Vecchia 167, la Cassazione: concussione ambientale nell'edilizia convenzionata
Da rifare il processo di appello che scagionò il costruttore Spadavecchia che avrebbe incassato soldi in nero
Il Piano 167 degli anni 80-90 (Popolare, cooperative, convenzionata), fu accompagnato da una serie di voci stonate: gente senza requisiti tra gli assegnatari, presidenti di cooperative che per il “fastidio” si prendevano qualche immobile o che attuavano di tour-nover di assegnatari che cambiavano tra una calata di cemento ed un’altra e non a costo zero, case appena costruite e date in affitto, fino al banale pagamento in nero. Storie di illazioni ed insinuazioni raccontate nella ristretta cerchia di parenti ed amici. In molti hanno masticato amaro per l’andazzo, ma alla fine, pur di acquistare casa, hanno subito abusi e soprusi. Certo qualche azione giudiziaria c’è stata, ma le vicende sono rimaste nell’ambito della lite privata tra costruttore ed acquirente. Prima o poi, almeno per la legge dei grandi numeri, doveva saltare fuori l’eccezione che scoperchiasse la pentola del malaffare che ha influenzato l’Edilizia Pubblica molfettese dei ruggenti anni 80-90. A riportare alla ribalta l’andazzo di quei anni, ci ha pensato la Corte di Cassazione, in merito alla vicenda legale che vede contrapposti Antonio Picca e il costruttore Silvio Giuseppe Spadavecchia, che ha sancito che a Molfetta in merito all’edilizia convenzionata si è consumato il reato di “Concussione ambientale”. IL FATTO Correva l’anno 1992, a Molfetta si stava realizzando nel Lotto 2, l’Edilizia Convenzionata, cioè prezzo di vendita fissato dal Comune (prezzo base di 70 milioni di lire nel 1991), in base ad un’apposita convenzione con le imprese costruttrici. Il sig. Antonio Picca, in regola con i requisiti previsti e collocato in graduatoria, contatta e contratta con l’impresa convenzionata di Vincenzo Spadavecchia (deceduto qualche anno dopo). In realtà a condurre le trattative era il genero Silvio Giuseppe Spadavecchia. Prima della stipula del compromesso, Silvio Giuseppe Spadavecchia fu molto esplicito: “Sai le condizioni per accedere all’acquisto dell’appartamento?”. Il Picca annuì. Il costruttore, come condizione indispensabile, avanzò la pretesa di 110 milioni e in nero, rispetto al prezzo stabilito dal Comune. Soldi in contanti e subito. Incassato il denaro fu sottoscritto il preliminare per un importo di 100 milioni. In pratica l’appartamento sarebbe costato 240 milioni. Come molti molfettesi Picca se ne fece una ragione. Sul finire del 1992, qualcosa cambia. Al Picca, che è un agente tecnico della Polizia Municipale, non convincono alcune soluzioni tecniche adottate dall’impresa. Le posizioni si irrigidiscono e si arriva alla classica “Vai avanti che ti vengo dietro”. Picca, che ha già versato 70 milioni oltre ai 110 in nero, va avanti e nel luglio del ’93 denuncia tutto ai carabinieri. In quel periodo non ci fu solo la denuncia di Picca, ma anche di altri concittadini e del movimento “Osservatorio 7 Luglio”. I PROCESSI Passano 7 anni e si arriva al processo di primo grado che si svolge, su richiesta dell’imputato, con il rito abbreviato. Il Giudice rigetta le motivazioni della difesa (prezzo maggiorato a causa delle migliorie richieste) e condanna Silvio Spadavecchia per il reato di concussione, ad 1 anno e 6 mesi e l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, con il beneficio della sospensione della pena. E’ una novità, perché il reato di concussione si applica ai dipendenti pubblici che utilizzano in modo truffaldino la propria funzione pubblica. Per il giudice di 1° grado l’imprenditore privato rivestiva di fatto la funzione di incaricato di pubblico servizio, attraverso una convenzione con il Comune, per la realizzazione di un piano di edilizia pubblica convenzionata, per il quale il Comune rinunciava a degli introiti pur di favorire l’acquisto della casa da parte di cittadini con determinati requisiti. La sentenza è ribaltata nel 2006. La Corte d’Appello di Bari accoglie il ricorso del costruttore e lo scagiona da ogni addebito, perché il fatto (reato di concussione) non sussiste. Le ipotesi di reati di estorsione o truffa non sono considerati perché ormai prescritti. Per la Corte, Antonio Picca era a conoscenza della “prassi” nel nostro territorio della richiesta dei costruttori di somme in nero e quindi ci sarebbe stata una sorta di “inserimento consapevole” in tale “prassi”. Quindi niente minaccia e di conseguenza niente reato di concussione. La sentenza non solo riabilita Spadavecchia, ma tra le righe individua un comportamento poco chiaro di Picca nel voler “fare l’affare di comprare l’appartamento a poco prezzo”. Contro questa sentenza ricorrono in Cassazione non solo Antonio Picca, ma anche il Procuratore Generale della Repubblica della Corte d’Appello di Bari. Insomma il caso assume una rilevanza giuridica di primo piano. La Suprema Corte nell’aprile scorso, con sentenza n° 15690 della Sezione VI, ha smontato punto su punto la sentenza di 2° grado, definendola “illogica”, sentenziato la fondatezza del reato di concussione e disposto un nuovo dibattimento presso altra corte. In sostanza la Cassazione ha appurato l’esistenza di tutti i requisiti del reato: l’abuso di funzione (richiesta di somme in nero non dovute), illiceità della pretesa (essendo il prezzo stabilito dalla convenzione), l’esercizio di pressione psichica (la vendita condizionata alla somma pretesa). Inoltre la Corte Suprema, ritiene che “la diffusione delle illecite richieste e la loro abituale accettazione, configura la situazione di concussione ambientale imperante in alcune sfere di attività della pubblica amministrazione”. È CADUTO UN MURO Anche se la vicenda è formalmente ancora aperta, sul proseguimento peserà come un macigno la decisione della Cassazione che ha sancito il seguente principio di diritto a cui dovrà attenersi la Corte distrettuale titolare del nuovo giudizio d’Appello: “nel caso di edilizia convenzionata, la condotta del costruttore che condizioni la conclusione o l’esecuzione del contratto alla dazione, da parte dell’acquirente inserito nelle apposite graduatorie, di somma maggiore di quella determinabile ai sensi della convenzione e non corrispondente a migliorie e varianti con lui concordate, integra il delitto di concussione”. Come si evolverà la faccenda rivedrà presto. Il 18 giugno prossimo presso la Corte di Appello di Bari lo stesso Spadavecchia è imputato per un altro caso analogo. Vedremo quali provvedimenti adotterà la Corte in relazione alla sentenza della Cassazione. Fin qui la lite legale che sarebbe stata trattata come tante altre e senza troppa risonanza. Invece la tipologia del reato di concussione la rende una faccenda pubblica e che chiama in causa il Comune e i contribuenti molfettese, che di fatto hanno subito un danno anche economico dalle pratiche del costruttore Spadavecchia e suoi similari. Se è vero che il Comune era a conoscenza delle denunce, perché non si mai costituito come parte lesa nel procedimento giudiziario? Vedremo se il Comune intraprenderà delle iniziative per la violazione del Spadavecchia della convenzione sottoscritta nel 1991.