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Al via il Centro antiviolenza Annamaria Bufi
15 maggio 2019

Ormai è imminente l’apertura, a Molfetta, del centro antiviolenza intitolato alla memoria di Annamaria Bufi, la giovane donna che, a soli 23 anni, perse la vita nel 1992, colpita almeno due volte e con inaudita violenza, da un corpo contundente. Senza traccia di pietà, fu scaricata dal suo assassino in una piazzola di sosta sulla statale 16, all’altezza di Molfetta. Il principale indiziato, assolto nei due gradi successivi di giudizio, nel frattempo è deceduto. Il reato è rimasto impunito. Il nome di questa donna campeggia a grandi lettere sulla parete principale dell’edificio, sede del centro antiviolenza (voluto dall’amministrazione di sinistra del sindaco Paola Natalicchio), leggerlo è coinvolgente. Si entra nel cantiere, si scattano alcune foto all’edificio, si rimane immobili a guardare il nome di Annamaria, a riflettere e a interrogarsi sul fatto che le donne non hanno adeguata protezione. Per alcune l’incontro con la morte è programmato. Lontani da ogni retorica, il ricordo di Annamaria, giovane ragazza, persisterà, quel viso appena reclinato, nella sua foto più diffusa e quel suo sguardo curioso. La struttura del centro antiviolenza si trova su un’ampia piazza, abbellita da alberi e prati verdi. Si trova al Rione Paradiso un quartiere periferico e isolato. L’edificio occupa lo spazio del vecchio ufficio postale e ne conferma l’ubicazione; ha sembianze moderne rispetto alle costruzioni circostanti, gradevole è il richiamo all’arte contemporanea e in particolare alle opere di Mondrian. Grandi riquadri colorati, composti geometricamente, ne abbelliscono le pareti esterne. La gestione del centro antiviolenza cittadino è stata affidata all’associazione Pandora, con aggiudicazione pubblicata sull’albo pretorio nel mese di febbraio. L’associazione è presente e lavora sul territorio da alcuni anni. Nel 2013, l’avvocato Valeria Scardigno, che ne è fondatrice e presidente, inaugura lo sportello antiviolenza “Pandora” presso il palazzo Turtur, nel centro antico di Molfetta. Lo sportello offre supporto psicologico e legale a donne vittime di abusi e violenza. Ad accoglierle un affiatato team di psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali ed educatori. Questi i servizi offerti dal centro antiviolenza. Colloqui telefonici per individuare bisogni e fornire le prime informazioni. Colloqui di accoglienza: si svolgono con l’operatrice che instaura con la donna una relazione di fiducia basata sull’empatia e sul riconoscimento della centralità del suo vissuto; durante i colloqui si instaura un possibile progetto di uscita dalla situazione di violenza. Colloqui informativi di carattere legale sugli strumenti giuridici cui la donna può far ricorso per tutelare i propri diritti. Accompagnamenti, qualora la donna lo richieda, a colloqui con le forze dell’ordine o con gli assistenti sociali, a visite mediche e in tutti i luoghi in cui la presenza dell’operatrice rappresenti un punto di forza per la donna. «In tali centri operano, per legge, solo figure femminili – è scritto sul sito ufficiale di Pandora (www.associazioneantiviolenzapandora. weebly.com). La violenza sulle donne è spesso percepita come normalità, come parte della propria vita. La donna è inconsapevole, è manipolata, difende il suo aggressore; è insicura, sofferente, incapace di reagire. Indebolita e isolata dai propri cari, non ha relazioni sociali, ha bassa stima di sé, si guarda con gli occhi di chi la maltratta e questa è l’immagine che ha di sé. Chi usa violenza è certo di possederla e di poterne fare ciò che vorrà. Ci sono, tuttavia, delle donne che, in una certa fase della loro vita, cominciano a reagire, dapprima lentamente, poi attraverso un lungo lavoro interiore, che dura anche molti anni, si ricostruiscono una vita completamente nuova. Una vita della quale loro, per la prima volta, sono le uniche protagoniste, come fossero delle eroine. Nella fase più difficile della crisi esistenziale di una donna maltrattata iniziano ad intervenire le operatrici del centro antiviolenza, offrendo uno spazio di ascolto, di condivisione e sostegno, caratterizzato da segretezza e anonimato. Dopo un primo contatto, le donne non vengono richiamate, devono essere protagoniste del loro percorso, che deve partire dall’interno e da un atto di volontarietà. L’associazione Pandora, in linea con gli obiettivi dei centri antiviolenza, ha un approccio al tema della violenza che ha ribaltato l’ottica di intervento e ha visto passare la donna da “vittima”, soggetto passivo e debole, a soggetto credibile, forte e capace di mobilitare le proprie risorse personali per fronteggiare le situazioni, proteggere se stessa e i propri figli e porre le basi per riconquistare