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Allarme idrogeologico per le lame, ma il Comune continua nello scempio ambientale
15 novembre 2010

Rischio idrogeologico al centro dell’incontro di venerdì 5 novembre, alla Fabbrica di Nichi, per chiarire la situazione legata alle lame molfettesi e allo scempio ambientale dell’amministrazione, che continua ad opporsi all’Autorità di Bacino (AdB), quasi fosse un nemico politico. A rendere più chiare le vicende legali e la funzione ambientale delle lame sono stati Rosalba Gadaleta, avvocato amministrativista, componente del centro di azione giuridica di Legambiente, e Vito Copertino, docente di Costruzioni idrauliche dell’Università della Basilicata. Cerchiamo di ripercorrere i momenti chiave della vicenda legata alle lame. Il primo tentativo di affrontare lo studio del territorio di Molfetta attraversato dalle lame è avvenuto nel 2000 ad opera del DAU (Dipartimento di Architettura e Urbanistica dell’Università di Bari). Esso fu visto come un adempimento necessario per l’approvazione del piano regolatore. Nel 2005 viene approvato il primo PAI (Piano assetto idrogeologico), che individuò le aree con probabilità di inondazione, nei pressi delle lame, le quali presentavano livelli diversi di pericolosità. Il terzo momento è costituito da una variante del PAI, nell’aprile 2009, che individuava con maggiore precisione le aree a rischio idraulico. Una linea di continuità che si stende in un arco di tempo di dieci anni, in cui è stato approfondito lo studio delle lame con nuove cartografie, rilievi, aggiunta di dati. In questi dieci anni, inoltre, è mutato il quadro normativo legislativo riguardante la difesa del suolo e le competenze delle Autorità di Bacino. Sono stati numerose le inondazioni che hanno interessato il territorio pugliese e molfettese in questo periodo. Proprio queste ultime hanno indotto una maggiore sensibilizzazione rispetto agli effetti e alle conseguenze della precarizzazione dell’ambiente e del territorio, dovuta ai cambiamenti climatici e alle edificazioni a fine abitativo e commerciale. A seguito del terzo studio effettuato sul territorio molfettese, il Comune si è opposto ai risultati dell’individuazione delle aree a rischio, presentando una propria posizione tecnica. Questa, dopo essere stata analizzata dall’Autorità di Bacino, è stata respinta in quanto incompatibile con la condizione di precarietà che caratterizza le aree in questione. Infatti, tutti i piani di bacino dei bacini idrografici italiani sono per legge sovraordinati rispetto a qualunque altro tipo di pianificazione urbanistica, territoriale, economica, commerciale e paesaggistica che interessi a vari livelli il territorio nazionale. Il rischio idrogeologico e quello idraulico, in particolare, fanno parte di quella politica della difesa del suolo che è tanto evocata da chi rivendica la necessità di proteggere il territorio dagli eventi calamitosi che si fanno sempre più frequenti. L’autorità comunale ha fatto ricorso al Tribunale Superiore delle Acque, che già nel febbraio 2010 ha giudicato rigoroso lo studio dell’AdB a supporto delle indicazioni del PAI, dando la sensazione di voler chiudere rapidamente la vicenda giudiziaria. Invece, a maggio, il tribunale ha preso atto di un nuovo studio elaborato dai consulenti dell’amministrazione comunale e ha riaperto le procedure di delimitazione delle aree inondabili. Infatti, l’amministrazione comunale vuole che queste vengano ridotte sulla base di uno studio contenente innumerevoli imprecisioni e fantasiose elaborazioni presentate come approfondimenti e aggiornamenti scientifici, frutto dell’applicazione di metodi matematici moderni legati allo studio dei processi idrologici e idraulici. L’AdB ha risposto puntualmente e rigorosamente all’amministrazione fra l’estate e il primo autunno appena trascorso, nel corso delle udienze presso il tribunale e vere e proprie contese all’interno delle numerose riunioni del tavolo tecnico, presso la sede dell’autorità stessa. Attualmente il giudice del Tribunale delle Acque ha assunto un docente di Costruzioni idrauliche dell’Università di Napoli, il prof. Giugni, come consulente tecnico d’ufficio. Il giudice ha rinviato a giugno 2011 la conclusione della contesa respingendo l’istanza del Comune di sospendere l’efficacia del PAI e delle sue norme. L’associazione Legambiente ha sostenuto la validità dello studio dell’AdB nel corso dell’interva vicenda giudiziaria, costituendosi “ad opponendum”. Le lame, che costituiscono la via naturale per il decorso delle acque verso il mare, sono state per lungo tempo ignorate a partire dagli anni ’50, quando l’edificazione molfettese ha fatto dimenticare che esistono delle incisioni. Se non ci sono strutture come i tombini, le lame di ingrossano e diventano pericolose. Esse sboccano in mare da cala San Giacomo alla terza cala. Esse non sono state assunte come elemento importante per una corretta politica urbanistica. Anche nella zona industriale ci si è accontentati di sostituire tombini che in realtà erano già stati mal progettati, messi in punti sbagliati. Secondo Vito Copertino, l’AdB “ha tutte le competenze per dire al Comune come vanno fatte le cose”. La lama è un elemento di valorizzazione del territorio e va considerata e valorizzata per la creazione di quartieri a misura d’uomo. La nostra antropizzazione non ne ha tenuto conto. C’è allora una zona, coperta dall’espansione storica di Molfetta, che è ormai segnata irrimediabilmente dall’urbanizzazione. Per gli abitanti di questa zona, in caso di pericolo, l’unica via di salvezza sarebbe l’evacuazione. Ci sono poi aree ad alta, media e bassa pericolosità. Per queste è necessaria una riqualificazione territoriale. Le lame hanno fondamentalmente tre funzioni: una naturalistica, l’altra consistente nella capacità di drenare le acque zenitale, e l’ultima costituita dal deflusso dell’acqua che proviene dalle colline. Quest’acqua deve trovare delle canalizzazioni, come le caditoie. Gli allagamenti avvengono quando queste non ci sono. Ciò che bisogna temere innanzitutto, allora, è una piena da monte. La lama con più elevata capacità è lama Martina. Il Comune ha messo in conto persino la possibilità di deviare le acque di lama Scorbeto canalizzandole fino alla dolina Gurgo, senza considerare che l’acqua, per arrivare a Terlizzi, dovrebbe risalire, e complicando ancor più l’analisi della situazione territoriale con modelli matematici complicatissimi. La lama, fondamentale in funzione della vita cittadina, resta un elemento ambientale che arricchisce il territorio, se valorizzata e posta al centro di uno sviluppo che ruoti attorno al beneficio dell’uomo. E questo beneficio non consiste solo negli affari economici, talmente esigenti da decentrare la gente dagli interessi attorno a cui ruota la costruzione della città. Quella città è ciò in cui soltanto la gente può ritrovare se stessa. Riempirla di attrazioni e lasciarla implodere nella dimensione che la aliena da se stessa per trovare rifugio in un’altra realtà, rischia di risucchiare tutto, anche noi stessi, nel nulla che abbiamo creato.

Autore: Giacomo Pisani
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