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“Abbiamo incontrato nella nostra scuola il giornalista Felice de Sanctis”
15 aprile 2016

Per continuare il nostro percorso sul giornale come “risorsa”, sabato 19 marzo abbiamo incontrato a scuola un giornalista professionista in carne ed ossa, che scrive articoli di economia e finanza per il quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”, ed è Direttore di “Quindici”, il dott. Felice de Sanctis. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua vita, le sue esperienze lavorative, la sua vocazione per questo mestiere. Due ore di piacevole conversazione, in cui ha risposto alle nostre numerose domande. Ne è venuto fuori il ritratto di una persona loquace, simpatica, spiritosa, innamorata di sua moglie e appassionata del suo lavoro. Tantissimi gli aneddoti ricordati, dai primi articoli pubblicati quando non era ancora maggiorenne e fingeva di essere più grande, agli incontri con grandi personaggi e grandi giornalisti come Enzo Biagi ed Indro Montanelli, ai viaggi in tutto il mondo, allo scoop fatto a Londra, alle esercitazioni per imparare a lanciarsi da un elicottero, al dialogo con don Tonino. Tutti episodi che parlano del giornalismo come mestiere mai “fermo”, avventuroso, alle volte anche pericoloso, sempre entusiasmante. Dott. de Sanctis, stiamo leggendo un libro, scritto da un giornalista, Luigi Garlando. È un libro in cui padre e figlio spesso parlano del mestiere di giornalista. Nel libro è scritto: il giornale è come una squadra di calcio, in cui ci sono ruoli diversi, ma ugualmente preziosi. Ce lo spiega? «È proprio così. Se uno solo del giornale non fa il gioco di squadra, la squadra perde, il giornale non esce. E’ importantissimo il lavoro di redazione, ma basta per esempio uno sciopero di tipografi per far saltare l’uscita del giornale. Questo significa che ognuno deve fare bene la propria parte e farla nei tempi stabiliti». Qual è il modello di giornalista a cui si è ispirato? «Il più grande giornalista che ho conosciuto è stato Indro Montanelli: è stato al Premio Napoli, mi è stato presentato da un altro giornalista Saverio Barbati. Mi ha insegnato che bisogna scrivere bene, ad un certo livello e, nello stesso tempo, farsi capire da tutti, anche dall’uomo più semplice. L’altro grande era Enzo Biagi, insuperabile nel fare interviste, che ho conosciuto grazie ad un altro giornalista, suo allievo, Aldo Falivena della Rai. Nel periodo in cui ero a Milano, pure il respiro gli rubavo». Come si fa a “fiutare” una notizia? «Un giornalista dev’essere come un cane da caccia, saper fiutare la notizia, cercarla. Ma che cos’è notizia? Ciò che desta l’attenzione del lettore. Ad un giornale arrivano tante notizie, ma bisogna capire cosa è veramente notizia e merita di essere raccontata. Se hai una notizia importante, qualcosa che hai colto solo tu, hai fatto uno scoop. Una volta a Londra in una conferenza stampa del Presidente dell’Eni, con la stampa internazionale presente, chiesi se Saddam Hussein poteva diventare un pericolo, sconvolgendo il mercato internazionale del petrolio se avesse invaso l’Arabia Saudita. Quella intuizione, frutto anche di una preparazione e uno studio precedenti, divenne uno scoop, tutti i giornali del mondo ne parlarono il giorno dopo». Per scrivere una buona cronaca, bisogna per forza seguire la regola delle 5 W? Quanto è importante un buon titolo per un articolo? «Per fare bene una cronaca è essenziale seguire la regola delle cinque W: le notizie devono essere complete, con tutte le informazioni essenziali. È così importante, che all’esame di Stato per i giornalisti c’è la prova di cronaca. Anche i titoli sono importantissimi, in un giornale noi “vendiamo titoli”, non solo articoli. I titoli colpiscono il lettore, gli fanno decidere di leggere la notizia. I titoli li decide la redazione. Il giornalista può suggerirli, ma è difficilissimo fare un buon titolo». Ad un certo punto il papà del libro dice al figlio: gli scrittori inventano, i giornalisti ricercano e descrivono. Ma un giornalista deve sempre scrivere la verità? E se l’articolo infastidisce qualcuno o suscita polemiche? «Non importa se un articolo suscita polemiche. L’importante è dire la verità. Se la verità infastidisce qualcuno, pazienza, l’importante è “servire la verità, soprattutto la verità scomoda” come diceva don Tonino Bello. Così come è importante non inventare i fatti, non inventare le storie, come può fare invece uno scrittore. Una volta vinse il premio Pulitzer una giornalista con una storia bellissima, di un bambino che si drogava, ma un altro giornalista dimostrò che era una storia completamente inventata. Le fu revocato il premio e adesso non fa più questo mestiere». Sempre nel libro è scritto: forse questa è la funzione più importante dei giornalisti: capire e raccontare. il giornale si fa con le scarpe. Quindi è importante viaggiare, andare là dove succedono i fatti, incontrare le persone? «Gli articoli migliori si fanno camminando, incontrando la gente, guardandola negli occhi e scoprendone le reazioni, avendo la capacità di fargli dire anche ciò che non vorrebbe dire». Ha mai avuto paura nel suo mestiere? Quali sono le paure di un giornalista? «Ho avuto paura pochissime volte nella mia vita. Una volta ho temuto per la mia vita, è stato in Egitto. Ero in compagnia di due giornalisti, uno del Corriere della Sera, l’altro della CNN. Avevamo deciso di raggiungere un campo profughi palestinese, superando il confine tra Egitto ed Israele. Mentre viaggiavamo su una jeep nel deserto, fummo circondati da altre jeep. Ci obbligarono a scendere e ci minacciarono con i mitra. Capimmo che erano israeliani e mi avevano scambiato per una spia egiziana, anche per via della barba che portavo all’epoca. Volevano ucciderci, fummo salvati dall’intervento di un’altra macchina che sopraggiunse, delle Nazioni Unite. C’era un capitano italiano che, dopo una lunga trattativa, li convinse che eravamo solo tre giornalisti». Lei a Molfetta ora dirige QUINDICI. Com’è nato questo giornale? «Dopo una lettera che don Tonino scrisse agli intellettuali della città, accusandoli di non fare nulla per il proprio territorio, ci incontrammo e lui mi disse che io ero uno di quelli. Mi invitò a fare qualcosa, a fare un giornale a servizio della città, un giornale con inchieste, che raccontasse la realtà. Così nacque Quindici, il cui simbolo è un ventilatore, perché la mission del giornale dev’essere quella di smuovere l’aria, creare movimento, dibattito.». Un consiglio finale… «Siate sempre informati, leggete, confrontate le notizie e ragionate con la vostra testa. Soprattutto studiate. Lo studio è importante sempre, per essere liberi». 

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