Un uomo solo al comando
Un uomo solo al comando, ma la sua maglia non è biancoceleste (semmai rosso sbiadito tendente al nero, passando per un verde ormai sporco), il suo nome non è Fausto Coppi, non è il campionissimo del ciclismo, forse è il campionissimo del trasformismo. Parliamo di Tommaso Minervini, sindaco di una coalizione di liste civiche “ciambotto”, come le abbiamo subito definite con successo, che di politica non hanno nulla, ma sono solo aggregazioni di potere in mano ad alcuni personaggi politici. La definizione di “uomo solo al comando” è del giornalista Rai Mario Ferretti pronunciata il 10 giugno del 1949 nella leggendaria 17ª tappa del Giro d’Italia (Cuneo - Pinerolo) di 254 km. L’ha rispolverata qualche sera fa la consigliera comunale Annalisa Petruzzelli, quasi sconosciuta peone dell’area Tammacco, che con il suo tono da maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria, ha rimproverato al sindaco il suo fare da tecnocrate e soprattutto il suo comportamento da uomo solo al comando. Una definizione non sappiamo quanto gradita all’interessato, che si considera sempre uomo dell’agire “che perder tempo a chi più sa, più spiace” nel magnifico verso di Dante. Di questa propensione autocratica Minervini non ha mai fatto mistero e ci è tornata a mente proprio in questi giorni con la morte di Berlusconi, altro populista e “uomo solo al comando” al pari dei vari Mussolini, Craxi, Renzi e buon ultimo il pugliese Conte. Un maschio alfa della politica che, inavvertitamente scivola nel populismo, perdendo di vista la leadership che è altra cosa. L’uomo solo prende il posto del leader, fa propria l’idea del potere, lo lega al proprio destino, lo personalizza fino al punto di convincersi che il “Capo”, sia l’unico che, in nome del proprio popolo, possa non commettere errori nella sua egolatria e nella giustezza di tutti i suoi atti e comportamenti. Il fatto di essere circondato da una classe dirigente di basso livello e, soprattutto, priva di esperienza, accresce in lui l’idea del migliore (come ripete spesso in confronto a tutti gli altri che lo hanno preceduto e dei quali si sente chiamato a rimediare gli errori) che deve agire senza confrontarsi, ma muoversi nel modo più rapido possibile. Alla fine si crea un dualismo manicheo: da un lato il depositario della verità, dall’altra i nemici del popolo che ti ha investito del potere. Delegare a se stesso il compito di supplente stabile alla mediocrità imperante, diventa una missione che non può essere messa in discussione. La leadership, è altra cosa, si conquista sul campo, è una sorta di magnete a cui la gente non resiste, mentre non si vede una classe dirigente in sintonia con i cittadini e i loro problemi. In politica la solitudine non è mai stata una virtù e l’uomo solo al comando incarna questo stato d’animo, una sorta di avatar in grado di trovare le soluzioni che sono mancate agli altri. Ma in politica, soprattutto in presenza di liste civiche anonime, la conquista di una propria visibilità amministrativa diventa una necessità, anche se è la spia di un malessere, di un disagio e forse di una pari solitudine. Del resto assistiamo impotenti allo scenario sconfortante delle liste civiche, composte per la maggior parte da “signor nessuno”, questo proliferare di piccoli raggruppamenti politici, guidati da presunte èlite che passano da una sigla all’altra a seconda delle opportunità personali che si prospettano. L’ammirazione semplicistica ed estatica dell’uomo (oggi della donna) solo al comando, ci permette di tornare a fare i fatti nostri, tanto c’è qualcuno che dice di avere la soluzione facile in mano. E così si applaude a scatola chiusa chi arriva a promettere di risolvere il problema. E il “Capo” promette una rinascita attraverso il carisma della propria personalità. Lo stiamo vedendo in Italia con il Meloni che raccoglie sempre più consensi, quanto più promette (a parole) di risolvere i problemi. Ma si dimentica che la gente cerca sempre qualcuno da adulare prima, per incolpare dopo. Ecco perché sorge spontaneo l’interrogativo: a cosa mira questa bordata in pieno consiglio a favor di telecamera: a un aumento di visibilità, a una più grossa fetta di potere (ci riferiamo sempre al patron delle liste civiche), oppure è un vero e proprio ricatto politico che nasconde richieste non soddisfatte? Il tempo ce lo dirà. Una cosa è certa: si tratta comunque di un avvertimento, di quelli che in politica preannunciano possibili crisi se non vengono soddisfatte alcune richieste. La solitudine in politica rischia di portare all’autocrazia e ci piace ricordare ciò che don Lorenzo Milani scriveva in “Lettera a una professoressa”: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». Da soli al comando a isolati al potere, il passo è breve. © Riproduzione riservata
Autore: Felice de Sanctis