Storia di ordinaria burocrazia: errori e vessazioni del contribuente La sede dell'Ufficio all'Ufficio tributi
Quel povero ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non riuscendo ad immaginare una politica economica globale, nella situazione critica del Paese nel quale il governo Berlusconi ci ha precipitato, non sa far di meglio che ordinare agli uffi ci fi scali di raschiare il barile, pur di introitare qualche spicciolo in più, dopo aver gratifi cato gli evasori con condoni, scudi fi scali e quant’altro. La stessa cosa, immaginiamo, fa il suo allievo prediletto, sen. Antonio Azzollini, che impallatosi nella manovra fi nanziaria (cambiata ben 5 volte), ha fi nito poi per produrre uno strumento fi - nanziario non equo, che colpisce sempre gli stessi contribuenti e non permette all’Italia di venire fuori dalla crisi, immaginando entrate tributarie tutte ipotetiche e improbabili. La peggiore manovra degli ultimi trent’anni, e c’è pure chi ha il coraggio di vantarsene. Il nostro senatore ha anche la fortuna di avere il doppio incarico, esercitando anche il ruolo di sindaco di Molfetta e, anche qui, alle prese con i problemi di bilancio (che tra l’altro egli stesso ha creato con i tagli agli enti locali, previsti dalla manovra: chi aveva detto che era utile alla città avere un sindaco senatore, dovrà ricredersi, perché proprio lui, il Tonino nazionale, per obbedire a Tremonti, ha tagliato le risorse ai Comuni e quindi anche al nostro) magari ordina all’uffi cio tributi del Comune di tassare i cittadini anche per somme non dovute. Così accade che un povero contribuente possa ritrovarsi somme esorbitanti, senza ragione. Ma quel che è più grave è che lo stesso Uffi - cio Tributi del Comune di Molfetta, pur accorgendosi dell’errore, non è in grado in tempi brevi e facili (altro che semplifi cazione vagheggiata da quell’altro estemporaneo del ministro Brunetta!) di restituire le somme indebitamente sottrarre all’ignaro e malcapitato contribuente. Quella che stiamo per raccontarvi è una storia di ordinaria burocrazia (che guarda caso fa rima con follia): come il fi sco può torturare il contribuente onesto, magari perdendo di vista il vero evasore. E soprattutto vogliamo raccontarvi le disavventure del povero contribuente alle prese con i funzionari dell’uffi cio, nel disperato tentativo di avere giustizia e di recuperare la somma indebitamente sottratta, grazie al meccanismo dell’addebito in conto, sollecitato dagli uffi ci, ma che sconsigliamo vivamente quando gli uffi ci non sono in grado di fare i giusti calcoli, col rischio di impiegare mesi, se non anni per recuperare quelle somme già versate. Accade in questa città che un cittadino, rappresentante legale di un’associazione culturale senza fi ne di lucro, si veda recapitare un avviso di pagamento da in-equitalia per una tassa di smaltimento rifi uti, relativa al 2011, di oltre 25 volte superiore al dovuto. Dopo lo choc iniziale, il nostro malcapitato compaesano, cerca di esaminare con più attenzione l’avviso di pagamento che, stranamente non viene recapitato per raccomandata e viene letto quando erano già scaduti i termini di mora (ma per sua fortuna, o sfortuna, come vedremo, avendo l’addebito in banca, non è stato gravato di interessi). Così scopre di essere diventato anche titolare di un laboratorio di analisi della Asl, situato in Corso Fornari, indirizzo assolutamente diverso dal suo domicilio per il quale è tenuto a versare la tassa rifi uti. Così, diligentemente, anche se in uno stato di comprensibile agitazione, si reca all’uffi cio tributi in Corso Dante. Qui, due impiegati anche loro increduli, ma scettici su un possibile errore (il fi sco non sbaglia mai!), cominciano a smanettare sul computer per cercare di capire come sia stato possibile attribuire una tassa per un locale diverso e per un uso diverso dello stesso locale, soprattutto