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Un voto tra paura e realismo
15 giugno 2024

Le elezioni europee si sono concluse con l’avanzata della destra e con il recupero di consensi di un Pd dato per morto, ma risorto dalle ceneri come un’araba fenice, grazie alla segretaria Elly Schlein che ha rilanciato e allargato la base elettorale anche a Molfetta. Il 24% registrato dal Partito Democratico è il dato più interessante e imprevisto di questa tornata elettorale, perché il successo della destra con il 28% era dato per scontato con un presidente che ha personalizzato lo scontro (vota Giorgia) ingannando buona parte di elettori, pur sapendo che non sarebbe andata al Parlamento europeo. Le elezioni hanno rafforzato sia il principale partito di governo, guidato dalla presidente del Consiglio, sia il primo partito di opposizione. Meloni e Schlein hanno consolidato le loro rispettive leadership: Meloni come capo della maggioranza e Schlein come punto di riferimento dell’opposizione e potenziale futura candidata alla presidenza del Consiglio. È un piccolo paradosso che un›elezione con sistema proporzionale, che teoricamente dovrebbe favorire la frammentazione politica garantendo la massima rappresentanza possibile, abbia invece delineato un quadro politico bipolare. Le elezioni europee utilizzano un sistema proporzionale che generalmente avvantaggia i partiti più piccoli. Tuttavia, questo stesso sistema ha messo in evidenza una chiara contrapposizione tra una destra guidata da Fratelli d›Italia e un centrosinistra orientato più a sinistra, con il PD come forza predominante. Il successo di Fratelli d’Italia va analizzato meglio. Infatti, rispetto al 25,98% delle elezioni politiche del settembre 2022, il partito di Meloni ha guadagnato quasi tre punti percentuali, raggiungendo il 28,81%. Sebbene, a causa della maggiore astensione, il numero totale di voti sia inferiore rispetto al 2022 (7,3 milioni allora contro i 6,6 milioni attuali), il dato relativo è ciò che conta. Al terzo posto arriva il Movimento 5 Stelle con il 10%. Questa percentuale è molto più bassa rispetto al 16% circa a cui era dato due settimane fa il partito di Giuseppe Conte, prima che entrasse in vigore il divieto di pubblicare i risultati dei sondaggi. I 5 Stelle sono i veri sconfitti insieme a Renzi e Calenda, che sognano un improbabile centro in una politica ormai bipolare. Rispetto alle elezioni politiche del 2022, Forza Italia ha sorpassato la Lega: il partito oggi guidato da Antonio Tajani, che si è presentato alle elezioni europee alleato con Noi Moderati, catturando il 9,6% dei voti, mentre il partito di Matteo Salvini, si è fermato al 9,1%, grazie ai voti del fascista Vannacci. Tra le altre liste, solo quella di Alleanza Verdi-Sinistra ha ottenuto un ottimo risultato, raccogliendo il 6,7% dei consensi. La lista “Stati Uniti d’Europa”, formata da “Più Europa” (Bonino) e “Italia Viva” (Renzi), si è fermata al 3,8%, mentre “Azione” di Calenda al 3,4% che restano fuori non avendo raggiunto il 4% dei voti. La capacità di tenere insieme vecchio e nuovo, moderati e sinistra progressista e movimentista, ingoiando rospi ogni giorno, mantenendo la barra dritta e soprattutto i contatti con la gente, il Paese reale che il governo non conosce, ha premiato la Schlein che veniva considerata immobile, quando, in realtà cercava di tenere insieme le diverse anime del partito, soprattutto sul fronte della guerra, dagli interventisti ai pacifisti. In silenzio, malgrado le frecciate anche amiche della satira alla Luca e Paolo sulla 7, la segretaria scelta dalla base e non dall’apparato di partito, ha avuto la sua rivincita grazie a candidature autorevoli e soprattutto credibili, rinunciando a un successo personale come la sua avversaria di destra. Nel Pd si è votato con la ragione non con la fede cieca nella fiamma, la voglia di rivincita per cancellare la tragedia del ventennio, la storia e la cultura dell’Italia antifascista. Purtroppo a destra si litiga, ma al momento della battaglia ci si ritrova uniti, a sinistra si litiga e non si conclude nulla, pur nella coscienza di essere maggioranza nei numeri complessivi. Il Pd ha riscoperto il valore del partito plurale, che ammette il dissenso, accetta le criti-che, non scappa come un coniglio davanti ai giornalisti, come fa Giorgia, e affronta i problemi, i bisogni profondi, le paure, ma anche le speranze reali dei cittadini sempre più poveri, sempre più in difficoltà a curarsi, sempre più soli. Tornando al Sud e alla Puglia, il vero vincitore delle elezioni è stato il sindaco uscente della città metropolitana di Bari Antonio Decaro, con quasi 500mila voti, l’unico in grado di competere con la Meloni (con vota Giorgia, senza vota Antonio). La differenza è stata nei fatti realizzati in 10 anni, portando i baresi ai primi posti in Europa per grado di soddisfazione. Non basta il bellissimo e indovinato spot elettorale realizzato dai geni della comunicazione di “Proforma” che ha puntato sulle lingue da conoscere e non sul troppo facile e scontato “vota Antonio”. E, come dice Giovanni Sasso, direttore creativo del fantastico team di “Proforma”, Decaro è un po’ come il Luca Medici (Checco Zalone) della politica. Ma non è stata la soppressata dello spot a decretare il successo del sindaco di Bari, ma il suo lavoro di 10 anni che ha trasformato il capoluogo della Puglia. A Molfetta il Pd è il primo partito con il 42,99% dei voti. Un grosso risultato, soprattutto se si considera che è stato doppiato il partito di Giorgia che ha ottenuto appena il 20,83% dei voti. Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il 12,24% mentre l’Alleanza Verdi Sinistra ha totalizzato il 3,65%, contribuendo all’elezione di Mimmo Lucano. Buon risultato, sempre sul fronte della Sinistra, rispetto alla loro forza tradizionale, per Pace Terra e Dignità, sostenuta da Rifondazione, che ha registrato il 2,74%. Per quanto riguarda i candidati, è Antonio Decaro il più votato a Molfetta. Il sindaco uscente di Bari, malgrado la vergognosa campagna di odio da parte del centrodestra e di Fdi, che hanno tentato, con la solita ipocrisia della Giorgia, perfino di sciogliere il consiglio comunale (altra politica, invece, la loro tutela dell’indifendibile governatore della Liguria Toti arrestato, ma sempre in carica), ha ottenuto ben 6.792 preferenze contro i 2.410 di Giorgia. Eletti anche altri due Pd, i giornalisti Lucia Annunziata e Sandro Ruotolo e il sindaco di Riace Mimmo Lucano, un amico di Molfetta. Deludente, ma prevedibile il flop di Carmela Minuto, presentatasi con la Lega contro il Sud, che non è arrivata nemmeno 1.000 voti (solo 966 preferenze, qualcosa in più del suo risultato alle comunali con 742 voti). Flop anche per Marti e il generale Vannacci della Lega, rispettivamente con 694 e 220 voti. Ha vinto il Sud contro le strumentalizzazioni della “Lega Nord” che lavora per emarginare il Mezzogiorno, distruggendo la sua realtà economica. Ma questa volta i meridionali non si sono fatti infinocchiare dai seguaci di Salvini, sovranista di estrema destra, che al Sud ha raccolto appena il 6,8% dei voti: il risultato più basso d’Italia. Male anche i fratelli coltelli Renzi e Calenda, che fanno a gara nell’egolatria personale senza qualità: il primo, capace solo di demolire, ha ottenuto, con la lista Stati Uniti d’Europa, appena 548 voti, il 3,06%, facendo precipitare perfino la Bonino che gli ha creduto, mentre il secondo, con Azione, ha rimediato 187 voti, l’1,04%. Ancora una volta l’ipocrisia politica dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Tommaso Minervini, è stata la protagonista di questa tornata elettorale. Buona parte della coalizione delle liste civiche ha appoggiato Decaro, a cominciare dal solito Nicola Piergiovanni, sempre pronto a saltare sul carro del vincitore, per finire al supertrasformista, con l’anima a destra e le gambe a quella sinistra di Emiliano, utile fonte di prebende politiche, quel Saverio Tammacco, che si vanta addirittura di questa… “qualità” di voltagabbana, con la scusa di fare sempre l’interesse della città da qualsivoglia sponda. Ma il civismo a Molfetta è sinonimo di ciambotto e qualunquismo dei soliti voltagabbana, guidati dall’opportunista Minervini, campione di equilibrismo tra destra e sinistra, tra la Lega estremista e antimeridionale di Salvini all’odiato, ma “utile” Pd (quando serve a livello provinciale e regionale), a una presunta fede salveminiana, che farebbe rigirare nella tomba lo storico antifascista molfettese. Tommaso è stato capace di governare con la destra, una presunta sinistra, avendo nell’amministrazione fascisti dichiarati e la leghista Minuto, passata dal moderatismo democristiano, al berlusconismo di convenienza, per approdare infine all’estremismo di destra salviniano. Un esempio di… “coerenza” inimitabile. Peccato, per una donna intelligente! Ma così va il mondo nella politica molfettese, che tocca sempre di più il fondo, perfino nella polemica tra Piergiovanni che rivendica il successo di Decaro, grazie al civismo ciambottista delle liste civiche (che coraggio a vantarsene!) e il Pd che gli rimprovera il livore per l’espulsione dal partito della Schlein nel 2021 e «questa concezione padronale e personale del consenso di questi personaggi che, in nome di un non meglio precisato “civismo”, pensano di poter spostare voti da una parte all’altra a seconda della convenienza del momento, è esattamente il sistema che intendiamo contrastare perché rappresenta la negazione della politica». Insomma, un voto tra la paura diffusa da una destra postfascista o afascista come piace alla democratura di Giorgia e un realismo della Schlein che vince ricordando i danni di un governo incapace con politici, ministri e amministratori mediocri, antimeridionale e antisociale, che rischia, col premierato e l’autonomia differenziata, di portare il Sud all’emarginazione e l’Italia nel baratro. © Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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