“Siamo in trincea senza protezioni, spesso impotenti a combattere un nemico sconosciuto e pericoloso”
Abbiamo intervistato nei primi giorni dell’emergenza coronavirus un medico di base della nostra città, per capire le difficoltà di svolgere la sua funzione in una situazione difficile ed imprevista come questa. Dalle sue risposte emergono numerosi aspetti critici e difficoltà nello svolgimento quotidiano della sua funzione assistenziale e la disorganizzazione che ha colto di sorpresa anche gli operatori sanitari. «Ciò che, prima di tutto, è davvero inaccettabile è dover lavorare senza presidi di protezione, porto la stessa mascherina da quindici giorni, è l’unica che sono riuscito ad acquistare, puzza, non respiro bene, mi fa venire la tosse. Non siamo forniti di nulla, a che serve che ci acclamano, ci chiamano angeli e la considerazione verso di noi da dove si vede? Siamo alla mercé del virus! Ci vuole più sicurezza, non dico una mascherina al giorno ma almeno una a settimana» afferma con sconcerto e delusione il medico. Poi ci sono i pazienti, soprattutto gli anziani, non hanno compreso che non devono recarsi nello studio medico ma, purtroppo, ogni giorno ne arrivano, ad esempio per farsi misurare la pressione o per farsi prescrivere le medicine. Prima dell’epidemia l’affluenza era giornaliera ora si è ridotta, invece che venire ogni giorno, vengono a giorni alterni. E’ difficile frenare gli anziani che non sanno cosa fare, hanno tempo libero, sono abituati a uscire, a passeggiare e a fare le loro piccole commissioni quotidiane. Per loro il medico di base è una figura di riferimento, una tappa fissa. Prendono una medicina alla volta e poi vengono di nuovo, il giorno dopo. «Purtroppo ricevere è consentito, non riceviamo soltanto pazienti che presentano sintomi simil-influenzali – lamenta il medico –. I giovani comprendono, vengono in studio, leggono i cartelli, ma per gli anziani è difficile, non posso scrivere la ricetta telematica, non hanno il computer e se ne possiedono uno, non hanno la stampante. Anche il discorso di inviare i codici dei medicinali alla farmacia, per un loro ritiro senza passare dallo studio medico, non sta funzionando. Poi ci sono le persone da ricoverare ed è tutto fermo, tutto bloccato. Le difficoltà maggiori le abbiamo nella gestione dei pazienti cronici per cui è necessario svolgere continue analisi ed indagini. Sono pazienti abbandonati, si può andare avanti così per un mese ma è veramente difficile andare oltre perché i problemi sorgono. Una mia paziente anziana che si è rotta il bacino, ha dovuto aspettare oltre un’ora il 118. Un altro mio paziente urinava sangue, ma non per una banale cistite. E’ stato portato al pronto soccorso ma qui le visite ambulatoriali sono sospese, manca la routine, che non è meno importante. Le visite domiciliari vengono svolte solo per le urgenze più gravi, ma non certo a persone che accusano problemi respiratori, lì la gestione è prettamente del 118, mentre noi ci occupiamo del triage telefonico (triage, è un termine di origine francese, significa cernita, smistamento e serve per selezionare, in un ospedale tra più pazienti, quelli maggiormente più bisognosi di cure). Al telefono mi rendo conto dell’importanza della sintomatologia e se si tratta di un banale mal di gola o di un raffreddore normalmente i pazienti hanno già in casa i farmaci per curarsi». Infine, riferisce il dottore, sono state eliminate le A.D.P. ovvero le visite domiciliari programmate. I medici possono essere vettori del virus e trasmetterlo. Si trattava delle visite destinate a pazienti invalidi, immobilizzati, soggetti cronici ma che non si trovano in condizioni gravi. Eliminate anche le ADI ovvero le visite domiciliari per i pazienti che, invece, si trovano in condizioni critiche, pazienti a termine, intubati, con la peg ecc. «Tuttavia noi andiamo lo stesso da loro, anche se meno, perché ci aspettano, perché condividiamo da tempo particolari condizioni e stati d’animo, perché la nostra visita è per loro un appuntamento importante, un qualcosa che offre sollievo e vicinanza in situazioni difficili da vivere, anche per i familiari. A tutte queste difficoltà nello svolgimento del lavoro quotidiano poi vanno ad aggiungersi le ansie legate alla situazione più generale ma noi andiamo avanti, stringiamo i denti e andiamo avanti». Non c’è da meravigliarsi se, al momento di andare in stampa, i medici deceduti per coronavirus superano le 100 unità, ai quali si aggiungono gli infermieri e qualche farmacista. Eroi caduti nello svolgimento del loro lavoro, in spirito di servizio alla comunità. © Riproduzione riservata