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1647-1648: la rivolta di Masaniello anche a Molfetta
16 luglio 2021

La rivolta antispagnola conosciuta anche come la rivolta di Masaniello, scoppiata a Napoli tra luglio 1647 e aprile 1648, ebbe dei risvolti anche a Molfetta. Ebbe inizio a Napoli capeggiata da Tommaso Aniello (1620-1647), detto Masaniello, un marinaio di origine amalfitane che si oppose al dominio vicereale spagnolo per l’eccessiva pressione fiscale a danno della popolazione. A quei tempi sindaci di Molfetta erano: Federico Bottoni per il ceto nobile e Giuseppe Russo per il ceto popolare. La notizia della rivolta si propagò anche nella nostra città con diversi avvenimenti pro e contro la sollevazione popolare. Diamo alcuni dettagli economici che angustiavano il popolo: già nel 1643, a causa della tassa straordinaria di 5 carlini a fuoco, a Molfetta era scoppiato un tumulto popolare, nel corso del quale l’esattore Ferrante Coletta era stato malmenato e seriamente ferito; poi nel 1647 ci fu una penuria di grano. Uno dei primi provvedimenti locali, alla notizia della rivolta, fu di evitare che il popolo si armasse, perciò fu deciso di murare la porta che portava al deposito delle armi posto nelle vicinanze della chiesa di S. Antonio Abate all’inizio di Via Piazza per questo lavoro il muratore Giovanni Giacomo de Antonaccio ebbe 30 carlini. Il popolo fu esortato a obbedire al sovrano e a vivere quietamente. Furono sequestrate tutte le armi possedute dal popolo e distribuite a diversi cittadini fedeli al re. La Regia Udienza di Trani inviò a Molfetta il milite spagnolo Giovanni Cortes con la richiesta di una locale squadra di soldati di campagna per evitare futuri tumulti in città. Il canonico don Girolamo Visaggio (1657-1720) nella sua cronaca riferisce che un suo zio, il sacerdote don Paolo Calò, più volte ricordava che: al tempo delle revolutioni dell’anno 1647, mentre abitava alla strada delli Molini, corrispondente al cantone di Colavalente, tenne nascosti in casa per molti e molti giorni alcuni gentiluomini. A Napoli la sollevazione durò 10 giorni, perché Masaniello non seppe controllarla e abbandonato dal popolo napoletano fu tradito, ammazzato e decapitato il 16 luglio 1647. La restaurazione dell’ordine non fu cosa facile tanto che, alle promesse del Viceré di eliminare alcuni balzelli, questi tardavano a essere eliminati e il popolo, capeggiato da tale Gennaro Annese, proclamò il 22 ottobre 1647 la Reale Repubblica Napoletana. In aiuto del Viceré le città periferiche del Regno di Napoli organizzarono degli arruolamenti di soldati da mandare in suo soccorso. Nella Provincia di Terra di Bari si mobilitarono tutti i battaglioni locali per marciare su Napoli e a Molfetta la locale compagnia fu affidata al capitano Antonio Zago di Soria (capitano alla guerra della città). Furono arruolati 61 soldati a piedi e 11 soldati a cavallo, detti della sacchetta. Alfiere della compagnia era Marco Masullo di Gravina; sergente della compagnia Giuseppe Panunzio di Molfetta; caporali Giuseppe Carlo Pellegrino, Pantaleo Modugno e Giovanni Paolo Facchini. Francesco Benegassi oriundo genovese, ex capitano alla guerra e vicario degli Spinola propose di eleggere alcuni nobili da inviare a Napoli. Il conte di Conversano il duca Acquaviva d’Aragona Giangirolamo II, detto il Guercio di Puglia, andava organizzando una spedizione militare su Napoli con 1500 soldati in aiuto a don Giovanni d’Austria e chiese all’Università di Molfetta 300 ducati per le relative spese. A Molfetta probabilmente c’era un certa tranquillità, tanto che fu deciso di prelevare dal deposito della munizione una quantità di polvere da sparo per accenderla il giorno di Pasqua del 1648, previa rottura di un finestrino da murarlo di nuovo. La Reale Repubblica Napoletana terminò il 6 aprile 1648 quando una flotta, al comando di don Giovanni d’Austria, forzò il porto di Napoli e pose fine ai tumulti contro la corona spagnola. Per solennizzare la pace, l’Università di Molfetta acquistò 8 salme di legna per accendere i fuochi in segno di allegria. Si demolì il muro costruito davanti alla porta d’ingresso della munizione, fabbricata durante i tumulti e si ripararono le serrature della porta d’ingresso. Si prese atto che per il periodo della rivoluzione il procaccio che portava la corrispondenza da Napoli non circolò. Affinché i moti a Molfetta non degenerassero furono dati: a don Berardino Marinelli carlini 10 per tante messe celebrate per intercedere il Sig. Iddio la concordia fra cittadini, e placare l’ira sua nelli revolucioni del Popolo, et azioni imperiose di esso, in ritornare alcuni cittadini a voler aprire la casa della monitione della polvere, et impadronirsi della porta Maggiore della Città conforme in effetti hebbero le chiavi in loro potere e per grazia del sig. Iddio non successe disastro. In più al sacerdote don Francesco Giacomo Gadaleta furono dati 8 carlini per aver celebrato per otto mesi le messe in sussidio delle Anime destituite del Purgatorio per placare il Sig. Iddio dal flagello della discordia fra i cittadini e del pericolo di imminenti tumulti, e licenze popolaresche. All’inizio del 1649 tale Giovanni Giacomo Bartolo tumultuante che petriò li soldati dei fuochi e l’esattore, fu condotto nelle carceri di Trani dai frati giurati Giosafatte Giuppano e Pascarello Ingaudio che riscossero 4 carlini. Per evitare altre sommosse il dazio sulla macinatura del grano fu ridotto da 5 a 4 cavalli il rotolo. Il 7 giugno 1649 si recuperarono i moschetti e gli archibugi consegnati ad alcuni cittadini ai tempi dei tumulti. A parte la documentazione comunale e le notizie del Visaggio prima citati, il notaio Angelo Valente in un suo atto del 26 maggio 1648 annota di correnti tempi calamitosi, notori belli in hoc regni tumultuationes. La marineria molfettese ricordò Masaniello intitolandogli una bilancella da pesca costruita a Molfetta nel 1888 di t. 12,45 iscritta a Bari col n. 1094 e successivamente nel 1907 nelle matricole di Molfetta al n. 40. © Riproduzione riservata

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