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SOS Ospedale: si rischia la chiusura. Una storia infinita Fra tagli previsti e annunciati si vive in una situazione di incertezza
15 gennaio 2002

Tempi duri per molti ospedali italiani, definiti dal ministro della Salute Girolamo Sirchia semplicemente “indecenti” o, tutt’al più, “luoghi di ricovero alla buona, incapaci di fornire prestazioni davvero utili”. Tempi duri anche per l’ospedale di Molfetta, lo stesso che visitammo alcuni mesi fa e che ci sembrò pieno di promesse e premesse, malgrado fosse afflitto da tempo da dicerie e accuse di ogni tipo, su presunte inefficienze. In realtà, come scrivemmo, la struttura si presenta di buon livello sul piano strutturale. Ma, ci chiediamo, a che serve avere reparti nuovi, stanze con aria condizionata e bagno se poi sono destinate a restare vuote o a non garantire l’assistenza, quantomeno per mancanza di personale? La momentanea sospensione dell’attività nei reparti di ostetricia e ginecologia e pediatria ha creato polemiche e reazioni varie in gran parte della popolazione e della stampa. In una situazione aziendale pubblica di grande difficoltà, dove sembra essere vero tutto ma anche il contrario di tutto, il palleggio delle responsabilità, i tentativi di insabbiamento, le accuse reciproche e, nello stesso tempo, una inutile solidarietà di categoria, di tipo formale più che sostanziale, contribuiscono soltanto a definire uno scenario fatto di luci ed ombre che, accanto alla professionalità e al rigore, vede spesso anche situazioni “patologiche”. Non dimentichiamo che, proprio in questo ospedale, alcuni anni fa, scoppiò il caso di una ginecologa che si scoprì non essere provvista del titolo di laurea pur esercitando da tempo l’attività all’interno della struttura: casualità, superficialità o che altro? Noi, come sempre, ci discostiamo dal coro ed, in qualità di giornalisti, preferiamo seguire una strada tutta nostra , limitandoci a “fotografare” la realtà, ad osservarla in maniera obiettiva, lasciando parlare gli operatori sì, ma anche gli utenti, la cosiddetta gente comune della quale facciamo parte e a cui non si può negare il diritto alla salute, inteso come possibilità di accesso al servizio sanitario senza che esso venga ostacolato da intoppi burocratici, amministrativi o di altro genere. Addio al reparto di ginecologia Subito dopo le feste di fine anno, verso le 11,30, l’ospedale sembra quasi deserto. Non brulica di visitatori soprattutto il reparto di ostetricia e ginecologia in cui regna un silenzio insolito e dove, in genere, le visite dei parenti sono improntate a manifestazioni esteriori di gioia e di entusiasmo nel salutare le nuove nascite. La chiusura di questo reparto sembra quasi emblematica e significativa per l’intero ospedale, ma la legge, a riguardo, parla chiaro: al di sotto dei 600 parti all’anno esso non ha ragione di esistere e nel 2001 qui ne sono avvenuti solo 144. Le ragioni? Senz’altro lenta riduzione della natalità nel tempo (attualmente a Molfetta nascono circa 500 bambini all’anno), ma anche carenza di personale dovuta al blocco delle assunzioni regionali e, quindi, impossibilità di effettuare turni regolari da parte di ostetrici ed infermieri. Questo, naturalmente, influisce in maniera negativa sulle prestazioni e l’assistenza clinica alle gestanti che, dirottate anche da medici di base “imbonitori”, oltre che da una cultura imperante, fortemente radicata, di naturale diffidenza verso il nosocomio cittadino, scelgono soluzioni tradizionalmente alternative: la struttura privata convenzionata, che opererebbe da sempre in regime di proroga, Villa Giustina; l’ospedale di Terlizzi, il Policlinico di Bari. Un dato significativo: solo nella prima avvengono circa 300 parti all’anno, senza contare i vari tipi di intervento che qui si effettuano, come ad esempio le isterectomie, e che costano alla Sanità intorno ai tre milioni. Una valanga di soldi pubblici, dunque, che va a finire nelle tasche di privati. Ci si chiede perché la direzione sanitaria della Ausl Ba/2, che esercita funzioni di vigilanza e controllo, permetta che continui ad espandersi