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Amarcord ’50: le socie Fidapa di Molfetta si raccontano attraverso i loro ricordi degli anni ‘50 Evento conclusivo della rassegna “Maggio molfettese” alla Sala dei Templari
28 maggio 2018

MOLFETTA - L’ultimo evento della rinomata rassegna “Maggio Molfettese”, targata Fidapa ha avuto come protagoniste le socie stesse della Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari alla Sala dei Templari di Molfetta.

Mari Diolini, segretaria dell’associazione, ha informato alla platea sulle ragioni del titolo assegnato alla manifestazione: “La parola Amarcord è un chiaro rimando al film del 1973, diretto da Federico Fellini, che ha riscosso molto successo e che ha dato vita ad un vero e proprio neologismo della lingua italiana. L’univerbazione della frase romagnola "a m'arcord": (io mi ricordo), rimanda ad un ricordo nostalgico ma caro alla sfera affettiva”. Tre socie Fidapa; Maria Renata Casucci (proprietaria anche di molti capi d’abbigliamento che hanno costituito la mostra nella Sala dei Templari); Rosa de Candia e Liliana Carabellese Missori hanno rotto il ghiaccio e si sono raccontate, incitando la platea a seguirle nell’iter nostalgico dei ricordi.

Rosa de Candia ha parlato con affetto della sua famiglia, dicendo: “Eravamo una famiglia numerosa, io ed i miei fratelli avevamo quasi tutti la stessa età: ci differenziavamo di 18 mesi ciascuno, ragion per cui eravamo molto legati. Maria, mia sorella più grande, diplomata al Liceo Classico, fu la prima della famiglia a frequentare l’Università, laureandosi in Scienze Naturali a Foggia. Non navigavamo nell’oro, dal momento che mio padre era ferroviere ed eravamo tanti figli, così mia sorella col fine di guadagnare qualcosa, dal momento che era portata per la lingua inglese, incominciò ad assumere il ruolo di traduttrice delle parole dei soldati inglesi, che presidiavano la stazione cittadina. Successivamente però, fu assunta dal provveditorato foggiano a Vico Garganico e, grazie al suo nuovo impiego, riuscì a mettere da parte un bel gruzzoletto di soldi per comprare il corredo e annunciò alla famiglia che voleva sposarsi! Il 6 febbraio del 1948 celebrò il suo matrimonio al Sacro Cuore, officiato da Don Giovanni Capurso, festeggiato a casa di mia nonna in via Quintino Sella, 14 perché l’ex Albergo Flora, location rinomata, era troppo caro per le nostre tasche. Fu un matrimonio bellissimo! Io e le mie sorelle indossavamo abiti sartoriali prodotti dalle sarte Magarelli, il buffet era molto ricco ed era stato prodotto dal bar Alba, di Piazza Cappuccini e della pasticceria Barese, aperta da poco in quel tempo. Il grammofono suonava musica tutto il tempo e non smettemmo un attimo di ballare! Tutto ciò è rimasto ancorato alle fibre del mio animo ma sono contenta di avere alcune foto che testimoniano quel giorno meraviglioso!”.

Liliana Carabellese Missori, invece, ha raccontato una particolare tradizione: quella di festeggiare l’onomastico in casa. “Adoravo la preparazione della festicciola: mi sentivo cuoca anche io con mia madre, che era l’esempio migliore che io potessi seguire! La casa era animata per l’occasione dai due giorni precedenti all’onomastico: mia madre addobbava la casa con nastri e lustrini e incominciava ad impastare focacce e dolci in grande quantità! Mi sentivo importante anche perché ero stata rivestita del compito di chiamare il ragazzo del fornaio per venire a prendere le teglie e cuocerle nel forno! Provavo emozioni contrapposte: da un lato provavo euforia per questo compito così importante, dall’altro ero terrorizzata dalla possibilità che un ragazzo così magro, dovesse trasportare le teglie pesanti sul capo, correndo il rischio di cadere e rovinare tutto il lavoro di mamma! Adoravo le “paste delizia”, dolci di pasta frolla ripieni di crema al burro e rotolati nella granella di nocciole ma soprattutto, adoravo quando mio padre suonava il pianoforte e veniva accompagnato anche da un suo amico violoncellista!”.

