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Silvia Romano. Aspetti psicosociali di un rapimento
Silvia Romano con la madre
16 maggio 2020

 Il volontariato internazionale rappresenta una delle maggiori risorse della cooperazione tra Paesi. Ogni anno circa 1,6 milioni di persone si mettono al servizio di un’Organizzazione.

In Italia sono circa 100.000 le persone che operano, con spirito di servizio e generosità verso i Paesi più poveri. Molto spesso sono giovani, come Silvia Romano, che hanno un forte senso di solidarietà e voglia di mettersi in gioco per vivere un’esperienza che li arricchisca interiormente.

 Questo comportamento virtuoso, di cui come italiani, dobbiamo essere orgogliosi, presenta purtroppo significative criticità.

Dopo la riforma sulla Cooperazione internazionale, infatti, che nel 2014 ha sostanzialmente riunito sotto un’unica etichetta il Terzo Settore: ONG, Onlus, Cooperative Sociali, Fondazioni ecc. per coloro che vogliono fare un’esperienza di solidarietà in ambito internazionale, il rischio è quello di operare per organizzazioni piccole e impreparate, che per prime mettono a rischio l’incolumità dei loro collaboratori.

Silvia che oggi ha compiuto 24 anni, era partita da Milano alla volta del Kenya, inseguendo i suoi sogni.

Si è laureata in mediazione linguistica e per mettere a frutto gli studi, è partita una prima volta, nel luglio del 2018, con l’ONG Orphan’s, rimanendo un mese in Africa. Colpita favorevolmente da questa esperienza, decise di ritornare, con un progetto a sostegno dell’infanzia con l’ONG Milele.

Il 20 novembre 2018 viene purtroppo rapita nel villaggio di Chakama a 80 km da Malindi, in Kenya.

Sei uomini entrano nel suo alloggio e la portano via, scappando a bordo di alcune moto che poi verranno ritrovate sugli argini di un fiume.

Si pensa da subito ad un rapimento a scopo di estorsione, Silvia infatti viene ceduta ai Somali e poco dopo il rapimento le viene fatto oltrepassare il confine verso questo Paese.

Un anno di silenzio, ma poi forse già a fine novembre 2019, iniziano le trattative coperte da un doveroso riserbo.

Apprendere oggi dalla viva voce Ali Dehere, il portavoce di Al Shabaab, la temuta frangia terroristica affiliata ad Al Qaeda, che ha tenuto in ostaggio Silvia, che i soldi del riscatto pagato per liberarla andranno per finanziare la Jihad, suona come un’umiliazione verso lo Stato italiano.

Peraltro, le immagini di Silvia, dopo il suo rilascio, avvolta nell’abito caratteristico delle donne musulmane somale hanno fatto il giro del mondo e rappresentano la conversione dichiarata da Silvia, simbolica anche la scelta del verde il colore dell’Islam.

Appena rientrata in Italia, questa giovane ragazza, isolata e sola per lunghissimi 18 mesi, ha subito minacce e offese da parte di haters sui social, ma anche a Milano, la sua città.

Non solo, Onorevoli della Repubblica hanno accusato il governo italiano per essere stato presente come rappresentanza isitituzionale ad accoglierla, definendola una neo-terrorista di Al Shabaab.

Fortunatamente la Procura della Repubblica si è già messa al lavoro per individuare i responsabili delle intimidazioni, delle offese, delle parole di odio scagliate contro di lei e contro la sua conversione.

Per comprendere questa scelta religiosa è fondamentale provare a mettersi dal punto di vista di questa giovane donna, che con il suo spirito donativo, era andata in Africa, per aiutare i bambini, ultimi della terra e si è ritrovata prigioniera di uomini molto pericolosi e armati, dai quali poteva essere anche uccisa.

In psicologia è stato studiato un meccanismo psichico chiamato “Sindrome di Stoccolma”, la cui denominazione si riferisce a comportamenti realmente osservati durante una rapina in Banca avvvenuta a Stoccolma il 23 agosto 1973, fra il rapinatore e  le vittime.

I prigionieri furono liberati dopo sei giorni di convivenza con il loro rapitore.

Intervistate successivamente, le vittime mostrararono un senso di gratitudine verso il loro carceriere. Affermarono che era stato gentile con loro ed era come se avesse ridato loro la vita.

Noi riteniamo che quando Silvia Romano ha dichiarato di essere stata trattata bene, non intendesse certo dire, come qualcuno ha affermato, che era stata bene, ma esprimeva un senso di gratitudine verso i suoi rapiroti, per averla tenuta in vita, per non averla uccisa.

Da questo processo psicologico, chiamato anche; “identificazione con l’aggressore”, è possible comprendere la “scelta” di convertirsi all’islam.

È molto probabile che la ragazza, per disinnescare qualsisi intento violento verso di lei, con un meccanismo implicito, attraverso la lettura del Corano, abbia deciso, in quella situazione di costrizione, di convertirsi.

Solo il tempo ci dirà se questa scelta possa diventare oggi una scelta attiva, consapevole e permanere, piuttosto che essere rivista nel tempo, quando tutta la sua vita tornerà alla normalità.

Un altro fattore che con probabilità ha concorso alla conversione è senz’altro anche l’isolamento sociale e la mancanza di qualsisi contatto con suoi connazionali.

L’isolamento è una delle forme più terribili di violenza psicologica. Il rischio di perdere il senso dell’orientamanto, del tempo e della realtà è molto elevato.

Se Silvia fosse stata sequestrata malauguratamente con una sua collega, probabilmente questa conversione non sarebbe avvenuta.

Il fatto di essere prigioniera insieme ad una persona che si conosce, della stessa cultura, avrebbe rappresentato un fattore di protezione delle conseguenze drammatiche dell’isolamento.

Al di là di queste spiegaziani psicosociali, riteniamo che non sia concepibile in un Paese che vuol dirsi civile e avanzato, che la bella notizia della liberazione di una nostra connazionale, inneschi un attacco violento nei suoi confronti e sia strumentalizzata a fini politici e propagandistici, fino a calpestarne la dignità umana.

Ci auguriamo che i responsabili di questo odio ingiustificato, siano individuati e perseguiti.

 

LAURA VOLPINI PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

Docente di Psicologia Sociale Forense, Universita' degli Studi di Roma "Unitelma Sapienza".

 

MARIA GAIA PENSIERI

PhD Sociologa Criminologa, Docente di Sociologia Università Popolare degli Studi di Milano

 

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