una vita indipendente, auto-determinata e libera dalla violenza». Il centro antiviolenza offre anche servizi collaterali, come l’inserimento nel mondo del lavoro delle vittime di violenza economica. La violenza economica, è ogni forma di controllo sull’autonomia economica. Comprende forme di controllo economico come il sottrarre o impedire l’accesso al denaro o a altre risorse basilari, sabotare il lavoro. Tale forma di violenza riguarda tutto ciò che concorre a far sì che la donna sia costretta in una situazione di dipendenza e non abbia mezzi economici per soddisfare i propri bisogni di sussistenza e quelli dei figli. Tali strategie la privano della possibilità di decidere autonomamente e rappresentano uno degli ostacoli maggiori nel momento in cui la donna si sente pronta per uscire dalla situazione di maltrattamento. La violenza fisica indica ogni forma di violenza contro il corpo o la proprietà. Comprende l’uso di qualsiasi azione finalizzata a far male o a spaventare. Le aggressioni possono essere evidenti (calci, pugni, spinte) ma a volte sono più sottili e si rivolgono a qualcosa a cui la persona tiene (animali, oggetti, vestiti), ai mobili o a cose che sono necessarie (es. i documenti). Si va perciò dall’aggressione fisica grave, che comporta ferite e richiede cure mediche d’emergenza, ad ogni contatto fisico che miri a spaventare e controllare la persona. La violenza psicologica consiste in un mancanza di rispetto che offende e mortifica la dignità. È la prima a manifestarsi ed è quella che permette lo svilupparsi delle altre forme. È meno visibile perché non lascia segni sulla pelle, non solo per gli estranei, ma anche per chi la subisce, che spesso finisce con il percepirsi con gli occhi di chi perpetra la violenza. Comprende abusi psicologici come intimidazioni, umiliazioni pubbliche o private, continue svalutazioni, ricatti, controllo delle scelte personali e delle relazioni sociali fino ad indurre la persona ad allontanarsi da amici e parenti, sino al completo isolamento. Valeria Scardigno, avvocato penalista, fondatrice e presidente dell’associazione “Pandora”, informa che la struttura del centro antiviolenza è completa ed è in procinto di essere consegnata al Comune, anche se vi sono alcuni dettagli mancanti. La consegna sarà contestuale al completamento dei lavori strutturali della piazza e delle aree verdi circostanti. Il Comune affideziando dei fondi, da capitolato, per assicurare la continuità del servizio, da parte delle operatrici, relativa allo svolgimento di attività sia specifiche che collaterali. Queste ultime riguardano una serie di eventi come – corsi di formazione, incontri con scrittori, mostre, eventi sportivi e ogni altro evento che possa aiutare la donna, anche non maltrattata, a conquistare un punto di vista e un approccio diverso rispetto al proprio genere. Vari corsi di formazioni sono stati proposti nel tempo, ognuno con tematiche, percorsi e obiettivi diversi; a tali corsi hanno partecipato, con entusiasmo e sempre maggiore coinvolgimento, un folto gruppo di donne, non necessariamente maltrattate. La comunità ha riconosciuto che il centro, attraverso queste iniziative, non si occupa esclusivamente di un’utenza specifica ma di un’ampia categoria di persone. Ogni donna, con la sua storia, era accolta nel gruppo; davanti ad un caffè e ad una fetta di torta fatta in casa, ciascuna di esse man mano si apriva, apriva il suo scrigno, inizialmente con imbarazzo, poi sentendosi libera e pienamente accolta, narrava la propria esperienza di vita. C’è stato un corso chiamato “Tabù” dedicato, ad esempio, alla tematica della sessualità. Poi ci sono stati altri corsi come “Diana da vittima a cacciatrice” che erano rivolti ad un aumento della consapevolezza femminile e della capacità della donna di essere se stessa, assertiva e capace di autodeterminarsi. Enza de Palma, psicologa e psicoterapeuta del centro, sostiene che la conduzioni di tali lavori di gruppo (di cui è una delle ideatrici) è finalizzata ad un aumento dell’empowerement femminile, ovvero quel processo di crescita finalizzato ad un aumento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione. A trarre giovamento da tali processi sono, sia le donne che devono uscire da situazione di violenza, sia altre che desiderano essere sensibilizzate o che hanno intrapreso un percorso che le sta portando ad acquisire un punto di vista diverso su se stesse. Chiara Gravinese, altra operatrice del centro, psicologa del lavoro, opera come consulente aziendale per diversi anni sino alla nascita dei sui figli, lavorando esclusivamente sulla formazione dei gruppi. Anche lei è una delle ideatrici dei corsi presentati da Pandora, insieme a Valeria Scardigno e a Enza de Palma. Chiara Gravinese, divenuta mamma decide di lasciare le aziende per le