Maria Renata Casucci invece ha raccontato, step by step, tutto l’iter del suo matrimonio: “Dopo sei lunghi anni di fidanzamento e dopo aver vinto il diniego dei nostri genitori, io e mio marito decidemmo di sposarci! Il primo passo da fare era conoscere le rispettive famiglie e mostrare il corredo: 20 lenzuola (10 ricamate e 10 no); 40 asciugamani; 10 tovaglie (5 ricamate e 5 no) e indumenti vari come il “completo da nozze”; sia del futuro sposo che della futura sposa, in presenza di un notaio che sottoscriveva ogni bene! Successivamente, pattuimmo un incontro con i nostri “compari d’anello”: amici fidati che accompagnavo gli sposi all’altare insieme ai genitori e che sarebbero stati poi madrine e padrini dei figli, nati dall’unione. Prima del matrimonio dovevano essere rispettate una serie di tradizioni: alla sposa venivano donate due “parure” (serie di due o più oggetti di ornamento o abbigliamento realizzati in base a criteri estetici o funzionali di complementarità) una che rappresentava un set di gioielli per le occasioni speciali e un set di gioielli per tutti i giorni; inoltre veniva celebrata la festa della “coperta imbottita”: la produzione di una coperta, coordinata da una sarta professionista, al cui interno erano presenti santini che avrebbero dovuto vegliare sulla nuova famiglia; bambagia e cioccolatini e confetti; per di più le madri rispettive degli sposi dovevano preparare il letto: ricoperto da una coperta di seta e da una di pizzo di cantù. Celebrammo il nostro matrimonio nel 1948 e lo festeggiamo sulla terrazza panoramica di Palazzo Cappelluti, accompagnati da un’orchestra composto da musicisti francesi ed americani, fu evento fatto in pompa magna e, a dir poco, meraviglioso!”.

I ricordi della signora Casucci hanno reso protagonista nuovamente anche don Tonino Bello, ricordando un’occasione in cui si è complimentato con un’equipe di sarte che avevano realizzato un laboratorio di cucito in cui venivano messi in vendita prodotti confezionati a mano, alla Parrocchia “Madonna della Pace”: “con il sorriso luminoso che lo ha sempre caratterizzato, si complimentò con il nostro laboratorio perché nei nostri lavori spiccavano le nostre personalità!”.

Sollecitato da questi racconti, anche il medico, scultore e poeta Zaccaria Gallo ha condiviso i suoi amarcord: “Dopo l’armistizio del ’45, avevamo le restrizioni del coprifuoco: alle 20 si spegnava tutta la città. Quando c’era la minaccia di bombardamento, si sentiva suonare la sirena d’allarme e tutti, in qualsiasi condizione versassero, scappavano nei rifugi sotterranei o negli scantinati per pregare per la nostra salvezza!”.

Sulla stessa onda ha preso la parola anche la prof.ssa Nanda Amato, ricordando quel triste periodo così: “Quando arrivarono le truppe di occupazione inglese, ero terrorizzata! Ho visto l’uomo nero, mezzo per distogliere i bambini dal fare qualcosa di sbagliato, nelle vesti di un soldato americano di colore ed ero letteralmente terrorizzata! Il ricordo più pauroso fu quando io e la mia famiglia venimmo prelevati dalla nostra abitazione, scortati da soldati muniti di mitra, per recarci a Bari da mio padre (il gen. Amato, ndr), in seguito al lancio di una bomba su via Baccarini che causò la morte di un’intera famiglia!”.

In conclusione, gli amarcord condivisi e raccontati hanno creato un’atmosfera surreale in cui la platea, completamente immedesimata nei racconti, ha tenuto il fiato sospeso fino alla fine, compartecipando in maniera allegra ed in maniera ansiosa in base alla tipologia di ricordi prospettata.

Alla fine dell’evento, dopo i ringraziamenti della presidente Vanna La Martire e della segretaria Mari Diolini, ogni donna ha ricevuto una rosa come omaggio alla sua partecipazione.

© Riproduzione riservata

Autore: Marina Francesca Altomare
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