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Sotto il piombo nazista a Rodi, Coo e Lero e nei gorghi dell'Egeo Frammenti di storia
15 novembre 2013

Dopo la resa dei reparti italo-tedeschi in Tunisia, il 13 maggio 1943 la guerra in Africa era finita. L’11 giugno Pantelleria e Lampedusa vennero conquistate dagli angloamericani. Il 9 luglio gli alleati sbarcarono in Sicilia. Il 21 luglio gli americani occuparono Castelvetrano e Corleone, mentre nel settore inglese la 1ª divisione canadese entrava di notte in Leonforte. Nello stesso giorno Rommel partì dal suo quartier generale in Baviera per andare a ispezionare le difese dell’Asse in Grecia e nell’Egeo. I tedeschi temevano un nuovo sbarco alleato proprio in quell’area. Il 22 luglio morì a Rodi Egeo il caporal maggiore molfettese Sergio Patruno di Domenico e Cosma Stoia, di 23 anni. Il verbale di decesso abbina il suo nome alla cassettaossario n. 86. I suoi resti saranno poi traslati a Molfetta. Il 25 luglio Mussolini fu arrestato e gli subentrò come capo del governo il maresciallo Badoglio. Il 2 settembre perì a Rodi il trentacinquenne marò molfettese Giuseppe De Vincenzo di Vincenzo e Gaetana Mastropierro. Il giorno dopo morì nel Dodecanneso, a Lero o a Rodi, un altro molfettese, il soldato trentenne Saverio Gadaleta di Luigi e Francesca Scardigno. Il 3 settembre, alla presenza del comandante in capo degli alleati Dwight Eisenhower, il generale Giuseppe Castellano e il generale americano Walter Bedell Smith firmarono l’armistizio di Cassibile, che per alcuni giorni venne mantenuto segreto. Il 7 settembre i tedeschi sbarcarono nell’isola egea di Scàrpanto, contrastati tenacemente dai reparti italiani. Fu probabilmente in questo scontro che perì in Egeo l’8 settembre un altro fante di Molfetta, il ventunenne Francesco Gadaleta di Sebastiano e Lucia Pappagallo. L’8 settembre 1943, alle ore 16:30, Radio New York anticipò la notizia dell’armistizio con l’Italia. Alle 19:45 anche Badoglio annunciò alla radio la fine delle «ostilità contro le forze anglo-americane», aggiungendo che le forze italiane «però reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza», senza nominare esplicitamente i tedeschi. Prive di ordini chiari e precisi, in molte località le truppe italiane finiranno per sbandarsi. Il comunicato radio di Badoglio venne captato anche a Rodi, cogliendo impreparati i vertici militari e le truppe. L’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, comandante in capo dei reparti italiani dell’Egeo e governatore in Rodi del Dodecaneso, delle Cicladi e delle Sporadi settentrionali, trasmise a tutte le isole egee il proclama di Badoglio e decise di mantenere i reparti fermi nelle proprie posizioni, per evitare in quel frangente scontri pericolosi fra italiani e tedeschi. A sua volta, il contrammiraglio Carlo Daviso di Charvensod, comandante della zona militare marittima delle isole italiane dell’Egeo, ordinò alle imbarcazioni presenti in mare di dirigersi a Lero, lasciando però a Rodi le tre motosiluranti e il Mas di stanza nell’isola. Contemporaneamente allertò le batterie costiere, le unità navali presenti a Rodi e la forza da sbarco della Marina, comandando di opporsi con le armi a qualsiasi azione violenta dei tedeschi. Campioni ingiunse poi al generale di corpo d’armata Arnaldo Forgero, comandante militare dell’isola di Rodi con sede sul Monte Profeta Elia, di contattare il comandante tedesco per esortarlo a non impartire ordini che avrebbero potuto determinare la reazione italiana. Forgero, allora, alle 21 invitò a colloquio il gen. Ulrich Kleemann, comandante della divisione corazzata d’assalto “Rhodos”, sbarcata tra l’aprile e il maggio del 1943 a Rodi col pretesto ufficiale di rinforzare la guarnigione italiana contro attacchi nemici. I