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Verso l’autonomia differenziata: l’Italia in frantumi?
11 febbraio 2019

Grazie ai servizi di approfondimento ed ai saggi di studiosi e giornalisti, quali, tra gli altri, Gianfranco Viesti, Adriano Giannola, Piero Bevilacqua, Isaia Sales e Marco Esposito, il dibattito pubblico sull’autonomia regionale differenziata o rafforzata si sta estendendo in modo sempre più capillare, coinvolgendo associazioni neomeridionaliste, accademici, università, forze ed organizzazioni sociali, politiche ed istituzionali. Tra queste ultime, con la risoluzione numero 1 del 30 gennaio 2019, il Consiglio regionale della Regione Calabria ha approvato all’unanimità una diffida nei confronti del “Governo nazionale a predisporre atti che prevedano trasferimento di poteri e risorse ad altre Regioni sino alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

A pochi giorni dall’Intesa Governo-Regioni, prevista per il 15 febbraio 2019, i toni del dibattito sull’autonomia differenziata si fanno sempre più accesi. Il fronte contro parla di attuazione “perversa del federalismo fiscale”, di “secessione dei ricchi”, di rottura del “patto di lealtà reciproca”, di “colpo di Stato” mosso da alcune Regioni settentrionali contro le competenze e le risorse dell’ordinamento statuale centrale, il tutto ledendo sia gli interessi economici del Mezzogiorno sia l’uguaglianza e l’omogeneità dei più basilari diritti sociali e civili tra cittadini del Nord e cittadini del Sud Italia.

Invece, il fronte a favore, in primis i Governatori delle Regioni Veneto, Luca Zaia, Lombardia Attilio Fontana, ed Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, parla di legittimità costituzionale della richiesta, della sua importanza fondamentale ai fini della tenuta del Governo, dell’importanza di garantire gli equilibri relativi alla solidarietà nazionale ed alla coesione sociale, promuovendo, allo stesso tempo, le peculiarità territoriali.

Per capire quale sia la rilevanza della posta in gioco in termini di redistribuzione tra Stato e Regioni delle competenze e delle corrispettive risorse finanziarie per il loro esercizio bisogna fare un passo indietro e partire dalla riforma dell’articolo V della Costituzione italiana, approvata, a colpi di maggioranza, dai Governi di Centro-sinistra nel 2001.

Infatti, sulla base di quanto previsto per le Regioni a statuto ordinario dagli articoli 116 e 117 della Carta riformata, dopo lo svolgimento di referendum consultivi, tenutisi su base regionale in Veneto ed in Lombardia il 22 ottobre 2017, le due Regioni settentrionali, che da sole sommano circa 1/3 del Pil nazionale, nell’inverno 2017/2018 hanno avanzato la richiesta di autonomia regionale rafforzata, richiedendo l’esercizio della competenza esclusiva su 23 materie, tra cui l’ambiente, i trasporti e l’istruzione, che da sola assorbe il 51% della spesa nelle materie trasferibili. Di queste 23 materie tre sono scelte fra quelle su cui lo Stato esercita l’esclusiva potestà e venti tra quelle di potestà legislativa concorrente.

Sempre nel 2017, a seguito di una risoluzione del Consiglio, alle Regioni Veneto e Lombardia si è associata l’Emilia Romagna, che ha avanzato la richiesta di autonomia rafforzata per 15 materie, a seguire le altre Regioni centro-settentrionali – Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche – in varie forme hanno avviato l’iter procedurale per la richiesta di maggiore autonomia.

Nel frattempo, le regioni meridionali procedono in ordine sparso. Come si è detto, la Calabria ha diffidato lo Stato, il Governatore Michele Emiliano della Puglia sembra essere ondivago ed oscilla tra un’ipotesi di richiesta e la critica dell’autonomia differenziata, mentre il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, si dice pronto ad accettare la sfida, ma, allo stesso tempo, dichiara l’assoluta contrarietà della Regione ad ogni forma di secessione fiscale. Infatti, il 5 febbraio 2019 il Consiglio campano ha approvato a maggioranza un ordine del giorno in cui si ribadisce con forza  l’importanza di promuovere forme di autonomia coerenti ai principi di solidarietà sanciti dal dettato costituzionale.  

Ad oggi, anche grazie alla Pre-Intesa siglata il 28/02/2018 tra le tre Regioni capofila richiedenti ed il Governo di Centro-sinistra guidato da Paolo Gentiloni, la trattativa per la firma dell’Intesa definitiva avviene a “porte chiuse”, nelle stanze del Consiglio dei Ministri sottratte ad ogni forma di libera discussione pubblica correttamente informata.