in presenza di due codici ovviamente diversi. In mancanza di risposte certe, nasce un’inevitabile discussione fra le parti. Dopo lunghi, interminabili minuti l’unica risposta che i dipendenti riescono a dare al povero contribuente, è che, se di errore si tratta (mai ammettere un errore davanti alla vittima!), è dovuto al computer che, inspiegabilmente (anche i computer non sbagliano mai) ha attribuito al contribuente due codici diversi per due domicili diversi. Ma, per evitare brutte fi gure, i due impiegati si riservano il diritto di esaminare con calma la questione, anche perché chi ha preparato materialmente l’avviso di pagamento è in ferie. Così prendono una decina di giorni di tempo e il numero di telefono del contribuente, assicurando che, se di errore si fosse trattato, lui sarebbe stato tempestivamente informato e immediatamente rimborsato. Alle lamentele dell’interessato i due rispondono che si tratta di una caso eccezionale, mai capitato loro in decenni di carriera. Trascorsi inutilmente oltre i 10 giorni previsti, il contribuente decide di tornare all’uffi cio tributi, dove, però, il malcapitato scopre che i due impiegati sono entrambi in ferie e quindi il loro sostituto deve esaminare a sua volta la pratica. A questo punto la vittima del fi sco, decide di risolversi direttamente al direttore dell’uffi cio che, gentilmente, in pochi minuti risolve il problema: l’errore c’è perché l’ambulatorio di analisi ha fornito lo stesso codice fi scale del contribuente. Incredibile: come ha fatto ad averlo, non essendoci alcun rapporto fra i due? Ha sbagliato l’impiegato della Asl nel digitare il codice oppure lo ha fatto dolosamente per evitare la tassa? Questo il grande dilemma, al quale il povero direttore dell’uffi - cio non è in grado di rispondere, ma comunque accerta che l’errore è evidente e quindi va predisposta la restituzione della somma indebitamente percepita. Ma il funzionario scopre anche che la somma è stata indebitamente caricata anche sul 2010, tutta colpa del povero contribuente che non ha controllato l’estratto conto. Viene stampato anche un documento che attesta il credito del contribuente e col quale sarà possibile ottenere il rimborso recandosi agli uffi ci di Equitalia. Dopo qualche giorno il nostro amico si arma di pazienza e si reca negli uffi ci di Equitalia, dove ha almeno la fortuna di trovarli completamente liberi dal pubblico e mostra, all’addetto allo sportello, il documento dell’uffi cio tributi. L’impiegato si rifi uta di prendere in considerazione la richiesta perché è necessario prima ritirare il biglietto di prenotazione: ma, si chiede il contribuente, a cosa serve se il locale è vuoto e non c’è nessuno prima di lui. Osservazione inutile, la burocrazia è la burocrazia e il biglietto è obbligatorio. Quanta pazienza serve ai cittadini… Dopo un’occhiata veloce, arriva la sentenza dell’impiegato: lei è iscritto alla Camera di Commercio? Naturalmente no, rappresentando un’associazione culturale. Allora come fare? Qui le cose si complicano: non è possibile riaccreditare la somma in banca, se non passando attraverso gli uffi ci centrali e, per ottenere il mandato di pagamento occorre far autenticare una copia dello Statuto e l’ultimo verbale di assemblea e consegnarli a Equitalia. E gli interessi per aver sottratto una somma indebitamente? Noi non li diamo, dicono a Equitalia, rivolgersi all’Uffi - cio tributi, che dovrà fare anche il calcolo. Finita la disavventura? Macché, sul prossimo numero la seconda puntata delle vessazioni del contribuente. Ma ci chiediamo: quanti errori come questo vengono commessi, magari per somme molto inferiori e che passano sotto silenzio? Ci rivolgiamo all’assessore competente e al responsabile dell’Uffi cio tributi: non credete che sia necessario comminare una sanzione a chi ha sbagliato, causando danni e disagi al cittadino?