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Blu Economy, convegno del Rotary Club Molfetta: crisi della pesca e sviluppo sostenibile
18 maggio 2012

MOLFETTA - A Molfetta analizzare i problemi del settore pesca non è mai stato un esercizio facile. E il forum organizzato all’Hotel Garden dal Rotary Club cittadino con i club di Altamura-Gravina, Bisceglie, Bitonto e Corato, ha confermato che la Blu economy fa emergere nella nostra terra tutta una serie di problemi irrisolti, per i quali sembrano lontane soluzioni concrete (nella foto Beppe Di Liddo, assistente governatore, Damiano Petruzzella, , Mario Greco, governatore del Distretto Puglia-Basilicata, Domenico Aiello, presidente del Rotary Club Molfetta, Lembo, Intoniti). Problemi che divengono ancora più urgenti in questo momento di crisi economica globale, in cui tutti i settori produttivi sono chiamati a rinnovare profondamente se stessi verso uno sviluppo sostenibile legato alla qualità e alla cultura socio-economica dei territori piuttosto che al semplice dato consumistico e quantitativo.
L’economia del Mediterraneo non fa eccezione e la sua maggiore difficoltà è creare un dialogo tra popoli e culture differenti, senza il quale uno sviluppo integrato e sostenibile non sarà mai possibile. Questa prospettiva di fondo, che ha animato anche i quattro precedenti forum organizzati dai Club Rotary locali (progetto «Casa del dialogo mediterraneo»), ha trovato concordi tutti i partecipanti al dibattito: politici, ricercatori, amministratori locali e rappresentanti di categoria.
Con quali progetti e idee concrete si può avviare questo dialogo? Come creare una volontà politica mediterranea che faccia sentire la propria voce nell’UE e oltre? Secondo Giuseppe Lembo, presidente del COISPA Tecnologia & Ricerca, il problema da cui partire è la scarsa consapevolezza che le risorse del mare non sono infinite: da diversi decenni le popolazioni ittiche del mediterraneo sono sovrasfruttate. Tutti i naselli pescati nel Mediterraneo, ad esempio, non si sono mai riprodotti in vita loro ed è chiaro che non è più possibile continuare a pescare in questa maniera, a fronte di un bacino di consumatori che aumenta costantemente.
Cambiare il modello di sviluppo significa introdurre una nuova etica d’impresa, attenta al ripristino delle popolazioni e all’ottenimento del massimo rendimento sostenibile dal pescato. Significa introdurre la cultura della legalità e della cooperazione fra le diverse categorie di produttori lavorando maggiormente a terra: cioè regolando il mercato con norme certe e portando avanti progetti di sensibilizzazione di produttori e consumatori. Il tutto in un quadro normativo più semplice di quello attuale, che favorisca il decentramento nei progetti e nelle decisioni.
Per arrivare a tutto ciò, il dialogo fra i popoli del Mediterraneo è indispensabile, come ha sottolineato Damiano Petruzzella, ricercatore dell’Istituto Agronomico Mediterraneo. L’ente intergovernativo ha portato avanti in questi anni diversi esperimenti di dialogo e cooperazione con i paesi del Nordafrica, del Medio Oriente e dell’altra sponda dell’Adriatico. Se si vogliono utilizzare al meglio i 6,7miliardi di euro del nuovo Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca), bisognerà procedere proprio sulla via dell’integrazione e della cooperazione fra piccoli produttori e fra popoli mediterranei, in modo da contrastare seriamente la pesca illegale e la concorrenza sleale dei Paesi extraeuropei che non sottostanno alle regole comunitarie. Solo così potrà nascere un mercato mediterraneo capace di opporre al potere della grande distribuzione la ricchezza qualitativa e culturale dei diversi territori.
Nella pratica, sarebbe opportuno potenziare le organizzazioni locali di produttori, come ad esempio i Gruppi di azione costiera (Gac), sviluppare l’acquacoltura, e ripensare, con uno spirito d’impresa giovane e attento alla sostenibilità, tutta la filiera produttiva. Qualcosa già sembra muoversi a livello regionale.
Leo Petruzzella, assessore alla Pesca e ai Fondi europei del Comune di Molfetta e presidente del Gac Terra di Mare, ha annunciato che presto, in collaborazione con i Gruppi di azione locale del settore agricolo (Gal), sarà proposto alla Regione Puglia un «marchio d’area» che unisca terra e mare, promuovendo a livello europeo il lavoro di tutti i produttori agroalimentari della zona.