due decisero che le rispettive truppe dovevano conservare le posizioni fino a nuovo ordine e che ogni atto di ostilità avrebbe provocato una pronta reazione. I militari e gli addetti italiani su tutta l’isola erano circa 37.500, con 46 batterie, 9 sezioni autonome di artiglieria, un raggruppamento di artiglieria contraerea e 8 batterie costiere della Regia Marina prive di stazione radio. Invece le forze tedesche ammontavano a 6-7.000 soldati con 25 panzer IV, 150 blindati, 100 pezzi di artiglieria, 60-70 mortai e alcuni semoventi. Verso le 22 il gen. Kleemann lasciò il comando di Monte Profeta e tornò al suo comando di Fontoclì. In realtà il suo dovere era obbedire alle direttive dell’Operazione Achse (Asse), voluta da Hitler fin dal maggio 1943 in previsione della caduta del fascismo e di una defezione italiana. Il suo compito era di attuare il Piano Konstantin, cioè di occupare posizioni strategiche dell’isola per aver ragione degli italiani e poi disarmarli, e per questo aveva allertato i reparti tedeschi fin dalle 20:15. A mezzanotte il gen. Kleemann si recò nuovamente dal gen. Forgero al comando di Monte Profeta. Con foga gli disse che i precedenti accordi dovevano essere modificati, poiché solo l’Italia aveva firmato l’armistizio, mentre per la Germania la guerra continuava e questo presupponeva per i suoi reparti libertà di movimento nell’isola e il controllo degli aeroporti per contrastare un probabile sbarco inglese. La risposta fu negativa. Quando Kleemann lasciò il comando italiano erano all’incirca le ore 0:30 del 9 settembre. Fu allora che impartì l’ordine a due suoi gruppi corazzati di occupare gli aeroporti di Maritsa e Gadurrà, rispettivamente verso il nord e il litorale centrooccidentale dell’isola. Forgero intanto aveva avvisato Campioni della richiesta del comandante tedesco, ma l’ammiraglio replicò di non volere che gl’italiani provocassero per primi un incidente. Così, quando il col. Capigatti, comandante del Settore San Giorgio, telefonò al gen. Forgero chiedendogli se doveva colpire con le sue batterie la colonna blindata tedesca che aveva raggiunto l’aeroporto di Maritza, Forgero rispose che il governatore riteneva opportuno «lasciarli fare», considerato che i tedeschi non avevano fatto violenze. Alle 2:15 del 9 settembre il Comando Supremo italiano trasmise a Egeomil (il Comando Superiore delle Forze Armate in Egeo) un telegramma, il quale riassumeva un promemoria che non si era potuto consegnare a mano all’amm. Campioni. Il telegramma diceva che Egeomil era libero di assumere verso i tedeschi l’atteggiamento ritenuto più conforme alla situazione. Qualora si prevedessero atti di forza dei germanici, occorreva procedere al «disarmo immediato delle unità tedesche nell’arcipelago ». Egeomil passava dalle dipendenze del Gruppo Armate Est in Tirana alle dirette dipendenze del Comando Supremo Italiano. Tutte le truppe italiane dovevano reagire sùbito ed energicamente, «senza speciali ordini», a ogni violenza armata tedesca e della popolazione locale, per evitare di «essere disarmati e sopraffatti». Tuttavia non doveva «essere presa iniziativa d’atti ostili contro i germanici». Mentre verso le 3:30 del 9 settembre Kleemann, Campioni e Forgero erano a colloquio, una telefonata avvertì che un gruppo corazzato germanico era entrato nell’aeroporto di Gadurrà. Ne nacque un diverbio fra i tre, ma Kleemann, davanti a un ufficiale italiano interprete, chiamò al telefono il comandante del gruppo d’assalto intimandogli di uscire dall’aeroporto. Il gruppo corazzato eseguì alla lettera il comando, ma si fermò negli immediati paraggi. Alle 7:10 il perfido Kleemann, tornato al suo quartier generale di Fondoclì, inviò al Comando del Gruppo Armate Est un trionfalistico radiogramma: «Aeroporti Maritza e Gandurrà