Successivamente, il testo approvato dal Consiglio dei Ministri sarà presentato in Parlamento, che potrà solo approvarlo a maggioranza assoluta o bocciarlo. Approvata la legge rimarrebbe in vigore per dieci anni con l’impossibilità del Parlamento e del Governo di rimetterne in discussione i termini senza l’assenso delle Regioni interessate.    

Oltre alle questioni di metodo relative alla mancata trasparenza sulla trattativa in corso, per quanto concerne il merito, il cuore del problema consta nella definizione dei criteri sulla cui base ripartire le risorse finanziarie per l’esercizio delle numerose competenze richieste. Si è calcolato che in ballo ci siano circa 21 miliardi di euro da assegnare inizialmente sulla base della spesa storica, ossia dando direttamente alle Regioni i soldi che lo Stato ad oggi già vi spende, ad esempio, per il sistema d’istruzione.

Del tutto in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione e con la legge 42/2009, che prevedono la definizione dei livelli essenziali di prestazione, successivamente la ripartizione dovrà avvenire sulla base del calcolo dei fabbisogni standard per le singole competente ed i corrispettivi servizi. Calcolo che una non meglio precisata Commissione tecnico-paritetica Stato-Regioni dovrebbe effettuare sulla base di due criteri fondamentali: 1. la popolazione residente; 2. il gettito dei tributi maturato nel territorio regionale.

Il che equivale a dire che, tra gli altri, i fabbisogni relativi all’istruzione, ai trasporti ed alla sicurezza ambientale saranno calcolati anche sulla base dell’attuale ricchezza delle Regioni, che, infatti, richiedono di trattenere i 9/10 dei tributi riscossi, frutto del cosiddetto “residuo fiscale”.  

Insomma, si prospetta una via italiana alla crisi del debito sovrano e del declino economico che mira a concentrare poteri, risorse finanziarie e produttive nell’area sviluppata del Paese, a tutto discapito di quella relativamente arretrata, considerata, secondo l’inveterato pregiudizio antimeridionale, la “palla al piede” dell’Italia. Pregiudizio che connota la costruzione dell’attuale federalismo fiscale e dell’imminente autonomia rafforzata nei termini del federalismo discriminatorio.   

Dato il potere d’interdizione delle Regioni ordinarie ad autonomia rafforzata, se la richiesta di autonomia differenziata lombardo-veneta ed emiliano-romagnola dovesse essere ratificata dall’Intesa comporterebbe la frantumazione dell’Italia con la secessione di fatto delle Regioni settentrionali sia sul piano politico che su quello economico-finanziario.

Una secessione che, intrecciata agli effetti sperequati del vigente federalismo fiscale, contribuirebbe a riprodurre e ad ampliare ulteriormente il divario tra territori ricchi e territori poveri, ad acuire maggiormente il dualismo tra Nord/Sud, a ratificare definitivamente sperequazioni e disuguaglianze intollerabili tra cittadini settentrionali di serie A e cittadini meridionali di serie B, dando, secondo un modello di cittadinanza differenziale, di più a chi ha di più e di meno a chi ha di meno.

Per contrastare gli inquietanti scenari d’insanabili fratture socio-economiche, d’irreversibili crisi istituzionali, così come, sul piano pedagogico-civile, di definitiva affermazione degli egoismi localistici, che, di contro, farebbero implodere del tutto il sentimento di appartenenza nazionale, nel Mezzogiorno d’Italia, e non solo, si sta delineando un variegato e per ora non ancora coeso fronte meridionalista di orientamento tendenzialmente democratico e radicale – da Confindustria Campana ai Sindacati di base passando per quelli confederali, dai Consigli regionali della Calabria e della Campania ad alcuni Comuni calabresi, da docenti universitari, da Atenei, Federico II, e Centri di ricerca, Svimez, e di Alta cultura, IISF, a testate giornalistiche, Il Mattino, ad associazioni culturali neomeridionaliste, Osservatorio del Sud, a meetup di base di pentastellati dissenzienti verso la linea governativa, ad un’intellettualità critica, riflessiva, diffusa e capillare – che intende accettare la sfida dell’autonomia sulla base dei principi costituzionali della coesione sociale, della perequazione economica, dell’uguaglianza dei diritti, della solidarietà e dell’unità nazionale.

Un fronte sì articolato ed eterogeneo, ma, di fatto, unito dalla richiesta della piena applicazione del dettato costituzionale e della normativa vigente a partire dalla formulazione pubblica e condivisa dei livelli essenziali di prestazione. Formulazione ad oggi sistematicamente ed illegittimamente disattesa!

Salvatore Lucchese   

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