Depalma e Gastaldo. Lo sguardo di de Gennaro sul mondo è discreto; l’obiettivo sembra quasi celarsi lungo le strade di Berlino come per le vie di Molfetta, a carpire attimi di solitudine, immersi in paesaggi che finiscono col perdere i connotati identificativi, o magari a catturare gesti apparentemente vessilli di una quotidianità meccanica e ripetitiva, improvvisamente rivivificati e connotati di senso dall’alchimia dell’obiettivo. Perché quello sguardo discreto sa essere al contempo pervasivo e, a conferma del pensiero di Scianna, finisce, forse anche suo malgrado, con l’essere artifex mundi, ricollocando le figure umane come pedine di una scacchiera – o, se si preferisce, maschere di un palcoscenico – in cui tutto diviene altro e la sostanza reale si frange in mille soluzioni alternative, tutte simultaneamente possibili. Perché il gruppo di giovani che siede sull’erba in un esterno berlinese, e che magari semplicemente rispecchia la stasi di un momento di noia in un caldo pomeriggio estivo, all’obiettivo si trasfigura e gli sguardi che non si incontrano finiscono con l’apparire indefinitamente proiettati verso un avvenire radioso… E quel giovane, che forse sta semplicemente conversando al telefono mentre costeggia la Spree in bicicletta, assume i connotati e la posa del pensatore e quel suo gesto quotidianissimo e quasi prosaico si carica, nel palcoscenico che il caso ha predisposto al fotografo, di un significato dall’aura ai confini del mistico. Così de Gennaro si specchia nel mondo che sceglie di fotografare, con la predilezione per un bianco e nero di pregnanza nostalgica, che non esclude affatto la fiduciosa apertura a un fascinoso futuro di progresso (l’indugiare dell’obiettivo, in un padiglione russo della veneziana Biennale d’Architettura, sui QR Code, definiti la frontiera interattiva dell’arte). È un mondo fatto di pensosità; esso tende a rigettare il Tempo Divoratore, quello delle metropolitane - non luoghi, che de Gennaro rappresenta con eleganza, in cui i destini convergono senza riconoscersi -, per posarsi sui parchi. O per soffermarsi su architetture che rappresentano le silenziose testimoni degli effetti dell’umana industria attraverso lo scorrere del tempo. Sono la ricerca perenne di senso e di bellezza e il sentirci a casa ogniqualvolta ne si colga un barlume nelle nostre eterne peregrinazioni a renderci cittadini del mondo. Unitamente al recondito desiderio di comprendere donde scaturisca il mistero dei pensieri di ogni uomo, vuoi che segga in un caffè, intento a leggere mentre la tesa del cappello gli cela il volto, vuoi che s’immerga nel fragore delle proprie meditazioni solitarie, tra la folla tumultuante di un métro.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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