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“Silenzio, non sparare” Echi di voci dal Kosovo
15 ottobre 1999

W la Nato, W gli italiani: è questo quello che i bambini di Gjakova gridavano pieni di esultanza all’arrivo dei volontari italiani nei giorni scorsi. Li ha sentiti anche suor Rosa, una delle suore di don Grittani che in Albania sono impegnate a Mamuras e che subito dopo la fine del conflitto hanno operato anche in Kosovo. “A Gjakova prima della guerra avevano tutto - ci ha detto suor Rosa - adesso è tutto distrutto, ma si ha tanta voglia di ricominciare, dalle scuole soprattutto”. E’ proprio una scuola infatti ad essere stato il punto di partenza per l’operazione di raccolta di testimonianze tra i bambini del posto, poi confluite nel libro “Silenzio, non sparare” a cura di Suor Rita Piccinno, madre superiore delle Oblate di S. Benedetto G. Labre (Don Grittani) ed edito da Giuseppe Laterza. Poesie e racconti, storie vissute e pensieri campeggiano tra le pagine di questo libro del quale forse non è poi così facile per noi comprendere il reale senso, qui “nelle nostre tiepide case”. D’altra parte non è molto piacevole, a dire la verità, leggere parole di acceso nazionalismo, soprattutto sapendo che sono state pronunziate da bambini, e persino parole di odio feroce, senza mezzi termini, scagliate contro l’altro, il serbo. E così si scopre che un bambino di 11 anni può arrivare a apostrofare la Serbia “vigliacca”, a pensare che “l’albanese ha due gioie, una quando nasce e l’altra morire in guerra” o che “l’Europa è una vecchia strega”. Tutti sono disposti a donare la loro vita, tutti sono convinti che la vita valga la pena di essere vissuta solo per essere donata in nome del Kosovo e per tutti l’Uck non è solo un esercito combattente, ma una forza eroica nella quale credere per la salvezza della patria. E del resto anche suor Rosa ci ha confermato che, non appena entrate in una scuola distrutta dalla guerra popolata ormai da ben pochi insegnanti, un canto unanime si è levato: 150 ragazzi, all’improvviso hanno inneggiato alla loro terra e ai figli del Kosovo. Le abbiamo chiesto a proposito dei Serbi, se c’è qualcuno che si occupasse di loro, visto che adesso sono in pericolo e sono le loro case ora ad essere occupate. Ma suor Rosa dice di non saperne nulla e che in ogni caso nessun serbo ha chiesto mai aiuto a loro. Certo, non è giusto avere la presunzione di poter trarre la verità storica di questo conflitto così antico da queste pagine o dalla voce di chi, come suor Rosa, ha vissuto dall’interno questa vicenda, peraltro stando a contatto solo con la parte kosovara. Quello che occorrerebbe in questi casi sarebbe riuscire a proiettare la nostra lettura oltre la superficie delle voci di dolore e vendetta, spogliandoci da facili pietismi ed evitando perfide strumentalizzazioni. Tiziana Ragno
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