saldamente in nostre mani». I reparti italiani erano così privati di copertura aerea. Nella mattina del 9 settembre il gen. Forgero indisse una riunione di tutti i comandanti di settore a Monte Profeta, ma la riunione si ridusse a un inconcludente vaniloquio. Kleemann, invece, proseguì nell’attuazione del Piano Kostantin. Verso mezzogiorno cominciarono gli attacchi tedeschi contro gli italiani, che risposero al fuoco. Alle 13:30 i tedeschi circondarono e catturarono a Campochiaro (oggi Eleoússa) l’intero comando della 50a divisione di fanteria “Regina”, incluso il comandante gen. Michele Scaroina, e poi distrussero la rete comunicativa italiana, provocando l’isolamento quasi totale dei reparti dislocati nei cinque settori di Piazza di Rodi (nord), Calitea (nord-est), San Giorgio (nord-ovest), Càlato (est) e Vati (area rimanente). Nonostante ciò, parecchi reparti italiani, in particolar modo un battaglione del 309° reggimento di fanteria agli ordini del maggiore Anacleto Grasso, ingaggiarono con i tedeschi una serie di intensi combattimenti, facendo ben 200 prigionieri. Accadde però che numerosi prigionieri germanici accompagnati per detenzione nelle diverse caserme, furono liberati e riarmati per ordine del Comando Superiore Italiano tra l’indignazione dei soldati che li avevano catturati. Il 10 settembre, fin dalle prime ore del mattino, un gruppo di mezzi tedeschi si mosse verso Maritza, ma venne contrastata dall’artiglieria di Monte Paradiso e Monte Fileremo, dove c’erano reparti isolati del Regio Esercito. Nel pomeriggio la batteria “Majorana” del Monte Smith, che stava colpendo mezzi corazzati nel campo d’aviazione di Maritza, rispose al fuoco di alcuni pezzi nemici e, con i serventi della batteria “Melchiori” di Kalithea e alcuni mortai dell’esercito, distrusse la postazione nemica, perdendo sei uomini, ma provocando parecchi morti fra i tedeschi. Poi gli eventi volsero al peggio: a notte i nazisti conquistarono le posizioni sui monti Paradiso e Fileremo, trucidando dopo la resa gli eroici difensori, e presto ebbero il sopravvento in altri luoghi. Durante la notte a Campioni giunse la brutta notizia della capitolazione dei reparti italiani in Grecia e a Creta. L’11 settembre, verso le 7, incursioni aeree tedesche colpirono ripetutamente la batteria “Majorana” e la stazione radio della Marina, rendendola inservibile. Intorno alle 8 arrivò un ufficiale della divisione “Regina” scortato da un ufficiale della “Rhodos”. L’italiano recava un messaggio del gen. Scaroina, che chiedeva di consentire la fine degli scontri in atto nel sud dell’isola di Rodi, ma Campioni rispose che i combattimenti dovevano proseguire in attesa di incontrare il gen. Kleemann. Alle 10:30 altri due ufficiali tedeschi notificarono al Comando italiano le condizioni di resa dettate dall’Oberkommando der Wehrmacht, ossia la cessazione delle ostilità in tutta l’isola, il rilascio dei prigionieri tedeschi e la resa senza condizioni dei reparti italiani. Fu aggiunto pure che le decisioni definitive sarebbero state concordate con Kleemann e che se il governatore non avesse deciso entro mezz’ora, sarebbe stato ordinato un attacco aereo sulla città di Rodi. Campioni fece il punto della situazione con il suo stato maggiore. Considerando la critica situazione militare, l’impossibilità di ricevere aiuti dagli inglesi, nonostante la missione del maggiore Julian Antony Dolbey paracadutato a Rodi nella notte tra il 9 e il 10 settembre, e per evitare anche la morte di civili, si decise di intavolare le trattative per la resa. Alle 15:30 il governatore, il gen. Forgero e il contrammiraglio Daviso si recarono presso Rodi per incontrare Kleemann. Alla fine della riunione si stabilì che Campioni avrebbe continuato a ricoprire la sua carica, i reparti italiani