Vita forense, il coraggio di raccontare una professione in decadenza
Un libro coraggioso di un professionista libero, cosa diversa da un libero professionista, quello dell’avv. Mario Boccardi “Vita forense” (Edizione La Nuova Mezzina – 2011 con il patrocinio dell’Ordine degli avvocati di Trani). Sicuramente un libro che mancava nel panorama editoriale perché permette anche ai non addetti ai lavori la conoscenza di un certo sistema di difesa della casta che vige tra avvocati e giudici. L’avv. Boccardi dall’alto della sua “veneranda” età (90 anni) e della sua esperienza professionale, racconta la sua vita e le sue vicissitudini e, attraverso la lettura di questi fatti reali, racconta figure ed episodi che rivelano aspetti nascosti anche del sistema elettorale dell’Ordine, dei giochi di potere e della corsa alle poltrone che ha caratterizzato gli ultimi anni: «rivelando i fatti senza malignità si contribuisce a ricercare la verità – scrive lo stesso Autore nell’introduzione – rendendo un buon servizio agli altri specie ai colleghi giovani i quali, solo conoscendo tutta la verità, saranno in grado di fare un passo avanti sulla via del progresso. E nella ricerca della verità mi sono imbattuto nella lotta al Potere, cui l’opera si ispira, al potere politico, al potere dei giudici, ma soprattutto al potere forense. E’ il fuoco amico quello più devastante e ti annienta». Il libro che capita nel bel mezzo della polemica sulla responsabilità civile dei magistrati, che ha avuto il voto favorevole dei cittadini in un referendum al quale, però, non era seguita la relativa legge, andrebbe letto da tutti i cittadini che hanno subito un torto dalla giustizia, anche per la superficialità con cui alcuni giudici togati esercitano la loro delicata funzione giurisdizionale e i risultati del referendum lo confermano. Stesso discorso vale per la classe forense, decaduta negli ultimi anni, come sosteneva l’avv. Giacinto Dell’Olio, a un vergognoso servilismo verso i giudici per «colpa del petitum», cioè dovendo l’avvocato chiedere (petitum) in continuazione qualcosa, diventa giocoforza un servo involontario. E chi è passato per la professione, conosce bene questo aspetto, che non sfugge nemmeno a qualche malcapitato cliente. Boccardi ricorda che dopo i primi anni si rese conto che il clima stava cambiando e che «la conoscenza del diritto era ormai l’ultimo requisito che deve avere un avvocato per andare avanti con un certo successo» e Boccardi, dopo un primo periodo in cui esercitò la professione nel settore penale, perdette la fiducia nella giustizia e dedicandosi al civile ricordò una battuta di un collega anziano: «per fare il penalista occorre essere amico di cancellieri, carcerieri e carabinieri; poi – aggiunge – mi accorsi che ci voleva ancora dell’altro». L’autore fu infatti vittima dell’arroganza di alcuni magistrati, finendo addirittura imputato per un presunto «oltraggio a un magistrato in udienza » (art. 342 e 343 c. p. per una comparsa conclusionale (l’atto con cui l’avvocato difensore espone le ragioni del suo cliente) e sotto accusa da parte del Consiglio dell’Ordine che «non volle affrontare il nocciolo della questione – scrive Boccardi – e cioè l’arroganza della magistratura che è un grave problema politico e sociale aggravato dalla pavidità e dalla connivenza degli avvocati». Rileggendo dopo tanti anni la sua comparsa, l’avv. Boccardi non si pente di averla scritta, «anzi ritengo che dovrebbe essere inviata alla scuola forense per insegnare ai giovani la fierezza del comportamento dell’avvocato. “Uomini siate, non pecore matte” (Dante). Ma purtroppo gli avvocati in buona parte sono pecore, sia pure “per colpa del petitum” come amava ripetere Giacinto Dell’Olio». La lettura di questo libro conferma la necessita di un’urgente riforma della giustizia e, tanto per cominciare, basterebbe stabilire che i magistrati, come i militari, devono essere assegnati a sedi distanti almeno 500 km dalla propria residenza, per evitare di trovarsi in