Premetto che la mia esperienza di volontariato nella Comunità C.A.S.A. (Comunità di recupero per tossicodipendenti) è iniziata nel lontano 1983 ed ha coinciso con la fortunata conoscenza di Don Tonino Bello, appena arrivato a Molfetta come Vescovo. Questa formidabile figura di Uomo e Pastore ha coinvolto me e la mia famiglia, al punto che ancora oggi offro il mio modesto contributo di volontariato, essendo fra i soci fondatori forse ormai il più anziano. Anche per questo cercherò di descrivere per grandi linee e senza lasciarmi prendere dal sentimento, questa realtà, che compie oggi i 30 anni e che spesso ha lavorato in sordina, occupata solo nel duro e difficile lavoro di recupero di tanti ragazzi, caduti nella spirale mortale della tossicodipendenza. LA STORIA All’inizio del 1984 il problema droga cominciò ad interessare in maniera significativa anche la nostra città e quelle viciniore, e diventò emergenza. I tossici vagavano come sbandati alla ricerca della “roba” e commettevano sempre più spesso furti e scippi per procurarsi i soldi. Molti erano già schedati e, se non finivano in galera, andavano ad incrementare la triste statistica dei morti per overdose. Alcuni però, consapevoli di ciò che li aspettava, andavano alla ricerca disperata di qualcuno che potesse aiutarli a non precipitare fino in fondo e a tornare alla vita. Un sacerdote-psicologo, don Nino Prudente, da sempre sensibile al problema, aveva trasformato la sua piccola casa in un vicolo di Terlizzi in un punto di appoggio e di speranza per tanti sbandati; ma non era sufficiente, era solo e senza mezzi e le richieste diventavano sempre più numerose. Da poco più di un anno era arrivato in Diocesi un nuovo giovane Vescovo, Mons. Tonino Bello, già accreditato di grandissime doti umane, sensibilità, cultura e amore per gli “ultimi”. L’incontro con don Nino fu inevitabile e proficuo e si pensò subito a trovare siti, braccia, menti, denaro. In questa fase pionieristica cominciarono gli incontri nelle parrocchie, nelle associazioni, nei gruppi di volontariato, per parlare di droga, di problemi e necessità anche economiche per poter cominciare a costruire concretamente. Ben presto le persone coinvolte a tutti i livelli furono tante, oltre un centinaio, e si formarono gruppi di lavoro, corsi di preparazione per operatori. Attività di sensibilizzazione. Il carisma di don Tonino, dava la spinta più forte e coinvolse tra gli altri anche un costruttore di Ruvo, che mise a disposizione una villetta in via di completamento sulla strada Terlizzi-Ruvo, che divento la prima sede della Comunità. Immediatamente i volontari si misero, ciascuno con le sue competenze, con grande entusiasmo ad imbianchire, arredare, organizzare; e arrivarono letti, cucine, mobili, utensili. Nacque così la C.A.S.A. (Comunità di Accoglienza e Solidarietà Apulia). L’8 dicembre 1984 furono accolti i primi quattro ragazzi, poi altri due e persino una ragazza madre con il suo bambino di pochi mesi. Ma ben presto la struttura divenne insufficiente, soprattutto per le attività lavorative esterne dei ragazzi e per le richieste di ingresso sempre più numerose. Don Tonino, con l’aiuto di altri volontari di grande competenza tecnica e giuridica, riuscì a compiere un’operazione straordinaria: l’acquisto di una grande villa (villa Iatta) a Parco del Conte a Ruvo, circondata da diciotto ettari di bosco, disabitata da molti anni, e i cui proprietari vivevano a Roma. Era il dicembre 1985. Per questa operazione il Vescovo non esitò ad indebitarsi pesantemente a livello personale, ma in poco tempo il suo carisma attrasse aiuti e incoraggiamenti da ogni parte ed il problema fu risolto: “la Provvidenza” lui la chiamava! Ora questa stupenda struttura è di proprietà della Diocesi. Anche qui però c’era molto lavoro da fare e ancora una volta i volontari e gli stessi ragazzi si misero all’opera per riparare muri e tetti, ripristinare, rifare impianti e arredi, imbianchire, preparare i grandi spazi a disposizione per le attività esterne (agricoltura, stalle, locali per la serigrafia e l’hobbistica, ecc.). Per fortuna questa volta c’era spazio per tutti e per i tanti altri ragazzi rimasti fuori in attesa. Il 5 luglio 1987 fu solennemente inaugurata da don Tonino la nuova sede: definirlo raggiante è ben poca cosa! Da annotare anche che nel 1990 furono ripristinati anche dei locali siti in zona S. Maria di Calendano, a tre chilometri da Iatta, adibiti temporaneamente a prima accoglienza per i tossici. A questo punto la Comunità divenne “Associazione C.A.S.A.” (Comunità di Accoglienza, Solidarietà e Amicizia). Presso la Comunità trovarono accoglienza anche altre povertà (anziani abbandonati, handicappati, alcolizzati, minori a rischio); divennero operanti anche i “centri di ascolto, i “filtri”, i collegamenti con le famiglie dei tossici, le attività di sensibilizzazione presso le scuole e… tanto altro. Dopo 30 anni, tra mille vicissitudini, difficoltà anche economiche, trepidazioni e preoccupazioni, questa struttura è ormai considerata tra le migliori e