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“Io scout di Molfetta davanti al Papa” Giubileo dei giovani
15 settembre 2000

di Michele de Sanctis jr Il Papa? Non è una rockstar, come hanno detto in tanti. E’ un uomo come noi, ci piace perché non è finto, ha grande carisma, riesce a trasmetterci quelle emozioni che la società non conosce più. E’ autentico e per questo credibile, si vede che non ci prende in giro, non ci illude e poi ci dà fiducia. Ci chiamano i Papa-boys ma siamo ragazzi come gli altri, non ci sentiamo migliori, né diversi, forse ci accomuna il senso di fratellanza universale, che questo Papa ci sa trasmettere col quel suo sorriso dolce e affettuoso. Sorride sempre quando sta in mezzo ai giovani. Ecco perché queste sere romane del Giubileo dei giovani riescono a darci una carica incredibile. L’altra sera con i miei amici siamo riusciti ad arrivare fin sotto il palco del Papa e ci siamo ritrovati a fare un tifo da stadio: “Karol, Karol…” Quando ha detto: “ho bisogno di voi” ci ha trasmesso coraggio e speranza. Ha fatto sentire ognuno di noi protagonista in mezzo alla grande folla dei giovani. Ho avvertito la piacevole sensazione che ci sia un mondo diverso da quello che dipingono i mass media: siamo tanti e possiamo sforzarci di cambiare un po’ la società. E’ inspiegabile la sensazione di sentirci uniti, ma è bella. Quando la domenica delle Palme ho avuto il “privilegio” di accostarmi a lui in rappresentanza degli scout dell’Agesci ero talmente emozionato che quando mi ha chiesto come mi chiamassi ho balbettato il mio nome, avevo preparato un lungo discorso, me lo ero ripassato mentalmente tutta la notte, poi sono riuscito a dire solo poche parole. Non mi era mai capitato prima. Sarà una forza misteriosa, un magnetismo, ma il suo sguardo semplice ha la capacità di coinvolgerti. E questa sensazione l’ho avvertita anche in questi giorni. Pur lontano nella marea di giovani, quel puntino bianco tra la folla mi ha trasmesso un grande senso di serenità e di gioia di vivere. Questo è per me il Giubileo e questa sensazione è condivisa da tanti ragazzi come me. Ci siamo scambiati le impressioni e tutti avevano la stessa gioia nel cuore. Questi giorni a Roma stiamo vivendo una grande festa tra mille disagi, ma nulla ci spaventa, né le code per prendere la nostra razione di cibo quotidiano, né il sovraffollamento dei mezzi pubblici, né le colossali docce degli idranti che hanno trasformato piazza San Pietro in un’acquafan, né i tanti chilometri che percorriamo a piedi. Tutte queste cose sono già dimenticate il giorno dopo. Ci restano invece le amicizie che facciamo con giovani di tutto il mondo. In tanti ci fermano per strada, ci chiedono il nostro nome e stiamo insieme allegramente, sentiamo di avere le stesse idee, la stessa filosofia di vita. Ci sentiamo subito fratelli, pronti a condividere ogni cosa, a raccontarci, pur in lingue diverse, le nostre esperienze di vita. Tanti sono più sfortunati di noi, ma li abbiamo trovati più sereni e forti e soprattutto ricchi di speranza. E poi, dopo 10 minuti, sembravamo conoscerci da sempre. Abbiamo cantato insieme. La stessa cosa ci è accaduta nel bus: con noi c’era un gruppo di ragazzi francesi che ha intonato la Marsigliese, noi abbiamo risposto con l’inno di Mameli e poi, invece di scontrarci, abbiamo cantato insieme e realizzato un gemellaggio con loro. Questo, forse, ci fa diversi da altri gruppi di giovani fanatici che vanno allo stadio pronti alla rissa. Noi siamo pronti all’amicizia, non esistono differenze di razza, lingua, nazionalità. E’ una sensazione fantastica, un clima di gioia indescrivibile. Anche nella preghiera, nelle tante catechesi che si susseguono e che, prima della partenza ci spaventavano, prevale quel grande spirito di altruismo che caratterizza noi giovani che crediamo nella pace, nella solidarietà, nella tolleranza, principi senza dei quali non c’è democrazia. Ho partecipato alla catechesi con il cardinale Tonini, ero già stanco (noi scout di Molfetta avevamo fatto il campeggio in montagna prima di venire a Roma), ma per ben tre ore sono rimasto ad ascoltarlo senza un attimo di noia. Mi è rimasto dentro il suo invito a non perdere lo stupore della nostra età. Anche la confessione è importante, per me rappresenta l’incontro con una persona che sa ascoltarti e non una sterile elencazione di peccati più o meno gravi. L’altro momento forte l’abbiamo avuto nella veglia scout a villa Borghese dove in 20mila ci siamo ritrovati a chiedere la cancellazione dei debiti del terzo mondo da parte dei paesi ricchi. Tanti cappellini rossi, gialli, blu, che simboleggiavano l’entità del debito, hanno rappresentato più di tante parole la situazione drammatica in cui vivono questi nostri fratelli. Noi scout del gruppo Agesci “Molfetta I” abbiamo portato a Roma la nostra esperienza di servizio fatta con gli immigrati nel progetto nazionale “Osare il futuro”. Abbiamo scelto questo percorso perché essere cristiani non vuol dire soltanto andare a messa ogni domenica, ma soprattutto essere al servizio degli altri. E’ questo il messaggio evangelico più alto e di cui oggi c’è tanto bisogno. E la Puglia, terra d’accoglienza, è pronta a svolgere il suo ruolo a cominciare dai giovani. Altri, secondo le proprie realtà territoriali, hanno scelto altri settori di servizio: ospedali, manicomi, cronicari, tutti luoghi di sofferenza in cui prestare la propria azione. Un servizio che ci arricchisce e ci prepara ad essere cittadini responsabili. Da questa esperienza torneremo a casa più forti con l’impegno di “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”, come ci ha insegnato il nostro fondatore Baden Powell, sognando un mondo migliore camminando insieme agli altri, difendendo i nostri valori, trasformando in forza le nostre debolezze, come ci ha insegnato il Papa mettendo in pratica anche ciò che diceva il nostro indimenticato vescovo don Tonino Bello: “la riuscita di un’esistenza non si calcola con i parametri dei fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l’applausometro delle platee o con gli indici di gradimento delle folle. Da quando l’Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sulla collezione dei fischi che si rimediano, o dei naufragi in cui annegano i sogni”.
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