quali aveva lavorato, decide di cambiare strada e di dare il suo contributo professionale entrando in una dimensione più intima e femminile, pur continuando sempre a lavorare sui gruppi. In essi, le storie e le emozioni che ciascuno partecipante rivela, toccano livelli emotivamente alti e di grande intimità; anche l’operatore si sente coinvolto e come dice Enza de Palma, ha difficoltà a scindere la tecnica dal vissuto umano. Ciascuno, nel lavoro di gruppo lascia un pezzo di sé, sostiene Chiara Gravinese. L’intreccio delle storie la coinvolge personalmente, facendole vivere una esperienza forte da un punto di vista emotivo. Ogni donna, sottolinea la psicologa, ha la sua storia, il suo fardello, la sua voglia di liberarsi. Purtroppo il grado di violenze che la donna subisce nei rapporti intimi, ma anche sotto forma di molestie sul lavoro, è elevato. Chiara Gravinese sostiene che l’incontro con Pandora l’ha motivata a voler diffondere una nuova cultura per poter lasciare una traccia, nel suo piccolo, nel quartiere e a livello locale. Nello svolgere questo lavoro, sostiene la psicologa ha assistito ad una lenta rinascita di donne maltrattate, fatta di cadute e risalite. Infine, conclude, dicendo che, sulla base della sua esperienza, ci può essere il lieto fine nella storia di queste donne. Le operatrici del centro antiviolenza, aggiunge Enza de Palma, lavorano nello specifico, su percorsi individuali, offrendo sostegno psicologico alle donne maltrattate; inizialmente, a tali incontri e nella fase dell’accoglienza, possono partecipare anche altri componenti della famiglia. L’incontro iniziale può portare la donna a scegliere se intraprendere o meno il percorso di supporto psicologico. Ora, finalmente, continua Enza de Palma, lo sportello, come la legge prevede, dopo cinque anni di operatività, si è trasformato in centro antiviolenza, vi è il riconoscimento da parte dei registri della regione Puglia ed è possibile accedere ai bandi comunali ed avere in affidamento la gestione della struttura civica. Il centro opererà in sinergia con il Comune e con i servizi sociali, la loro azione nello svolgimento dei servizi, sarà regolata da convenzioni e da protocolli di intesa in via di definizione. Lo sportello trasformandosi in centro antiviolenza è divenuto un ente a tutti gli effetti ed ha acquisito un veste istituzionale. Valeria Scardigno riferisce della sua esperienza personale come fondatrice e referente dell’associazione: “Pandora è una realtà in divenire, non ha un unico punto di arrivo, è un percorso che migliora e matura nel tempo, che si è arricchito di vari momenti esperienziali grazie all’avvicendamento di diverse figure professionali. In questi cinque anni di esperienza il centro è riuscito ad offrire sempre di più, ora si è chiuso un ciclo e se ne apre uno nuovo, con un riconoscimento istituzionale che ci farà adottare nuovi approcci metodologici e relazionali. Cambierà il nostro modo di comunicare con le Istituzioni, assumeremo una veste istituzionale e anche il riconoscimento da parte della comunità sarò diverso”. Alla domanda di come nasce l’idea di aprire uno sportello antiviolenza a Molfetta l’avv. Scardigno risponde che l’iniziativa ha una origine professionale e legata al suo lavoro. Alcune giovani avvocatesse di Molfetta, tra loro colleghe, affrontavano casi di separazioni violente con maltrattamenti. Esse osservavano le donne che erano disorientate, non in grado di prendere delle decisioni, smarrite, prive di equilibrio, donne che non necessitavano di ricevere solo ed esclusivamente assistenza giuridica. C’era dell’altro, esse avevano bisogno di supporto psicologico e di un approccio, dunque, di tipo multidisciplinare. Solo questo le avrebbe consentito di raggiungere risultati più efficaci. In quel periodo, a Molfetta, continua l’avvocato, anche le istituzioni cominciavano a muoversi nella medesima ottica, la nuova amministrazione, che si era appena insediata, si era mostrata sensibile al fenomeno della violenza di genere e i tempi erano ormai maturi per prendere iniziative concrete sul tema come l’apertura di uno sportello antiviolenza. Valeria Scardigno, si sofferma anche sulle sue motivazioni più strettamente personali e in questo la narrazione assume maggiore fascino. Lei desidera difendere i diritti delle donne ed esserne, in qualche modo, paladina. E’ motivata a farlo anche dalla sua indole, dal suo temperamento. Per l’avvocato, la questione della violenza di genere ha a che fare con se stessa, con le sue figlie, con le donne del mondo, perché non vi è alcuna donna che non abbia subito molestie o intrusioni violente nella propria vita. La sua motivazione nasce dal fatto di non voler restare indifferente rispetto a tutto ciò. © Riproduzione riservata

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