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Trovata una tartaruga al largo di Molfetta, sarà curata e liberata
05 novembre 2008

MOLFETTA - Alcuni pescatori, al largo di Molfetta, hanno rinvenuto nelle proprie reti un bellissimo esemplare di tartaruga, appartenente alla specie caretta caretta. L'animale è stato caricato sull'imbarcazione e trasportato a terra. I marinai hanno provveduto a consegnarla alla Capitaneria di Porto, mentre venivano allertati i volontari del Centro di Recupero Tartarughe di Molfetta, che hanno preso in consegna l'esemplare, provvedendo alle prime cure. La tartaruga, una femmina del peso di oltre 30 chili, gode di ottima salute e, dopo ulteriori accertamenti clinici, effettuati dalla Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università di Bari, sarà presto liberata. Viva soddisfazione è stata espressa da Pasquale Salvemini, responsabile regionale del Wwf nonché del centro di recupero, il quale ha ribadito l'importanza della collaborazione con i pescatori affinché gli esemplari feriti o in difficoltà possano esser curati e rimessi nel loro habitat naturale.
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A proposito di tartarughe....e delfini. 1961: un mondo completamente diverso da questo in cui ci troviamo oggi a vivere. Le conoscenze per la tutela del'ambiente erano ancora allo stato embrionale, e le protezioni alle specie animali oggi considerate in via di estinzione, non erano nei pensieri dell'uomo. I mari non ancora inquinati, brulicavano di pesci in quantità esorbitanti e di tutte le specie, molte delle quali oggi scomparse: i nostri bisnonni e per anni anche i nostri nonni, in mancanza di sale, facevano il pane con l'acqua di mare. Due erano i pericoli che infestavano i mari di allora: le tartarughe e i delfini. Non che ce ne fossero in quantità eccessiva, il problema era che strappavano le reti facendo perdere il pescato, rendendo vano il lavoro di giorni. Una volta presi nelle reti, difficilmente riuscivano a liberarsi, per cui se capitava una tartaruga, il suo destino era segnato: cotta a ragù sulla tavola degli stessi pescatori. Non esistevano Associazioni che ne reclamavano la restituzione. Si tagliava loro la gola uccidendole velocemente non facendole soffrire e si faceva defluire tutto il sangue raccogliendolo in bacinelle, e i più anziani ne facevano "sanguinaccio" da usare poi in varie degustazioni. Una volta svuotate, si staccava il carapace, trofeo ambito da tutti, si tagliava a pezzi la carne e la si lasciava essiccare al sole per il tempo necessario. Una volta essiccata la carne, si cucinava a ragù: squisite e deliziose. Per i delfini il discorso era più complicato. Veniva considerata una disgrazia la sua "salita a bordo" nella rete, perchè tutta la famiglia, moglie o marito, figlio o figlia, zie, zii e nipoti tutti, si allineavano alla scia del natante e finchè non gli venisse restituito il cetaceo, erano sempre lì con le loro grida stridule piangenti a reclamare il congiunto. Se disgraziatamente lo sfortunato cetaceo, moriva durante le sue acrobazie per liberarsi, la migliore cosa da fare era cambiare zona di pesca e rendersi irriconoscibili. Il delfino morto ma fresco? Finiva a "musciame" come dicono in Liguria, in altre parole a fettine o a pezzi pronti all'uso a seconda delle tradizioni culinarie locali. Giusto per conoscenza; oggi tutto questo viene considerato incivile e barbaro. Giustamente. Non me ne volete, erano altri tempi, altre soluzioni per vivere o sopravvivere.
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