difficoltà e giudicare serenamente persone e fatti, e si dovrebbe anche evitare di avere consuetudine di rapporti (cene, partite di tennis, ecc.), fuori delle aule di udienza, con avvocati e procuratori. Boccardi si sofferma anche sulla composizione delle commissioni di esame di avvocato e della corsa a diventare membro di quelle commissioni, ottenendo il gradimento dell’establishment forense. «Non si spiegherebbe diversamente come mai tanti veri e bravi avvocati – scrive l’autore – non abbiamo mai fatto parte di queste commissioni, alle quali è stato dato accesso al colto e all’inclita. Purtroppo quelle commissioni sono ormai diventate un ufficio di collocamento dove c’entra ben poco la cultura giuridica. Il risultato è stato che, da una élite che era, la classe degli avvocati è diventata il refugium peccatorum dei laureati disoccupati». Le accuse di Boccardi sono il frutto proprio di un amore verso questa professione, che egli vede snaturata («purtroppo l’avvocato non è un uomo libero e sono stato pervaso da un senso di impotenza nei confronti del male e di sfiducia nel futuro dell’avvocatura». Concetti che ci vengono ripetuti spesso anche da avvocati di nostra conoscenza, che non sono inseriti nell’establishment. Boccardi che in passato è stato impegnato nella vita associativa e sindacale ed ha fondato e diretto le riviste Rinnovamento Forense e Rassegna del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Trani ed è stato un uomo di punta nella lotta contro il Potere e contro tutte le sopraffazioni, auspica un’inversione di tendenza, «tornando ai principi fondamentali del consorzio umano, tendendo a una concezione “sacra” della professione considerata come una vocazione e riscoprendo la difesa come missione. Non può ridursi la difesa ad un semplice contratto d’opera ma deve ascendere a mistica solidarietà». Parole giuste nello squallido panorama attuale, dove alcuni avvocati, calpestano le più elementari regole del rispetto umano solo per soddisfare miseri appetiti venali. Boccardi, invece, appartiene a un’epoca, ahimè scomparsa, in cui la toga si portava con dignità, moralità, competenza, umanità. Anche il presidente uscente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Trani, Francesco Logrieco, di Molfetta, nella presentazione del libro confessa di aver provato «un’emozione enorme, perché l’autore aveva narrato un secolo di storia esaltante, ma offrendo anche uno spaccato impietoso della vita forense vissuta personalmente, che un altro editore istituzionale in carriera forse avrebbe preferito farsi divorare dal “falco”, piuttosto che pubblicarla. La vita forense narrata dall’avv. Boccardi è ancora attuale, anzi drammaticamente attuale… …Oggi, come nel 1978, è indispensabile un “Rinnovamento”, perché la rincorsa della “poltrona”, che oggi come ieri resta il primo obiettivo degli avvocati c.d. impegnati, si coniuga con una dilagante stagnazione culturale, con la proletarizzazione dell’avvocatura, con la trasformazione dell’avvocato in imprenditore-dipendente-mediatore, con l’annientamento dell’etica, con la parcellizzazione delle associazioni forensi che indebolisce l’Avvocatura, con la istituzione di organismi sovraordinati agli Ordini forensi e sottordinati al CNF che non producono alcuna utilità ed aumentano la disaffezione degli iscritti nei confronti delle Istituzioni, con l’annientamento della dignità costituzionale dell’Avvocato ». Un libro da consigliare, che offre lo spaccato di due professioni, avvocato e giudice, trasformando il tribunale in una casa di vetro, che mostra molte crepe che andrebbero sanate, nell’interesse della giustizia e dei cittadini onesti. Un libro da far leggere agli studenti di giurisprudenza e ai giovani avvocati, per scegliere da che parte stare e soprattutto togliere loro ogni falsa illusione, permettendo di scegliere consapevolmente se abbracciare queste professioni, così come sono oggi o prendere altre strade, come hanno già fatto tanti di loro.
Autore: Felice de Sanctis