Trasformare la vulnerabilità in un’opportunità
Molfetta, già negli ultimi giorni della cosiddetta “fase 1”, ha affollato strade e piazze alla ricerca di suoni, apertura e socialità. C’era da aspettarselo, e non è qui la sede per esprimere giudizi sui comportamenti adottati: riteniamo che le misure di distanziamento sociale rispondano a delle esigenze di vitale importanza e che vadano rispettate. L’obiettivo di chi scrive, però, non è individuare colpevoli o additare comportamenti scorretti, quanto piuttosto, a partire dal modo in cui le situazioni e le norme nazionali sono state recepite e tradotte in pratica, segnalare delle opportunità per il futuro. Innanzitutto questa emergenza ci ha segnalato la fragilità e la vulnerabilità come fattori tutt’altro che accidentali, bensì come elementi costitutivi del nostro stare al mondo. In questo quadro è possibile assumere questa finitezza come terreno per immaginare dei modelli migliori per vivere il futuro, contro e oltre l’emergenza sanitaria ancora in corso. Tante sono state, in queste settimane, le iniziative di solidarietà nate spontaneamente da gruppi di cittadini: spese solidali, gruppi di sostegno a soggetti vulnerabili, iniziative di mutuo- soccorso. C’è allora la necessità di rendere strutturale la solidarietà, di farne un orizzonte di progettazione condiviso per un diverso modo di stare al mondo. Questa esigenza investe non solo la responsabilità individuale, ma anche quella politica delle istituzioni. È emerso, infatti, che l’emergenza ha amplificato le disuguaglianze, distribuendo il proprio peso fra la popolazione in maniera del tutto disomogenea. Piuttosto, i rischi con essa connessi sono stati quasi sempre proporzionali all’esposizione delle persone agli altri rischi che già costellano la loro vita quotidiana, connessi con la sfera economica e con le varie dimensioni del bisogno. In questo quadro, l’emergenza ci ha dimostrato che non si può stare bene se non stanno bene anche gli altri. È necessario costruire un terreno comune di protezione che permetta a tutti di vivere dignitosamente, oltre la categorialità che continua a caratterizzare i nostri sistemi di welfare, che si è riflessa anche nei dispositivi di sostegno al reddito messi in campo durante l’emergenza. Per questo, la sfida del welfare universale è uno dei pilastri irrinunciabili per il futuro. Se, allora, le persone sono chiamate a fare la loro parte, anche le istituzioni devono necessariamente anteporre la sicurezza sociale alle ragioni dell’accumulazione. Così non è stato in molte fasi della pandemia, in cui, proprio nelle regioni al cuore del contagio – a partire dalla Lombardia – gli operai sono stati costretti ad andare a lavorare, i riders ad affollare le strade per portare il cibo nelle case etc. Le responsabilità delle persone, che pure non devono essere sottaciute, non devono coprire responsabilità che investono strutturalmente le istituzioni, e che spesso non sono state assunte fino in fondo. La stessa cosa vale per Molfetta. Le immagini del lungomare, affollato di gente e di spazzatura nelle scorse settimane, non vanno bene e dimostrano, soprattutto in alcune fasi, scarsa consapevolezza della gravità della fase che stiamo vivendo. Al contempo, però, la responsabilità anche rispetto ad una eventuale nuova ondata di epidemia – il cui spettro incombe soprattutto per l’autunno – non deve essere scaricata interamente sui singoli, coprendo dei deficit strutturali del sistema sociale in cui viviamo. La cura della salute e della dignità collettiva, allora, deve essere assunta come bene comune, a cui ciascuno deve contribuire a seconda dei ruoli e delle possibilità a disposizione. Bene, dunque, l’impegno delle associazioni e del volontariato, a Molfetta, che ci dice che un’alternativa al modello offerto dalle immagini del lungomare delle scorse settimane c’è e viene già praticata. Ma anche le istituzioni devono fare la loro parte, dal livello comunale salendo fino a quello nazionale. C’è, forse, l’opportunità di trasformare la vulnerabilità e la nostra costitutiva finitezza in un fattore di trasformazione e generazione di nuove prassi e nuovi modelli di convivenza. Non lasciamocela sfuggire. © Riproduzione riservata