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“Storia di un Paese che non cambia, mentre il mondo va avanti” Lino Patruno al Rotary di Molfetta presenta il libro “Prima pagina & dintorni” del giornalista economico Felice de Sanctis Domani, venerdì 25 ottobre, alle ore 19.30 all'Hotel Garden
24 ottobre 2019

MOLFETTA - “Storia di un Paese che non cambia, mentre il mondo va avanti”, questo il titolo dell’incontro organizzato dal Rotary Club di Molfetta e dall'Università Popolare, domani, venerdì 25 ottobre, alle ore 19.30, con Lino Patruno, Direttore del Master di giornalismo e già direttore della Gazzetta del Mezzogiorno.

Lino Patruno presenterà il libro “Prima pagina & dintorni”, scritto dal giornalista economico Felice de Sanctis, direttore della rivista "Quindici" e del quotidiano "Quindici on line". Al termine dell’incontro, l’autore donerà una copia del libro al pubblico presente.

Questa la prefazione di Lino Patruno al libro:

Il civismo del giornalista che non gira la testa

Ha ragione papa Francesco: i giornali sono la prima bozza della storia. E quanta storia in questa cavalcata degli articoli scritti da Felice de Sanctis negli ultimi trent’anni sulla «Gazzetta del Mezzogiorno». Si dice: in trent’anni cambia la storia del mondo. Specie questi 30 anni durante i quali la tecnologia ci ha portato in un futuro che davvero non è più quello di una volta. Chissà se Felice ha doti messianiche, lui che è davvero capace di tutto come ben sa chi lo conosce. Ma bisogna chiederselo, visto quanto i suoi temi sembrano anticipati come da un indovino. Pur in un Paese tanto seduto che il movimento più rapido fra un punto e l’altro è l’immobilità. E un Paese tanto lineare che il tratto più dritto fra un punto e l’altro è un arabesco.

 Si pensi all’evasione fiscale ma soprattutto al conseguente condono puntuale come un temporale di primavera: Felice ne parlava già alle avvisaglie del 1989, cioè in fondo nel secolo scorso. Solo dopo è diventato uno degli abusi più rispettati nell’Italia della violazione diffusa delle norme. E il caporalato, sul quale Felice scrive nel ’93 dicendo che è un problema da risolvere al più presto: verranno le morti a dirci che è lì come se nulla fosse. E i leghisti che hanno le gambe corte (’93) e l’emigrazione dal Sud (’95) aumentata invece di diminuire.

 Da questo momento in poi il tragitto di Felice coincide con la mia direzione della «Gazzetta», e l’occasione è propizia per un ringraziamento al suo impegno che ha dato lustro anche al mio.

 Del ’97 è la spesa pubblica italiana e il suo incredibile campionario, poco da meravigliarsi essendo la meraviglia sempre impari a quanto avvenuto dopo. Che l’olio d’oliva pugliese vada difeso, ce lo gridava già nel Duemila e neanche lui, stavolta, si sarebbe aspettata la Xylella. Lavoro nero come necessità al Sud (2003), ebbene è proprio così. E cosa provoca le due Italie (2006), anzi ora vorrebbero che la disunità fosse stabilita addirittura per legge (il federalismo differenziato) così non se ne parla più. Talché il massimo di giustizia che si può riconoscere al Sud è che diventi un paradiso fiscale per i nonni (2018) tanto di questo passo i giovani non ci saranno più. Anche perché i figli sono sempre più poveri dei padri (2007), e chi ha notizie diverse ci tenga informati.

 Ecco a cosa servono le raccolte di articoli. Non alla vana gloria di chi raccoglie, ma a un ripasso di memoria possibilmente per non ripetere gli errori. Impegno per il quale questo Belpaese meriterebbe le orecchie d’asino e dietro la lavagna. E non solo perché Felice sia un’espressione al quadrato della regola aurea del giornalismo, che è piuttosto dispiacere più che compiacere. Né è solo economia, essendo comunque questo il suo principale campo d’azione: roba di competenza specifica acquisita sul campo, quando a Milano era nel cuore del sistema.

 Così le incursioni di Felice spaziano anche nel costume. Dall’etilometro che arriva, alla lettera col timbro di sabato prossimo, alla cara febbre del sabato sera, al Grande Fratello che imperversa anche in ufficio, alla tassa che incombe sui cellulari e che in Italia sarebbe stata una tragedia nazionale, visto che ci sono più cellulari che italiani. E al vostro cinturato speciale per il primo giorno con la cintura in auto. Il che introduce il folto capitolo del nostro inviato speciale Felice: da Amsterdam a Londra, da Barcellona a San Pietroburgo, da Malta a New York alla Cina, perché non è che Felice si facesse pregare tanto per prendere un aereo e partire.

 Ma variegata e scintillante è anche la sua galleria di personaggi, a cominciare dal suo compaesano molfettese Riccardo Muti. E poi un altro molfettese che se ne va a cavallo in 99 giorni dal Messico in Canada, perché questi molfettesi sono una vil razza viaggiante. La laurea honoris causa a Pasquale Natuzzi, l’uomo che ha messo a sedere l’America. E Grillo, il potere dell’antipotere. E don Tonino, don Tonino ovunque, e qui Felice esprime una devozione e una passione che non sono solo sue per il vescovo santo di strada.

 Ci sono, nel peregrinare di Felice, le tappe nei fatti di casa nostra. Anzitutto quei problemi della pesca che sono suo sangue vivo, nella città dei naviganti e delle «vedove bianche». Ma anche i gioielli, col reggiseno del riscatto nella lucana Lavello. Nella Altamura leonessa fra pane, ulivi e salotti. Ma infine, perché a scuola cambiano i libri ogni anno? E perché sulla benzina paghiamo ancòra la tassa sull’Abissinia? E perché le arance solo a misura d’Europa manco fossero disegnate col compasso? Ciò che ci fa conoscere un aspetto meta-professionale di Felice, se così si può definire: un robustissimo rompiscatole, intendendo il termine nel senso di uno col radar verso qualsiasi cosa che poco poco non va come dovrebbe.

 Sono la curiosità e il cipiglio dei giornalisti veri. E del civismo vero, quello che non gira la testa e ci pensino gli altri. Il contrario, insomma, del cinismo ormai avvezzo a tutto e indifferente a tutto. Ché se da un posto qualsiasi una massa di persone esce in preda al panico, e un altro pugno di persone ci entra spericolato, questi sono i giornalisti. E Felice in testa.

 Ho parlato, come dovrebbe essere a questo punto chiaro, di Felice e non di de Sanctis (attenzione, con la «d» nobiliare minuscola, altrimenti si accende una pippa). Segno di un mio affetto conclamato per lui, figlio anche di suo padre Michele, il carissimo gentilissimo Michele col quale ho lavorato nei miei primi anni di professione. Il che non vuol dire che Felice non sia stato l’arma impropria di mie ondivaghe incazzature innescate dal suo carattere di attaccabrighe benigno. Ma lui è appunto un cavallo di razza di quelli che, se la vita che ci circonda tira a campare e fa finta, è meglio non incontrare. Finisci, come si dice, dritto dritto sul giornale.   

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