Anche gli scout dell'Agesci Molfetta 1 e 4 a Casal di Principe per ricordare don Peppe Diana
CASAL DI PRINCIPE - ‘’Come Romero, come Don Puglisi’’ le scritte che riempiono striscioni e locandine la sera del 19 marzo 1994 a Casal di Principe. Sono passate poche ore dalla morte di Don Peppe Diana, sacerdote, scrittore e scout, steso da cinque colpi di pistola fuori dalla sua Chiesa e il paese sfiora l’isterismo collettivo: nessuno può considerarsi al sicuro dopo che hanno ucciso un prete, nella sua chiesa, il giorno del suo onomastico.
L’omicidio è un evidente segnale della paura della Camorra davanti al Prete, che dopo la famosa morte bianca del testimone di Geova nel corso di San Cipriano aveva denunciato ‘’l’alleanza’’ tra Chiesa e Mafia, folgorato dall’ assassinio di un testimone di Geova per mano di cattolici. Ed infatti, i responsabili siedono ai primi banchi della sua parrocchia, sfilano in processione, elargiscono generose donazioni fino a che Don Diana ‘folgorato’, spezzando ogni legame con la Campania nera, firma la sua condanna, come Romero, come Don Puglisi prima di lui.
A distanza di 21 anni, il 19 marzo è diventato un simbolo di rinascita e di speranza che lentamente sostituisce quello di dolore per la morte di un modello di virtù. A Casal di Principe per la prima volta le scuole si rendono protagoniste della manifestazione e ospitano una conferenza mattutina in cui si parla di passaggio d’epoca, di partecipazione studentesca consapevole, di cambiamento (vedi le foto di Mario La Forgia).
Tra gli illustri ospiti, Raffaele Cantone (nella foto, durante il suo intervento) e Luigi Ciotti, le cui parole si completano e si saldano a vicenda.
Il presidente dell’ANAC parla di corruzione come “male storico italiano” che sradica la speranza e porta retrocessione economica e che può essere contrastato solo dalla rivoluzione culturale della trasparenza. Essa può annullare l’equazione casalese=mafioso, come suggellato da Don Peppe, che per amore del suo popolo ha deciso di non tacere. Ed il parlare di Don Peppe era un parlare chiaro - ricorda Don Ciotti - così come nelle omelie; lui ne conosceva i rischi ma il peso del silenzio sarebbe stato eccessivo per la sua integrità e lo avrebbe portato all’incoerenza, alla perdita di sé.
La chiesa di Don Peppe è quella che invita a guardare il cielo, alla rivolta delle coscienze ancor prima che delle riforme, incalza Don Luigi, (spesso monche perché opera dei soliti corrotti che siedono regolarmente nei posti dirigenziali) che invita alla responsabilità e combatte la mafia delle parole, corruttrice della speranza.
Gli interventi, cui si aggiunge il messaggio della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, si susseguono nella sala dell’ ITS Guido Carli, dove anche Molfetta vanta la rappresentanza dei gruppi scout Agesci del Molfetta 1 e 4, per poi lasciare spazio al cammino simbolico per le terre di Don Peppe che si chiude davanti alla sua tomba. Qui un’incisione salta subito all’occhio ‘’ Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di pace’’. Tra le prime file del corteo i familiari, l’amico e testimone della strage Augusto di Meo, il presidente ANAC, il fondatore di Libera Don Ciotti, il referente Libera Caserta Gianni Solino ed il Sindaco che rindossa il tricolore: lo aveva fatto vent’anni prima per seppellire Don Peppe, oggi invece lo fa per accompagnarlo vivo tra la folla.
A reggere lo striscione ‘’PER AMORE DEL MIO POPOLO NON TACERO’ ‘’ anche il suo personale amico Salvatore Cuoci, del Comitato Don Peppe Diana, che a marcia terminata apre agli scout un ulteriore percorso in stile ‘’LIBERA’’: pranzo presso la NCO (nuova cooperativa organizzata) e visita di una villa confiscata in San Cipriano.
Non è semplice immaginare quell’immobile prima dell’intervento di LIBERA, prima dei murales e dei simboli sparsi per la proprietà e delle porte sempre aperte, quando quella struttura era l’abitazione del Boss Spirto, perché ogni centimetro di prato e di cemento è stata travolto da un’ondata di rinnovamento.
Quella villa a tre piani che si staglia in un panorama modesto è una delle più concrete immagini di ingiustizia sociale, pagata dalle ‘’tasche’’ delle oneste villette che la circondano. Per fortuna oggi Libera ha messo la propria firma sui muri riempiendoli di parole di coraggio ed il bene può dirsi restituito al suo legittimo proprietario: la comunità.
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