e a operare una struttura sanitaria privata di piccole dimensioni, con spazi ristretti, a discapito di un pubblico ospedale che appare allineato con i migliori del centro-sud per sicurezza igienica, funzionamento delle strutture di pronto soccorso, sale operatorie e messa a norma dell’edificio? Le ragioni di tutto ciò sono tante, datate nel tempo, ma nessuno riesce, forse perché non vuole, ad elencarle. Una, di sicuro la più importante, è, a detta di molti, che questo reparto è stato per troppo tempo lasciato a se stesso, senza una guida o una direzione precisa, da quando andò via il primario dott. Michele Giannelli. Il primario attuale, dott. Milillo, che proviene dalla Seconda Clinica Ostetrica di Bari ed ha alle spalle una lunga carriera di amministratore pubblico (è stato sindaco di Giovinazzo per 15 anni) racconta che, dopo aver presentato una prima domanda di concorso nel 1990, fu costretto a ripresentarne una seconda nel 1999 (cosa era accaduto, intanto, in questi nove anni?) e che, quando prese servizio, il 16 marzo dello stesso anno, “la situazione del reparto era disastrosa, mancava soprattutto il rispetto per i malati e la vita umana”. Personale insufficiente La pianta organica qui prevede cinque medici ma pare che due, qualche anno fa, scelsero di andare all’ospedale di Bisceglie, dove avvengono circa 600 parti all’anno malgrado l’ospedale non sia molto attrezzato dal punto di vista recettivo e strutturale, sono stati mandati anche molti infermieri. Ci si chiede ancora: non è un controsenso affermare che c’è carenza di personale e poi inviarlo in un’altra struttura? Secondo la legge occorrerebbero 5 unità per ogni posto letto, in questo ospedale pare ce ne sia una per ogni reparto di 40 posti letto. Attualmente in Ostetricia sono garantite prestazioni di tipo ambulatoriale (visite, prescrizioni di esami, controllo della gravidanza, ecc.) e si affrontano “le emergenze” che vengono poi smistate nei vari ospedali della zona. Anche su questo ci sarebbe molto da dire perché, secondo il dott. Sergio Leone, “gestire un’emergenza, in una situazione di reparto così precaria, richiede preparazione, tempismo, conoscenza delle possibilità recettive delle altre strutture”. Nel corridoio cerchiamo di avvicinare altri medici dai camici svolazzanti ma c’è molta diffidenza verso la stampa, gradita solo al varo di nuovi reparti o usata convenientemente per motivi celebrativi o commemorativi, tenuta buona spesso con semplici comunicati. Un’infermiera, l’unica presente, Nunzia Matarrese, che precisa di essere infermiera “professionale” e che lavora qui da 30 anni, ci accompagna in Pediatria dove riusciamo a parlare con la dott.ssa Rosanna Sabato che è in procinto di lasciare il suo lavoro qui per rivestire altri incarichi. Calo di nascite Il notevole calo di neonati (100 in meno nell’ultimo anno) e l’avvento della pediatria di base che tende a curare a casa i bambini ospedalizzandoli il meno possibile sono, secondo il suo parere, le principali ragioni della chiusura di questo reparto che, si auspica, venga sostituito con un servizio di guardia pediatrica associata a guardia medica. Qui ci sono 6 posti letto, non c’è mai stato un primario e la pianta organica prevede tre medici, cinque vigilatrici e 2 infermiere professionali. Ha funzionato per molto tempo anche un ambulatorio di allergologia e sono state attuate con successo terapie dell’Ospedaletto dei Bambini per curare varie patologie, in particolar modo le broncheopatie e convulsioni. A suo dire, manca il “contesto” per poter lavorare, vista l’atavica disaffezione dei cittadini molfettesi per questo ospedale. Di questa “atavica disaffezione” vogliamo renderci conto di persona, così parliamo con qualche visitatore. Signora Susanna Troisi, molfettese, residente a Giovinazzo: “Ho accompagnato qui mio marito per una visita dall’otorino. Sarei andata a Terlizzi, ma bisognava aspettare molto tempo. Ho avuto esperienze negative in questo ospedale per quanto riguarda i miei genitori. Signora Rosa Ferrieri, molfettese, residente a Ruvo: “Mia madre è stata ricoverata qui per una crisi epilettica. A Terlizzi non l’hanno