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Birra artigianale, unica e irripetibile: l'APP e gli abbinamenti birra&pizza
07 marzo 2013

TRIGGIANELLO - «For a quart of ale is a dish for a king» (“ché un boccale di birra è un pasto da re”, William Shakespeare in Il racconto d'inverno, atto IV, scena III). La birra è una delle più diffuse e più antiche bevande alcoliche del mondo, databile al VII millennio a.C. e registrata nella storia scritta dell'antico Egitto (la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche alimento e medicina) e della Mesopotamia (dove pare che sia nata la professione del birraio).
Si parla di birra anche nella Bibbia e negli altri libri sacri del popolo ebraico (come il Talmud), mentre la Grecia, più orientata sul vino, non produceva birra, ma ne consumava parecchia, come anche Etruschi e Romani. I veri artefici della diffusione della birra in Europa sono state comunque le tribù germaniche e celtiche.
 
L’industria birraia è diventata un business di proporzioni globali, dominata da pochi soggetti internazionali, con cui convivono molte migliaia di produttori minori che spaziano dai brewpub ai birrifici regionali. Purtroppo, il mercato globalizzato e la necessità di ridurre i costi di produzione non solo hanno appiattito la cultura birraia, ma facilitato la diffusione di elementi artificiali e conservanti. A volte, la “birra industriale” è solo una lontana imitazione della birra consegnata dalla storia.
Unica e irripetibile è, invece, la birra prodotta dai birrifici artigianali che utilizzano ingredienti naturali. Ed è stato proprio il recupero dell’antico sapore della birra l’elemento cardine del secondo appuntamento del percorso di formazione dell’Associazione Pizzaioli Professionisti, tenutosi al birrificio Birranova di Triggianello (Bari), alla presenza dei vari iscritti e degli organizzatori dell’evento, Luigi Stamerra, presidente APP, Gianni Giorgio, direttore generale APP, coadiuvati da Giuseppe Petruzzella del Ristorante “Il Vecchio Gazebo” di Molfetta e da Alessandro Pastoressa dell’aula di formazione “Quinto Peccato” di Bitonto.
 
Malto d’orzo e/o malto di frumento (e, in alcuni casi, anche segale e avena maltati) sono gli elementi base per la produzione della birra artigianale, cui si aggiungono luppolo, lievito ed acqua. «Ogni cereale ha la sua particolare funzione - ha spiegato il mastro birraio, Donato di Palma -. Ad esempio, con il frumento maltato avremmo un sapore di fruttato, mentre con segale e avena un gusto speziato e morbido». Sarà poi la temperatura dell’essicazione del cereale a determinare il colore della birra.
«Rispetto a quella industriale, la birra artigianale non è sottoposta al processo di pastorizzazione, all’aggiunta di additivi per la conservazione e di succedanei del malto d’orzo - ha aggiunto il mastro birraio -. Questi sono, invece, processi tipici per la produzione della birra industriale, che considero come un “cadavere in bottiglia”».
Infatti, per aumentarne la conservazione, nella produzione industriale il prodotto è sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione (processo di risanamento termico per uccidere microrganismi sensibili al calore, come batteri in forma vegetativa, funghi e lieviti, con un'alterazione minima delle caratteristiche chimiche, fisiche e organolettiche dell'alimento) e il filtraggio. Sono, però, inattivati i microrganismi contenuti nel lievito, cui segue l’aggiunta di additivi conservanti e stabilizzanti.
Ecco perché le birre prodotte con tecniche industriali si differenziano sostanzialmente da quelle artigianali anche al semplice un esame organolettico. Ad esempio, la presenza di lieviti attivi rende le birre artigianali un alimento vivo che si evolve nel tempo (è possibile un invecchiamento in cantina anche per alcuni anni).
Di particolare importanza nel processo di produzione della birra, è l’uso del luppolo che non solo ha proprietà antisettiche (oltre a quelle aperitive, lassative e vermifughe, depurative, sedative e rilassanti), ma consente di amaricare e aromatizzare il mosto da cui, dopo la fermentazione , sarà ottenuta la birra.
 
Da sfatare le bufale commerciali della birra senza glutine (il 99% delle birre è senza glutine, ma nessuno lo dichiara) e del doppio malto, che identifica solo il contenuto alcolico, a sua volta determinato dalla fase finale della produzione della birra(prima fermentazione), definita alta o bassa in base ai lieviti selezionati per attivarla.
In sostanza, la birra doppio malto non esiste: si tratta solo di una definizione legale e non ha assolutamente niente a che fare con la quantità di malto utilizzata per fabbricare la birra, né tantomeno con le tipologie belghe chiamate Dubbel. In base alla legge italiana, le birre sono classificate in base al grado saccarometrico e divise in birra analcolica, birra leggera o light, birra, birra speciale, birra doppio malto.

Interessante è l’abbinamento birra&pizza tipicamente italiano e diffusosi a macchia d’olio fino a diventare l’accoppiata per eccellenza (la stessa APP sta preparando un catalogo di abbinamento tra i due prodotti). In maniera inappropriata, si è convinti che birra e pizza gonfino la pancia: di sicuro, questo accade se la birra è stata spillata male (troppa anidride carbonica provoca gonfiore, ma anche acidità per la reazione dell’anidride carbonica con il pomodoro, ingrediente acido della pizza).
Un corretto abbinamento birra&pizza deve basarsi sul gusto prevalente della pizza, anche se gli ingredienti usati sono svariati. Ad esempio, quando una pizza contiene una molteplicità di sapori tra loro in equilibrio o con uno in leggera prevalenza (quattro stagioni o quattro formaggi), la birra deve essere di alta fermentazione, dal profumo intenso e persistente. Per una pizza più semplice o meno complessa nei sapori, una birra fresca e dissetante riuscirà a soddisfare in pieno anche i palati più esigenti.
 
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Autore: Marcello la Forgia
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