Caritas Diocesana, Pisani: la crisi si abbatte su Molfetta. Il numero dei poveri è raddoppiato
La recessione economica ha piagato Molfetta. Le vittime si possono contare. Al contrario di quanto riferito dal Comune e dall’amministrazione Azzollini, la crisi esiste: ed è nera. La stampa nazionale parla solo dei casi estremi: i suicidi. Quindici ha rivolto la sua attenzione a chi non fa rumore, agli invisibili, alle persone e famiglie che con senso del pudore cercano un aiuto. Perciò, ha intervistato Domenico Pisani, vice-presidente del Centro di Accoglienza “Don Tonino Bello” di Molfetta. Molfetta è specchio della crisi economica nazionale. Chi sono le vittime? «Circa 3mila famiglie solo nella nostra città subiscono le conseguenze della crisi marittima e commerciale, sbaragliata dalla concorrenza degli ipermercati. Queste difficoltà economiche si riversano in ambito familiare. Le mogli con i figli tornano nelle loro famiglie di origine e lasciano gli uomini soli. C’è chi dorme nelle imbarcazioni di sua proprietà. Nemmeno i giovani non sono risparmiati. Il territorio non offre lavoro e questo clima di estrema precarietà non permette di fare progetti e creare una famiglia. Altro dramma è quello della solitudine degli anziani, specialmente del centro storico, abbandonati dai figli». Chi si rivolge al Centro d’Accoglienza? «Oltre agli extracomunitari e ai rom, sono circa venti i molfettesi che vengono qui per mangiare, lavarsi e fare il bucato. Una goccia nel mare. Le famiglie non vengono per vergogna, ma in caso estremo si rivolgono a noi per le bollette arretrate e per l’acquisto di medicinali». Come rispondere a questi interventi di emergenza? «È un incubo. Ci vorrebbero dai 4mila ai 5mila euro al giorno per accontentare tutti. Di recente abbiamo visitato le comunità parrocchiali con alcuni rappresentanti dell’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, ndr), ente della Comunità Europea che distribuisce prodotti agli indigenti del territorio diocesano. Ci siamo accorti che il numero delle persone bisognose si è duplicato dall’inizio dell’anno, quando abbiamo fatto richiesta». Come uscirne? «Il mercato è chiuso e per i lavori più manuali c’è una concorrenza spietata tra i molfettesi e gli extracomunitari, che vivono inoltre nell’incertezza dei permessi nonostante le loro fughe da terre belligeranti. Tanti sono i disoccupati tra i 45 e i 55 anni, per lo più uomini, che hanno grosse difficoltà nel rientrare nel mercato del lavoro per il loro livello professionale e culturale. Necessitano di un’istruzione adeguata, come quella informatica. Comunque, bisogna reagire e non lasciarsi andare, molti sono i giovani che danno senso alla loro esistenza attraverso alti valori come la solidarietà. Alcuni ex-commercianti d’indumenti hanno donato i propri nuovi prodotti alla Caritas». Questo clima quindi ha fomentato lo spirito umanitario molfettese? «Anche se in minoranza, il volontariato molfettese non manca, ma è necessaria una risposta più organica da parte delle strutture già presenti che dovrebbero estendere la propria attenzione a coloro che non hanno né la forza, né lo spirito o le capacità per rivolgersi agli enti. L’amministrazione comunale dovrebbe muoversi in questa direzione». Chi è il nuovo povero? «Oggi non è più lo stesso dell’immaginario, è un uomo “in giacca e cravatta”, un ex propr ietar io di un negozio o un impiegato precario. Inoltre, sta nascendo un’altra classe di poveri da coloro che nella disperazione fanno la fila la mattina presso i tabacchini e i negozi di scommesse sportive con la speranza di trovare una soluzione. Lo Stato è complice di questa situazione perché li rende più soggetti all’usura mentre le banche chiudono i canali di credito, non dando garanzia alcuna al futuro dei giovani».