accettata. Anche altre volte è venuta qui per problemi renali e ci siamo trovati bene”. Signora di 40 anni, casalinga, (non dice il nome): “Sono venuta a trovare un parente che si è operato di emorroidi. Questi sono gli unici interventi che possono fare qui…(ride)”. Due signore anziane, (non dicono il nome): “ Siamo venute per una visita specialistica, stiamo qui da stamattina. Chiuderanno l’ospedale? Come faremo? Non abbiamo la patente e i nostri figli hanno sempre da fare, non possono accompagnarci….” Anna, 50 anni, casalinga: “Sono venuta per il pap-test, lo faccio ogni anno. E’ vero che hanno chiuso il reparto? Dovrò chiedere al mio medico dove andare…” Paziente fermo davanti al reparto di Chirurgia: “Sono stato operato per, ehm…una fistola (deve essere quello che ha ricevuto la visita della signora di cui sopra). Ho sentito dire che stanno per chiudere l’ospedale. Come farò? Io vengo spesso qui per questo problema”. La moglie gli dà una gomitata nel fianco: “Non dire queste cose personali…..(la conversazione avviene in dialetto molfettese…) Poliambulatorio affollato Continuiamo la nostra piccola incursione e giungiamo nell’affollatissimo Poliambulatorio che, ci dice il dott. Michele De Biase, cardiologo, non ha nulla a che fare con l’ospedale e fa parte del distretto il cui primario è il dott. Gaetano Ruggeri. Qui vengono effettuate visite specialistiche di vario tipo (cardiologiche, dermatologiche, urologiche, ecc.) ed i tempi di attesa più lunghi si hanno per l’urologia e la cardiologia. L’ufficio ticket, dove funzionano 4 sportelli con orari differenti, è pieno di gente dalla faccia stanca e cupa. All’ufficio Contabilità l’operatrice Enza Farinola non è in grado di fornirci alcun dato a riguardo, perché “non facciamo conteggi quotidiani”, comunque pare che ci sia un afflusso giornaliero di 250 persone. La dott. Norma Mezzina, dirigente medico, conferma il carattere momentaneo della chiusura dei due reparti, in attesa di una decisione da parte della Regione che pare intenzionata a lasciare in piedi solo le strutture con un utilizzo superiore all’80%. Per il riordino della rete ospedaliera che avverrà in base alle esigenze ed alle singole realtà territoriali saranno senz’altro adottati, secondo lei, criteri univoci. Quali? “Appropriatezza del ricovero, indice di utilizzo dei posti letto, mobilità passiva”. Parole difficili da far capire alla gente comune. Le chiediamo cosa si auspica per questo ospedale che, se non chiuso, verrà senz’altro riconvertito. Risponde che potrebbe diventare un polo chirurgico- traumatologico visto che sotto questo aspetto è perfettamente attrezzato. Di sicuro non si trasformerà in un centro geriatrico come si vocifera da più parti. A chiusura di questo articolo che si è soffermato solo su alcuni aspetti della questione per ragioni di tempo e di spazio vorremmo ricordare ai lettori che abbiamo anche parlato a lungo con il presidente del Tribunale dei Diritti del Malato, il prof. Vitangelo Solimini e con alcuni volontari della sezione di Molfetta che ha sede proprio nell’ospedale. Li ringraziamo per la collaborazione e promettiamo di occuparci dell’argomento in uno dei prossimi numeri. Non ringraziamo, invece, il nostro sindaco cittadino Tommaso Minervini, da cui avremmo voluto avere una dichiarazione a riguardo e che, nonostante le nostre sollecitazioni, ha preferito rimanere muto ed assente. Sono andati a vuoto i tentativi di contatto telefonici sia presso la sua abitazione che attraverso la segreteria comunale dove un certo signor Mimmo Introna, al quale abbiamo lasciato il nostro recapito, ci ha promesso che “avrebbe senz’altro richiamato”. Inutilmente. Ci limitiamo a sottolineare che il senso di inadeguatezza e la mancanza di credibilità che spesso offuscano l’immagine dei nostri amministratori politici sono generati proprio da comportamenti di questo tipo: latitanza nel momento del confronto, assenza di gesti e parole, incapacità di essere veri interlocutori nelle questioni grandi e piccole che riguardano aspetti concreti della vita degli elettori. Beatrice De Gennaro
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