sarebbero rimasti intatti ma disarmati, il comando tedesco sarebbe rimasto fuori dalla città di Rodi e nessuna loro unità vi sarebbe entrata, tranne che per esigenze particolari. I soldati italiani accolsero male la notizia della resa, anche perché in alcuni casi avevano rintuzzato efficacemente gli attacchi tedeschi. Negli scontri del 10 e 11 settembre 1943, durante la battaglia di Rodi, gli italiani ebbero 214 feriti e 152 caduti. Tra questi vi furono alcuni molfettesi, tutti o quasi tutti marò: il fuochista scelto Sergio Aurora di Corrado e Isabella Corrieri, morto il 10 settembre a 26 anni; Nicolò De Cesare perito l’11 settembre a 21 anni; il motorista Leonardo De Gennaro di Saverio e Maria Messina, deceduto l’11 a 23 anni, e il fuochista Mauro Messina di Mauro e Rita Magarelli, morto pure l’11 settembre a 20 anni. I militari italiani disarmati a Rodi furono 37.134. Dopo aver obbligato l’amm. Campioni a ordinare la resa delle truppe italiane a Scàrpanto, sotto la minaccia di un attacco aereo, Kleemann, divenuto comandante di Rodi, tentò di fare lo stesso con Lero e Coo, ma questa volta Campioni non diede alcun ordine. Hitler il 18 settembre ordinò lo sgombero degli italiani da Rodi e dal Dodecanneso. Gradualmente tutti gli ufficiali superiori italiani vennero fatti evacuare con un ponte aereo. Campioni, arrestato il 18 settembre, sarà deportato in Germania e finirà fucilato il 24 maggio 1944 dai repubblichini di Salò. Riuscirono a fuggire da Rodi circa 1580 militari, ma vi furono 6520 dispersi e vennero eseguite dai tedeschi non meno di 90 fucilazioni, 40 delle quali senza processo. Tra i militari disarmati, i tedeschi riuscirono a trovare dei volontari: 50 uomini della milizia portuaria e 250 militi della 201a Legione Egea “Conte Verde” della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, comandata dal console Vito Casalinuovo. Una parte scelse la collaborazione con i tedeschi e venne incorporata nella Whermacht. Le camicie nere, invece, decisero di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Casalinuovo sarà fucilato a Dongo il 28 aprile 1945 con altri gerarchi fascisti. La sera del 22 settembre 1943 uscì dal porto di Rodi la motonave mista Donizetti di 2428 t, catturata in Grecia dai tedeschi, con a bordo 1835 militari italiani (600 avieri, 1110 marinai, 114 sottufficiali e 11 ufficiali) o, secondo la Wehrmacht, 1584 uomini, tutti ignobilmente ammassati e destinati all’internamento in Germania. La Donizetti era scortata dalla silurante germanica TA 10 di 900 t. A sud delle coste orientali dell’isola di Rodi la motonave e la scorta furono avvistate dai cacciatorpediniere inglesi Eclipse e Fury e cannoneggiate massicciamente verso l’1:10 del 23 settembre. Mentre la silurante si arenò sugli scogli di Prassonisi ed ebbe alcuni superstiti, la Donizetti affondò rapidamente al largo di Capo Prasso trascinando nei gorghi tutti gli uomini che trasportava. Tra i morti ci fu anche il molfettese Alessandro Giancaspro di Francesco e Dorotea Germinario, sottocapo della Regia Marina di 34 anni. Dopo questa tragedia va registrato il decesso del soldato molfettese Giuseppe Minervini di Gennaro e Angela Maria Messina, morto a Rodi il 12 ottobre. Dopo l’8 settembre 1943 la situazione si era fatta preoccupante anche a Lero. Qui il comando era affidato al capitano di vascello Luigi Mascherpa, che assumerà di sua iniziativa il titolo di comandante della Marina dell’Egeo e funzioni di ammiraglio, che gli saranno riconosciute il 20 settembre dal Comando Supremo Italiano. In questi momenti convulsi, l’11 settembre spirò a Lero il marò ventunenne Vito Abbattista di Francesco e Nicoletta Salvemini. Il 13 settembre i tedeschi, via radio, offrirono a Mascherpa la resa a «condizioni onorevoli », ma il comandante rifiutò e si