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Antonio Nuovo,anniversario della scomparsa di un maestro della pittura pugliese
29 luglio 2009

MOLFETTA -“Schivo, solitario, ma tragicamente intenso”: così Anna d'Elia definiva Antonio Nuovo e molti pittori della sua generazione nel 1983. Ricorre ormai l'anno dalla scomparsa di questo “maestro della pittura pugliese” e la redazione di “Quindici” vuole testimoniare ai suoi cari e a sua moglie Maria Colamartino il proprio affetto, la propria vicinanza. Uno dei primi snodi della sua infaticabile attività, come ricordava Lorenzo Palumbo nel curriculum approntato per il catalogo “L'espressione del sacro” (Mezzina, Molfetta, 2002), era stata la collettiva presso il Circolo Unione di Molfetta, durante l'occupazione degli alleati. Per uno dei suoi acquerelli Nuovo aveva scelto un tema biblico caro agli artisti di ogni tempo (Masaccio e Masolino, Durer, Rubens, Botero persino), la vicenda di Adamo ed Eva, e l'aveva reinventato non senza una nota di raffinata ironia. Quell'ironia che si congiungeva a tratti con un realismo vigoroso, a tratti con un gusto espressionisticamente deformante, capace di trasfigurare i volti dei partecipanti ai riti del Sabato Santo in maschere spigolose. Un'ironia che non era mai disgiunta da un profondo amore per il mondo e per il suo sud. Un sud fatto di pescatori e pescivendoli, di marine assolate o 'incagnate' (come direbbe Scotellaro), solitarie o vivificate dalla presenza umana (magari femminile come nelle “Donne sul mare” esposte nel 1958); un mezzogiorno di campi che biondeggiano, anche se, non di rado, magari sovrastati da un cielo plumbeo. Un'attenzione estrinsecata anche nelle nature morte o nella frutta e verdura, nel “Cocomero e zucca” e nelle “Arance” come nei “Fichi d'India al Sole”. E con il Sole anche la Luna, soprattutto la Luna, diveniva per Antonio Nuovo amata compagna di surreali conversazioni, genio amico spesso evocato con i suoi simboli e le sue creature malinconiche, dolci-amare (penso al “Ritratto di Pierrot” esposto alla Galleria “La Mansarde” di Napoli, nel 1956). Sono tante le componenti della ricerca artistica di questo artista dalla vena complessa: la clownerie un po' gentiliniana, che si traduce nei “Pagliacci in riposo”, negli “Acrobati”, ma che a tratti può insinuarsi persino nella rievocazione del peccato originale; l'impegno civile che respinge con energia inusitata “L'incubo della guerra”, testimoniando, nel 1966, come scriveva Elena Germano Finocchiaro, quanto Guernica non fosse passata invano. Il senso del mistero, che si coglie nelle variazioni sugli “Arcani maggiori” o nella Nemesis, l'Angelo dell'Apocalisse in volo sui tetti del mondo per recare distruzione e rigenerazione e instaurare, finalmente, la giustizia. Quella giustizia che, con la morte del Cristo, si rende immateriale, disfacendosi, nel buio della notte, sul grembo nero di una suggestiva, umbratile Pietà del 1995. E, nelle Sacre Ceneri, una teoria di visi maschili, accomunati dalla mancanza di definizione dei lineamenti e resi cerei o lividi dalle pennellate matericissime e nervose, sembra interrogarsi e interrogare l'osservatore sull'eterno mistero del dolore. In un silenzio schivo, ma denso di umanità.
Autore: Gianni Antonio Palumbo
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