 
Sul prossimo numero di Quindici in edicola il prossimo 15 giugno, maggiori approfondimenti sul convegno e sulla discussione successiva, moderata dall dott. Felice de Sanctis, giornalista economico della Gazzetta del Mezzogiorno e direttore di Quindici, con i vari interventi.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Vito Angione
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Con l'aumento della richiesta di proteine “vive” dell'oceano e la diminuzione dei pesci e mammiferi marini, non è più possibile, oggi, ignorare le interazioni di questo ecosistema. Le quote fissate per la cattura di pesci e mammiferi sono state finora in genere troppo alte, e frutto di compromessi politici che di criteri scientifici. Nel futuro, quindi, la protezione dovrà essere più efficace e la gestione delle attività ittiche dovrà operare scelte precise: in quale punto delle catene alimentare incidere, quali specie raccogliere e in quali quantità, quali proteggere. Nonostante le grandi ricerche effettuate, non sappiamo ancora come sfruttare le risorse marine in modo efficace. Il mare è interessato da crisi ecologiche e politiche, e anche se i tentativi di arrivare a una sua gestione razionale hanno una lunga storia, sono relativamente poche le questioni risolte con successo. Fortunatamente oggi si cominciano a intravedere i segni di un nuovo modo di affrontare l'argomento: la pianificazione delle attività ittiche si va facendo più razionale e si stanno prendendo nuovi e più seri provvedimenti per controllare l'inquinamento e proteggere gli ambienti marini. Possiamo fare subito un enorme passo in avanti applicando quelle misure che, da tempo, ormai sappiamo valide e che pure abbiamo costantemente ignorato. Possiamo metterci d'accordo su quote realistiche di pescato, basate sulla nostra conoscenza della dinamica delle popolazioni ittiche, e farle osservare con decisione. Possiamo imporre una moratoria sulle riserve di pesce prima che queste si esauriscano del tutto; è sempre meglio che agire in ritardo come si è fatto con le acciughe peruviane e le aringhe del Mar del Nord. Possiamo stabilire una misura minima per le maglie delle reti (o dimensioni minime per i pesci da pescare) così da permettere ai pesci ancora piccoli e immaturi di vivere e crescere. Possiamo istituire leggi per proteggere le “comunità” dell'oceano e cessare di perseguire delfini, foche e altri predatori marini e di intrappolarli per incuria delle nostre reti. Le due misure più importanti che probabilmente possiamo prendere, però, sono quelle di ridurre lo sfruttamento sulle risorse dell'oceano in generale, e di adottare una strategia fondamentalmente diversa di pesca. Fino a questo momento abbiamo avuto la tendenza a concentrare la nostra attenzione sulle singole specie ittiche, invocando il concetto del “massimo gettito sostenibile”. Per il futuro dovremo invece valutare le interazioni ecologiche con la comunità oceanica e scegliere una strategia gestionale che tenga contemporaneamente conto di più specie. La caccia da parte dell'uomo costituisce ormai da lungo tempo una minaccia per i mammiferi marini. Non solo le balene, ma anche i delfini, manati, dugonghi, lontre di mare della California, leoni di mare, certe specie di foche e orsi polari hanno subito perdite ingentissime. Sono più di cento le specie che hanno assoluto bisogno di una qualche forma di protezione, ma le misure di salvaguardia non sono sufficienti. Se affronteremo il problema a livello generale assicureremo anche un benessere a lungo termine per tutta quanta la comunità oceanica, uomo compreso. -
Da decenni l'industria della pesca sta sfruttando eccessivamente le risorse del mare, tanto da ridurre in modo drammatico le popolazioni di molte specie ittiche. I mari pescosi di tutto il mondo sono a rischio di collasso a causa di un eccessivo sfruttamento, ma sono in molti a vedere il mare come una risorsa illimitata che l'uomo ha appena iniziato a utilizzare. Se non sapremo gestire questa ricchezza presto ci dovremo accontentare di meduse e plancton. – Il Georges Bank – un tratto di oceano relativamente poco profondo appena al largo della costa della Nuova Scozia, in Canada – un tempo pullulava di pesci. Lo testimoniano scrittori del XVII secolo che riportano come le imbarcazioni venissero spesso circondate da enormi banchi di merluzzi, salmoni, storioni e Morone Saxatilis (il nostro branzino striato). Oggi la situazione è molto cambiata. Imbarcazioni con reti a strascico estese come campi di calcio hanno letteralmente ripulito il fondale, prelevando insieme ai pesci l'intero ecosistema batiale, compresi i substrati d'appoggio come le spugne, mentre nella colonna d'acqua soprastante i lunghi cavi muniti di ami e le reti a deriva intrappolano gli ultimi squali, pesci spada e tonni. Molti pensano, erroneamente, che il responsabile del declino delle specie marine sia l'inquinamento; altri non si rendono conto della riduzione in atto, perché nei mercati trovano ancora casse di spigole e di tranci di tonno. Gli ultimi recenti studi dimostrano che non possiamo più continuare a pensare al mare come una fonte inesauribile, depositaria, nelle sue profondità, di risorse senza fine. Molti pensano che la piscicoltura alleggerisca la pressione sulle popolazioni naturali, ma ciò è vero solo se gli organismi allevati non consumano farina di pesce (mitili, vongole e il pesce d'acqua dolce tilapia, che si nutre in prevalenza di vegetali, possono essere allevati senza farina di pesce). Nel caso dell'allevamento del salmone e di altri pesci pelagici – aringhe, sardine, acciughe e sgombri – anziché essere destinati direttamente al consumo umano vengono trasformati in mangime. Di fatto, gli allevamenti di salmone consumano più pesce di quanto ne producono: sono spesso necessari tre chilogrammi di farina di pesce per produrre uno di salmone. Il modo per risolvere il problema della pesca marina in tutto il mondo è una condizione basata sugli ecosistemi, volta a mantenere o, dove necessario, ristabilire la strutture e la funzione degli ecosistemi entro i quali si trovano le zone di pesca. A questo scopo occorrerebbe considerare le esigenze alimentari delle specie chiave degli ecosistemi (in particolari i mammiferi marini), abolendo le tecniche di pesca che distruggono i fondali marini e istituendo riserve marine o zone di divieto per controbilanciare gli effetti della pesca nelle aree consentite. Queste strategie sono compatibili con il sistema di riforme proposto da anni da ittiologi ed economisti: ridurre drasticamente le potenzialità di pesca delle flotte in tutto il mondo; abolire le sovvenzioni governative che sostengono flotte di pesca in passivo; e far rispettare con rigore le restrizioni sulle tecniche di pesca che danneggiano gli habitat o che coinvolgono specie prive di interesse alimentare.-
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