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ACQUERELLI DI MARE E DI VACANZE IL RACCONTO
15 ottobre 2005

Torna un piacevole e interessante scrittore sulle pagine di Quindici a riprova di quanto più volte ho asserito, e che cioè bisogna scavare nei cassetti più celati della gente, esplorare i loro file più inaccessibili per trovare piccole gemme che risplendono di lue propria. Cappelluti ci regala questi tre splendidi acquerelli in perfetta sintonia col momento atmosferico. Col racconto ci regala anche un disegno della sua giovanissima figlia, Samuela, la cui ingenuità giovanile si stempera in quell'azzurro di fondo che significa gioia di vivere e amore per la natura incontaminata come in un sogno infinito. Ma anch'io ho un sogno. Dieci, cento, mille Cappelluti nella mia città. Che non è seconda per cultura e capacità umana a nessun'altra. (d.a). Insalata e pomodori Come sanno di sudore e di salsedine queste notti d'estate a due passi da altre notti di una gioventù passata sulla spiaggia con le mani avide di tenerezze. Davanti all'immobilità delle stelle che si confondevano con i neon dei bar e le insegne delle pizzerie non avevamo molte parole da scambiarci. Inaspettattamente adesso vieni a sederti vicino e parliamo del più e del meno. Hai le mani lucide di olio d'oliva perchè hai appena finito di condire l'insalata. Comunque ti avevo visto in cucina mentre lavavi le foglie di lattuga e affettavi i ravanelli, i pomodori verdi, la cipolla rossa, il sedano e le carote. A noi l'insalata piace così, e con l'aglio fresco. E qualche goccia di aceto. Non ho molto da dirti. Il tuo viso è ancora giovane. Negli occhi c'è ancora quella punta di verde che mi ricorda la stoffa di un divano che c'era nel salotto di mia madre. Chissà che fine ha fatto? Ridevi insofferente e nervosa quando ti dicevo che eri bella e saporita come una mela gialla. Ma tu odiavi sentirmi parlare in quei momenti. Io invece ho passato una vita a scrivere sopra una vecchia agenda le parole più belle che leggevo e che mi piaceva dirti. Come sanno di sudore e di amarezza queste notti d'estate passate sulla spiaggia a raccogliere ciottoli bianchi levigati dal mare. Mi serviranno per decorare le aiule di aloe nel giardino del condominio. Una volta li raccoglievamo insieme per scrivere ti amo come fanno tutti i giovani sui muri delle scuole o sulle porte dei treni. Adesso non riesco a dirti più quelle parole, sono diventato come il guscio vuoto di una conchiglia, ma mi piace spiarti mentre ti spogli nella camera da letto. Hai le spalle ancora lisce e scure di sole come i dorsi dei granchi che una volta spaventavamo lanciandogli addosso calci di acqua di mare. Il mare è lì. Non c'è un filo di vento; appena appena i lembi delle tende si sfiorano lentamente come mani fugaci e il profumo dei fiorellini bianchi del pitosforo è insopportabile. Riuscirò a dormire? Passatempi d'estate Non sono mai stato a Roma e neppure a Firenze o a Venezia. Non mi piace visitare i musei e non mi piace la storia dell'arte e quelli che scrivono i libri di storia dell'arte. Non si capisce mai niente di quello che scrivono. Anche perchè non mi piace leggere d'estate. D'estate mi piace camminare, andarmene in giro per la città, cercando la frescura delle stradette all'ombra, le piccole piazze con i nomi di Santi e dello Spirito Santo abbandonate dai passanti per il caldo e dove sostano nel silenzio opprimente dei mezzogiorno di luglio i fruttivendoli che passano il tempo ammazzettando rami di origano o capi di aglio. Un lento soffio di vento all'improvviso, imprevisto più di un acquazzone, solleva i residui delle infiorescenze sparsi tutt'intorno, sprigionando aromi inconsueti. Queste passeggiate sono il mio Mediterraneo colorato e profumato. Senza libri e senza preoccupazioni, rimandano i miei pensieri alla memoria di desideri e gioie inattuabili. Quasi sempre arrivo fino al porto per vedere le barche immerse nei riflessi rossi, verdi, blu, gialli degli scafi lucidi di vernice.Non so se tutto questo è moderno come il mio nervosismo, ma queste passeggiate mi fanno stare bene. Una strada con i mattoni grigi mi riporta a casa. Passo davanti ad una chiesa che è sempre aperta a quest'ora. Mi piace entrare per sentire il profumo di incenso e di fiori appassiti che spira tra le navate semibuie e il presbiterio, anche se quello spirito austero di giudizio e martirio che aleggia nell'aria incombe come un indizio di colpa. Con malcelata indecisione immergo la punta delle dita nell'acquasantiera, provando una sensazione allontanante di freddo e di peccato, mentre il segno della croce più goffo non poteva riuscirmi. Se ho tempo, mi siedo, sempre all'ultimo posto, attratto dal biancore dei residui di cera rappresa nei fondi dei bicchieri di plastica rossa dei lumini su cui sono ancora visibili le impronte di dita sofferenti e addolorate, simili al velo di sudiciume che si è formato sui piedi una Madonna. Non so che cosa mi manca per pregare, la commozione o la paura, ma mi trattengo con piacere qui dentro scrutando gli angoli scheggiati delle cornici delle tele appese alle pareti o gli interstizi ormai rimossi delle pietre del pavimento o le scaglie di intonaco che si staccano dalla volta che interpreto come segnali di un approccio più probabile tra me e Dio che non so quando avverrà. Qui sto bene, anche questo passatempo potrebbe aiutarmi ad avvicinarmi a Dio. Un appartamento d'estate Sono arrivato a casa. Ora abito in un nuovo appartamento. Più comodo dell'altro, però mi manca. Per molti anni ho abitato in un appartamento alla periferia di questa città al quarto piano di un edificio senza ascensore e senza riscaldamento. Le stanze erano grandi ed erano sempre piene di luce perchè l'appartamento era esposto a mezzogiorno. Il balcone della cucina era pieno di piante. I gerani, il gelsomino, la begonia. Alla fine di giugno su quel balcone c'erano fiori dappertutto ed io ero pieno di felicità. Forse ho trascorso molte ore di quelle giornate a guardare i fiori del mio balcone. Avevo una particolare preferenza per una pianta di camelia con i fiori dalle tenui sfumature rosate, mentre tutt'intorno ai bordi dei petali compariva un arrossamento violaceo che li rendeva paragonabili ad un oggetto del desiderio. A quella pianta, al verde acceso delle foglie, negli spazi tra un petalo e l'altro, osservando le sfumature, ho abbandonato molti sogni della mia gioventù e i miei sogni, visto che non avevo nessuno davanti al mio balcone, erano liberi come il volo di un gabbiano. Ho lasciato quell'appartamento la scorsa estate e lì sono rimasti anche i sogni e un servizio di piattini di porcellana dispari che usavo per il gelato. E le piante che ormai sono tutte appassite. So che nessuno è andato ancora ad abitarci; è passata un'altra estate. Raffaele Cappelluti.
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