preparò alla difesa. Sull’isola c’erano 5500 marinai, circa 1000 soldati con armamento antiquato e 24 batterie con quasi cento cannoni di vario calibro sparse sulle alture di Lero. L’ammiraglio ebbe contatti con gl’inglesi, che lo esortarono a resistere, promettendo al più presto l’invio di soccorsi. Gli aiuti giunsero nei giorni 16, 17 e 20 settembre con un migliaio di soldati della 234a brigata di fanteria di stanza a Malta e altri reparti agli ordini del gen. Francis Gerrard Russel Brittorous, alcuni dei quali vennero distribuiti sulle isole circostanti. Brittorous, che dal 1° novembre sarà sostituito dal gen. Robert Tilney, lasciò a Mascherpa il comando delle truppe italiane e i poteri civili. Giovandosi delle forze che si erano disimpegnate dopo l’eccidio di Cefalonia, i tedeschi, al comando del gen. Friedrich Wilhelm Müller, il 26 settembre iniziarono l’Operazione Leopard con un bombardamento aereo quasi ininterrotto, affidato a rotazione a 1190 velivoli per la distruzione sistematica delle batterie di Lero. La difesa contraerea fu sostenuta solo dagli italiani, che abbattettero non meno di 200 bombardieri tedeschi sotto un diluvio di bombe. La mattina del 3 ottobre cominciò l’Operazione Eisbär (Orso polare). Un convoglio germanico scortato da tre cacciatorpediniere sbarcò a Coo una divisione di fanteria e altri reparti senza incontrare contrasto navale o aereo da parte inglese. In due giorni le truppe britanniche e italiane vennero sopraffatte con la perdita dell’isola e del suo aeroporto. Tra il 4 e il 7 ottobre, presso la palude di Linopoti, i nazisti trucidarono 103 ufficiali italiani prigionieri. Il 22 ottobre erano in mano ai tedeschi tutte le isole intorno a Lero, che venne così a trovarsi completamente assediata. Il 15 novembre il gen. Tilney si arrese. Dopo aver subìto 329 bombardamenti aerei e aver perduto 1.600 soldati battutisi eroicamente, dopo 52 giorni di battaglia Mascherpa ordinò la resa alle 18:30 del 16 novembre 1943, ma i combattimenti di reparti isolati proseguirono nella mattina del 17. I soldati e i marinai italiani catturati a Lero saranno inviati per deportazione in Germania. Mascherpa sarà fucilato il 24 maggio 1944 a Parma insieme all’amm. Campioni. In un’ennesima tragedia del mare perirono altri due molfettesi. Si trovavano sul vecchio piroscafo Oria di 2217 t, salpato alle 17:40 dell’11 febbraio 1944 da Rodi e diretto al Pireo. A bordo vi erano 90 tedeschi di guardia o in transito, l’equipaggio norvegese e, stivati fino all’incredibile, 4046 prigionieri italiani destinati ai lager germanici (43 ufficiali, 118 sottufficiali e 3885 soldati, che dopo l’armistizio si erano rifiutati di aderire alle schiere naziste o alla Repubblica Sociale Italiana). Il 12 febbraio, travolto da una terribile tempesta, il piroscafo, dopo essersi schiantato contro lo scoglio di Medina presso Capo Sounion, a 25 miglia dal porto di arrivo, si spezzò in due. In pochi minuti affondò di poppa, lasciando emersa la prua nei bassi fondali prospicienti l’isola di Goidano (Gaiduronisi o Patroklos). I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni del tempo, arrivarono nei giorni seguenti e permisero di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco e 5 uomini dell’equipaggio, inclusi il primo ufficiale di macchina e il comandante Bearne Rasmussen. I cadaveri di circa 250 naufraghi spiaggiati furono inumati in diverse fosse comuni. Tra questi fu sepolto il soldato trentunenne Damiano De Virgilio di Francesco e Maria Saveria Modugno. Nel naufragio morì anche il soldato ventitreenne Girolamo Marino di Mauro Giuseppe e Maria Luigia De Pinto. Apparteneva al 35° raggruppamento di artiglieria da posizione costiera di Rodi.

Autore: Marco I. de Santis
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