riconosciute a livello locale e regionale e partecipa al coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (C.N.C.A.). I Presidenti che si sono succeduti dopo la morte di Don Tonino (i vescovi Mons. Donato Negro e l’attuale Mons. Luigi Martella), come voluto dallo stesso Don Tonino, hanno continuato e rafforzato l’attività di questa grande realtà, cosi come tutti coloro che si sono succeduti nella direzione e nella gestione degli operatori e volontari. IL PROGETTO Da premettere che i ragazzi, prima di essere accettati, vengono “fitrati” dai servizi sanitari pubblici, i SerT, che ne verificano le situazioni e le patologie e installano le idonee terapie mediche; solo dopo si concerta con la Comunità la possibilità di accoglienza, che avviene dopo ulteriori colloqui con i responsabili specialisti interni, che accertano la reale volontà del soggetto. Spesso questi ragazzi scontano in Comunità, come alternativa al carcere, tutte o in parte le condanne subite e quindi sono ulteriormente controllati dall’Autorità giudiziaria. Sostanzialmente il progetto terapeutico consta di tre grandi fasi, gestite da operatori professionisti del settore e da operatori strutturati, della durata complessiva a tempo pieno che va da uno a due anni e oltre, a seconda della gravità dei singoli casi; durante queste fasi vi è una continua verifica giornaliera, comunitaria e singola, durante le quali si esaminano i progressi, le difficoltà, i problemi che rallentano l’avanzamento verso la normalità. Vi sono anche passaggi intermedi calibrati su ciascun ragazzo, che lo fanno avanzare o qualche volta anche recedere, fino a rientrare nella norma. Questo avviene sin dall’ingresso del ragazzo, affidato ad un “battistrada” scelto fra i più anziani di Comunità. Oltre alle terapie psicologiche, i ragazzi si abituano ai ritmi e agli orari di lavoro che iniziano la mattina presto e sono divisi in gruppi che ruotano nelle diverse attività gestite dagli operatori di mestiere, dalla cura degli animali nelle stalle, all’agricoltura, alla produzione di latticini e formaggi, al restauro mobili e serigrafia, fino alle pulizie degli ambienti , la cucina, la manutenzione. Naturalmente vi sono anche altre attività ludiche e ricreative che per i giovani sono fondamentali, quali calcio, pallavolo, tennistavolo, giochi sociali, escursioni. Le tre grandi fasi del progetto, che ricalcano la riscoperta delle tre fasi della crescita umana (infanzia, adolescenza ed età adulta), si possono riassumere in: adattamento all’interno della struttura; approfondimento e analisi delle cause che hanno condotto il soggetto a far uso delle droghe; riappropriazione controllata dell’autostima e della fiducia nelle proprie capacità, con la graduale risocializzazione all’interno del proprio territorio e della famiglia. Tutte queste fasi vengono sempre controllate alla luce di principi che integrano valori spirituali con quelli scientifici, con l’obiettivo finale di restituire alla Società una persona perfettamente guarita e integrata. Pur tra luci ed ombre, la forte determinazione di tutti coloro che hanno lavorato e lavorano per la C.A.S.A., si prefigge l’obiettivo comune di continuare e rafforzare questa splendida realtà, magari adeguando metodi, energie, idee e ringiovanendo tutti i settori operativi per continuare a rappresentare sempre un’ancora di salvezza per tutti coloro che sono caduti nella spirale mortale della droga. Il settimanale diocesano “Luce e vita” ha dedicato un numero speciale all’anniversario della Casa con un appello alla solidarietà dell’attuale responsabile don Michele Stragapede e del vescovo Martella per urgenti lavori di ristrutturazione (per sostenere questo progetto: ccp 11741709 intestato a Curia Vescovile, Piazza Giovene 4 – 70056 Molfetta, Causale: pro-CASA. Iban IT 93 O 01030 41700 000000066075). Forse le parole, sempre attualissime, scritte dal fondatore Don Tonino Bello nel 1984, rappresentano il miglior auspicio per il futuro: «...non è un paradosso: dalla droga ci potrà liberare solo una “overdose” di preghiera. E’ solo voler affermare che, senza un supplemento d’anima, anche le strutture più articolate sono destinate a fallire… La Casa che sorge, pertanto, più che alla nostra borsa fa appello alla nostra vita. Più che le nostre tasche vuole scomodare il nostro spirito. Più che sulla generosità di pochi, conta sulla conversione di tutti. Perché siamo tutti drogati. E abbiamo bisogno di disintossicarci… siamo un po’ tutti “alle dipendenze” di qualcosa: dei soldi, dei vizi, dell’egoismo, dei mille vitelli d’oro che ci siamo costruiti nel deserto della vita… solo se nelle vene del nostro impegno inietteremo fiale abbondanti di preghiera, che non è mai rinuncia, ma è sempre protesta e ansia di libertà, la droga, questa assurda tragedia per dimissione, verrà finalmente sconfitta. E non sarà lontano il giorno in cui, invece dell’inaugurazione, celebreremo la chiusura della Casa. Accompagneremo al cancello l’ultimo drogato restituito alla speranza e gli diremo in coro che vivere è bello».