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Alle elezioni amministrative di Molfetta, il Partito di Alternativa comunista invita all'astensione
02 giugno 2017

MOLFETTA - Il Partito di Alternativa Comunista non sarà presente alle prossime elezioni Comunali  con un proprio candidato Sindaco e con una propria lista e invita «lavoratori, studenti e pensionati all'astensione per non cadere nell'ennesima truffa elettorale e che, come abbiamo visto e sperimentato in questi anni, non porterà a nessun cambiamento.

I candidati sono sempre gli stessi e i programmi sono uguali. Candidati che cambiano partito (voltagabbana),  che si presentano come nuovi in liste civiche e candidati "prestanome".

Il candidato Sindaco "prestanome", nonché segretario provinciale di Rifondazione Comunista, in un comizio pubblico ha dichiarato di "rappresentare"... moderati e anche coloro che hanno orientamento politico ideologico conservatore e  liberista.

Il liberismo è l’effetto collaterale del capitalismo che massacra le fasce più deboli della popolazione.

Siamo al tradimento di un simbolo (falce e martello), di una storia, di una ideologia e di emancipazione del movimento operaio internazionale e internazionalista. 

Proprio quest'anno ricorre il centenario della Rivoluzione Russa dell'ottobre del 1917. E’ stato l'evento che sconvolse il mondo e che ha dimostrato la possibilità di una vera trasformazione sociale, basata sul protagonismo proletario, per superare il sistema marcio e cannibalesco in cui viviamo: il capitalismo.

La rivoluzione d’ottobre e l’evento che, ancora oggi, fa paura ai potenti della terra. Astenersi non basta!.  È possibile cambiare!

Anche per questo, Alternativa Comunista, non partecipa a queste elezioni preferendo la concentrazione, di tutte le energie, nella costruzione di una alternativa di  classe che si basi sui bisogni reali del proletariato e della classe lavoratrice a partire da Molfetta». 

Mauro Mongelli
portavoce di Alternativa Comunista Molfetta                                                                               
 

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Massimo Fini - Giornalista, scrittore e drammaturgo italiano - "L'Italia è diventata un bordello. Non perché il premier va a escort e qualcun altro a trans, ma perché sono state sovvertite tutte le regole. Un bordello squallido e triste, la cui cupezza si respira nell'aria. Raccontavo qualche giorno fa a una mia giovane amica la Milano dei '50, di quando ero ragazzino. Eravamo poveri, allegri e spavaldi. I tram erano stipati fino all'inverosimile con la gente sui predellini aperti e qualcuno attaccato al troller. Uscivamo dalla guerra, ci eravamo salvati dai bombardamenti angloamericani e dai rastrellamenti tedeschi, non ci poteva certo spaventare una caduta dal tram. Tutti, uomini e donne, fumavano. Il terrorismo diagnostico era di là da venire. Noi ragazzini uscivamo di casa alle due del pomeriggio e rientravamo con le ginocchia sbucciate, alle otto, senza che i nostri genitori se ne preoccupassero. Perché nel quartiere c'era un controllo sociale e se un bambino si fosse messo nei guai ci avrebbero pensato gli adulti a tirarlo fuori e un pedofilo sarebbe stato avvistato a un chilometro di distanza. Eppoi c'era, "il ghisa", il vigile, autorità sovrana. La "pula" non aveva bisogno di farsi vedere. La malavita era professionale, conosceva le regole, stava attenta a non spargere una goccia di sangue (il colpo in banca della banda di via Osoppo, senza un ferito, tenne la scena sui giornali per mesi). Eravamo solidali perché eravamo poveri e anche quelli che non lo erano non lo davano a vedere. Il sordido gioco degli "status simbol" non era ancora cominciato. Lealtà e onore erano moneta sonante. Se fra noi ragazzi ci si scontrava a pugni sulla strada – dove ci siamo formati – e un gruppo era di dieci e l'altro, poniamo di otto, due si levavano per far pari. E l'onestà era un valore assoluto. Per la borghesia, se non altro perché dava credito. Per il proletariato, per il mondo contadino dove la stretta di mano contava più di un contratto. Mentre raccontavo queste e altre cose i begli occhi della mia amica si ingrandivano, si sgranavano. Alla fine mi ha detto "tu mi stai raccontando una favola, questa non è l'Italia". Appunto.


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