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Una difficile verifica politica per il Pd a Molfetta: farsi ingoiare dalle liste civiche e dal centrodestra oppure divenire protagonista di un rinnovamento Noi e le altre forze politiche del “ciambotto” vogliono costringere il Partito Democratico ad un patto di ferro di 7 anni (ora e dopo)
L'aula del consiglio comunale di Molfetta
04 dicembre 2020

MOLFETTA – Una verifica politica difficile quella che si è aperta a Molfetta tra le forze di maggioranza delle liste civiche più quello che resta del Pd. Ed è stato proprio il Pd (che mantiene ancora il presidente del consiglio comunale Nicola Piergiovanni, il consigliere metropolitano Gianni facchini e l’assessore Gabriella Azzollini) a chiedere questo incontro, limitato alle delegazioni delle forze politiche, per venire fuori dall’imbarazzo dovuto al passaggio dal centro sinistra di Emiliano al centrodestra di Fitto, del ciambotto amministrativo, sempre più rancido.

Infatti la svolta del neo consigliere regionale Saverio Tammacco che è tornato al centrodestra, che lui credeva vincente, ha costretto la maggioranza a seguirlo. Ora che Tammacco è stato confinato all’opposizione alla Regione, il sindaco Tommaso Minervini teme di dover pagare il prezzo di questo tradimento ad Emiliano, che, in passato, ha fatto arrivare molti finanziamenti agli allora amici di Molfetta, per i quali ha fatto cadere perfino la giunta di centrosinistra di Paola Natalicchio.

Così all’incontro per la verifica, è venuto fuori che nessuno vuole rinunciare alle poltrone, ma c’è quella dell’ex assessore ai lavori pubblici, Mariano Caputo che si è dimesso per lo scandalo “Appaltopoli” per presunti appalti irregolari, che fa gola a molti. Non ultimo Pino Amato che ha cambiato ancora una volta casacca, com’è nel suo costume politico, per entrare nella stanza dei bottoni. E questo passaggio va ricompensato con un assessorato, che potrebbe essere proprio quello ai Lavori pubblici. Un’ipotesi che non piace a molti della coalizione amministrativa e che, comunque, richiederebbe un rimpasto anche con altri assessorati, col rischio che un equilibrio già incrinato, finisca per rompersi.

Il gruppo “Noi” messo insieme da Pasquale Mancini, scudiero di Tammacco, si è incrinato con le dimissioni dello stesso coordinatore Mancini che ha passato la mano a Ninnì Camporeale e col disimpegno dell’assessore all’Urbanistica Pietro Mastropasqua che ha costituito un gruppo a parte, “Molfetta per la Puglia”, nuova lista civica interna alla maggioranza (con Alina Losito, Luigi Tridente, Sergio de Candia e Leo Binetti), mentre Pino Amato ha aggregato al suo “Popolari per Molfetta” anche Peppino De Nicolò ex Pd ed Enzo Spadavecchia (ex Obiettivo Molfetta). Insomma, tutti per Molfetta o tutti per se stessi?

Ma quali proposte sono venute dal primo incontro di verifica? La volontà di tutti di non mollare le poltrone e il tentativo di legare il Pd mani e piedi non solo in questa amministrazione, ma anche oltre il 2022. In pratica si vuole agganciare il Pd anche per la prossima amministrazione: in sostanza un nuovo “ciambotto” per continuare a governare Molfetta per altri 7 anni, relegando le opposizioni di centrodestra (Forza Italia) e di centrosinistra (Rifondazione e Sinistra italiana) ai margini.

Cosa farà il Pd? Per mantenere le poltrone accetterà questa sorta di patto col diavolo? Subirà anche la presenza determinante di Pino Amato, che ha dichiarato camaleonticamente di essere d’accordo con tutto quello che dice il Pd (che si fa per una poltrona!).

Tammacco comincia ad essere ingombrante anche per il sindaco Minervini che vorrebbe ricucire con Emiliano, altrimenti c’è il rischio concreto che si chiuda il rubinetto dei soldi regionali e soprattutto ne possa uscire compromesso il suo futuro politico per un secondo mandato da sindaco o per un’aspirazione a un seggio parlamentare per concludere la carriera. Lui resta in carica per gestire l’emergenza Covid (una foglia di fico perché non è detto che un commissario prefettizio non sia in grado di fare meglio, visti i pasticci organizzativi di queste ultime settimane che “Quindici” ha raccontato ai cittadini di Molfetta).

In tutta questa situazione pende la spada di Damocle dell’inchiesta “Appaltopoli” della magistratura, che vede indagato oltre all’ex assessore Caputo, all’ex consigliera di Forza Italia Sara Castriotta, lo stesso sindaco Minervini e i cui sbocchi sono imprevedibili e i cui esiti potrebbero creare non pochi problemi alla coalizione amministrativa.

Ecco perché Tommaso Minervini ha rinviato la verifica ad altri incontri prima di Natale, il 9 e 10 dicembre, ma pretende la presenza di tutti, non si fida delle delegazioni in un quadro politico sfilacciato. Vuole un bell’ “assembramento” (a distanza ovviamente), di tutti gli assessori, dei consiglieri comunali, delle forze politiche e perfino dei presidenti delle municipalizzate, per vedere cosa vogliono fare. Dopo tirerà le somme.

Cosa farà se il Pd deciderà di abbandonarlo? Avrà il coraggio di dimettersi e lasciare la coalizione oppure bacerà il rospo e resterà ostaggio del centrodestra e delle liste civiche?

In questa confusione e in questo imbarazzo del Pd che si trova ad un bivio, l’unica strada possibile sarebbe quella di convocare un tavolo con tutte le forze del centrosinistra per proporsi come attore principale della ricostruzione di un’alleanza alternativa a Molfetta.

Ci sembra l’unica via d’uscita dignitosa per il Pd, per venire fuori dall’ambiguità di un’alleanza scomoda e proporsi come protagonista di una nuova stagione politica.

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