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Chicca Maralfa e Michele Laforgia presentano “Festa al trullo” all’Upm di Molfetta
Ottavia Sgherza, Michele Laforgia, Chicca Maralfa
30 gennaio 2020

MOLFETTA – Il libro “Festa al trullo” di Chicca Maralfa – autrice di origini molfettesi, nonché giornalista e responsabile dell'ufficio stampa di Unioncamere Puglia - fa tappa anche all’Università popolare molfettese nell’ambito di un incontro il cui tema centrale, di grande attualità e comune interesse è stato “La Puglia, l'altra faccia del turismo”.

Ad introdurre la serata ci ha pensato la prof.ssa Ottavia Sgherza -  presidente dell’Upm di Molfetta – che ha condotto i presenti attraverso una riflessione su come il turismo selvaggio e aggressivo abbia portato oggi più che mai ad uno snaturamento del nostro territorio, dissacrandone la millenaria civiltà così tanto gelosamente custodita.

L’avv. Michele Laforgia che – in veste di amabile lettore, come ci ha tenuto a specificare - ha dialogato con la Maralfa spiegando che nel libro abbia utilizzato la protagonista – Chiara, nota influencer di moda - come strumento per raccontare in maniera divertente, ma allo stesso tempo acuta e pungente la Puglia turistica e il Salento in particolare. Territori che sempre più si stanno trasformando in una specie di set permanente sfruttando i prodotti tipici piuttosto che le architetture rurali e dove persino gli ulivi secolari sono minacciati dalla potatura cosiddetta a “barboncino” per diventare anch’essi di tendenza.

Insomma, un romanzo tardivo, come lo ha definito la stessa scrittrice che va oltre lo steccato del racconto legato al territorio e si interroga sulla società odierna e le moderne tecnologie legate soprattutto all’utilizzo dei social divenuti fondamentali e quasi irrinunciabili nelle nostre vite.

La storia si snoda intorno all’organizzazione di una grande festa nella proprietà di Chiara per il lancio di un nuovo brand “Ciceri&tria” (nome di un piatto tipico salentino). Qui si innesca un corto circuito esplosivo con gli abitanti del posto che si sentono "violati" negli spazi e nelle tradizioni usate per farne merce. Un paradosso grottesco che trova la sua massima espressione nell’allestimento di un set felliniano 2.0 dove la gente del posto è costretta a interpretare se stessa.

Insomma – come spiega Chicca Maralfa – è la storia di un conflitto di chi non sopporta l’invasione dei portatori di nuovi costumi a tal punto da vedere minacciato il proprio ecosistema esistenziale fino a reagire con atti estremi. A fare da sfondo alla serata – che avrà un tragico epilogo – una distesa di meravigliosi ulivi secolari colpiti da un killer silenzioso, il batterio Xylella.

Dunque si tratta di un romanzo divertente, reso autentico dall’utilizzo di nomi e cognomi tipici del posto attribuiti ai personaggi e da qualche intermezzo dialettale. Nomi e cognomi tra l’altro di gente reale che l’autrice ha conosciuto durante i diversi soggiorni estivi in quella terra dove l’ospitalità seguiva ancora certi canoni nel rispetto dei luoghi e dell’alternanza delle stagioni. Ma ad un certo punto è cominciato il cinema. Il finto ha cominciato a convivere col vero tanto che in buona parte dei casi lo spirito del tempo ha preso il sopravvento su quello dei luoghi.

Ed è proprio a questo punto della storia che la scrittura si veste di un tono critico verso una società che si sta involvendo misto ad una certa nostalgia per la costante perdita di autenticità della propria terra.

E allora quale via d’uscita? Le strade – come ha spiegato l’avv. Laforgia – potrebbero apparentemente essere due: tuffarsi a capofitto nel vagheggiamento di un passato che non potrà mai più essere uguale a se stesso o accettare che il presente e il futuro siano colonizzati perennemente da un passato che diventa il lunapark di qualcun altro. Apparentemente perché in realtà ci sarebbe una terza strada, meno scontata e più impegnativa da intraprendere: prendere coscienza di quanto sia fondamentale in questo momento governare questo improvviso sviluppo che ha invaso i nostri territori senza passare da un eccesso all’altro, da un totale degrado e/o abbandono ad una massificante presenza di infrastrutture e selvaggio turismo.

Di fatti oltre alle sue note noir e grottesche, il libro si fa portatore di una vera e propria parodia quasi di un tempo di confine tra passato e futuro in cui il ruolo della politica dovrebbe essere quello di mettersi al timone di questo fantomatico cambiamento positivo e coerente. Un’evoluzione che rappresenterebbe per queste terre che pagano lo scotto della piaga della disoccupazione, una vera e propria opportunità di riscatto.

Come ha spiegato la Maralfa, la scelta dei luoghi è stato anche un pretesto narrativo per contribuire alla valorizzazione di un affascinante contesto rurale fatto di masserie, trulli, buon cibo, aria pulita e tanto altro. Dunque per evitare che da un lato si scada nella perdita di identità e dall’altro si cada in un circolo vizioso che potrebbe portare ad un disinteresse del turista verso questo tanto agognato lunapark, bisognerebbe ripartire dalla nostalgia come sentimento di resistenza contro la decadenza. Ed il libro di fatti non è altro che una chiara e non trascurabile manifestazione di questo sentimento.

E nonostante questo romanzo abbia tanti rimandi trasversali il messaggio chiaro e forte che ne viene fuori è univoco: comprendere il mutamento dei contesti cui questi territori sono assoggettati e ricomporne l’autenticità soprattutto attraverso un intervento politico che miri alla loto tutela senza farsi lusingare dal effimere strumentalizzazioni e speculatori senza scrupoli. Perché se non si è al governo del cambiamento si rischia di perdere il timone e di affondare.
© Riproduzione riservata

 

Autore: Angelica Vecchio
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