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A Molfetta una rondine anticipò la primavera Il quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 10 settembre scorso ha pubblicato, nelle pagine della Cultura, la recensione del giornalista Valentino Losito, responsabile della redazione politica, sul libro Affondi di Felice de Sanctis. Riportiamo l'articolo che offre altri spunti interessanti alla discussione in corso sulla storia politica di Molfetta.
15 ottobre 2007

La Puglia ha un modo tutto suo di attraversare la storia. Prendete la «primavera pugliese »: quel fenomeno politico che ha fatto della regione di Moro, Di Vagno e Di Vittorio e poi di Pinuccio Tatarella, un laboratorio in cui sono «fioriti» il governatore-poeta Vendola e il sindaco-sceriffo Emiliano, è esploso, qui da noi, con dieci anni di ritardo. Il post-Tangentopoli, la disfatta dei partiti, il risveglio della società civile, le sirene dell'antipolitica, tutti fenomeni inediti che segnarono l'Italia a metà degli anni 90, in Puglia sono arrivati due lustri dopo. Ma c'è stata una città che ha fatto eccezione, che ha anticipato il nuovo, una specie di rondine che ha sentito per tempo l'arrivo di quella «primavera»: è Molfetta, la città di Gaetano Salvemini e di Riccardo Muti, di Beniamino Finocchiaro e di don Tonino Bello. Sì, chi vorrà scrivere la storia della «primavera pugliese» non potrà non passare da Molfetta e dovrà consultare a piene mani un libro intitolato «Affondi», scritto da un cronista con la passione della politica: Felice de Sanctis, giornalista della redazione economica della Gazzetta del Mezzogiorno, direttore e «anima» di Quindici, il mensile che ormai da tredici anni racconta e inquieta la città di Molfetta. Fu don Tonino Bello, a mettere nel cuore di Felice de Sanctis un seme che spuntò e diede frutto dopo che il vescovo dei poveri e della pace se ne era andato, senza andarsene, nell'aprile del 1993. «Fai un giornale» gli disse, invitandolo a dare il suo contributo di intellettuale che, restandosene in disparte, contribuiva al declino della città. E fu ancora don Tonino Bello a mettere nel cuore di Guglielmo Minervini, un giovane obiettore di coscienza che lavorava dalla parte dei bambini e delle donne nel centro storico di Molfetta, un altro seme, quello dell'impegno politico, che spuntò e diede frutto con l'esperienza di «Percorso» e la sua rivoluzione incompiuta come la definisce Felice de Sanctis, che doveva portare lo stesso Minervini a diventare sindaco della città dal 1994 al 2000. Il volume «Affondi» (Ed. Quindici e Grafica Editrice L'Immagine Molfetta, pag. 250, prefazione di Antonio Ghirelli, introduzione di Saverio Barbati, vignette di Michelangelo Manente, euro 5,00) raccoglie alcuni degli editoriali più significativi scritti da Felice de Sanctis su «Quindici» e racconta, in un arco temporale di dodici anni 1994-2006, il ciclo politico, poi concluso, sorto con un movimento che nacque a Molfetta dieci anni prima della «primavera pugliese» e scaturì da un impulso spontaneo di partecipazione della cosiddetta società civile, di diversa estrazione politica, che non si riconosceva e non si sentiva più rappresentata dai partiti tradizionali. Una mutazione politica rimasta incompiuta che, dopo i primi entusiasmi, procederà a passo di gambero fino a quella che de Sanctis definisce la «restaurazione» di Antonio Azzollini, un ex comunista passato a destra e trasformatosi in «moderato» berlusconiano. Spaziando dal problema dell'emigrazione delle intelligenze locali agli abusi edilizi, dalla violenza alla microcriminalità, dall'intreccio tra affari e politica al difficile sviluppo di una città passata dall'economia del mare a quella del mattone, de Sanctis «affonda» il bisturi della sua critica, spesso severa ma sempre dettata dall'amore per la sua città, nella vita molfettese. Ma «Affondi» è anche la storia di «Quindici» il giornale diretto da Felice de Sanctis che costituisce, di per sé, un'impresa non comune in una città del Mezzogiorno, una piccola-grande testimonianza di un Sud che non si arrende. Un mensile scritto da giovani redattori che si dedicano con passione a raccontare una città e a costruire una coscienza critica ad iniziare dalla propria. Sulla copertina di «Affondi» campeggia in primo piano il faro del porto di Molfetta. Un'immagine che fa ritornare alla mente un ammonimento di Gaetano Salvemini. «Sotto il peso delle avversità - scriveva - i più forti d'ingegno e i più onesti abbandonano la lotta e si ritirano a vita privata. Oppure si dedicano alla scienza, simili a quei fari isolati nella notte, che guidano i lontani e lasciano nell'oscurità le terre vicine. Oppure, esclusi dalla politica pratica, sciupano il loro ingegno nel costruire astrazioni sociologiche più o meno astratte, prive di ogni contatto con la realtà. I meno forti, cioè i più, a poco a poco si lasciano digerire dall'ambiente e moltiplicano con l'opera loro le cause del male». La sfida di «Quindici» è quella di essere un faro che non lascia nell'oscurità la terra vicina, cioè Molfetta. Un giornale che continua a scrivere anche a colpi di fioretto perché la città non «Affondi».
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