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Scritti e discorsi di insegnanti nel 1907 - 1908 (con due note di Leonardo Azzarita)
15 gennaio 2013

Tra gli insegnanti in attività a Molfetta nel 1907, il Prof. Stefano Salvemini di Ignazio, “insegnante nella quarta classe elementare” nell’ a.s. 1906 – 1907 (v. R. Campanale, F. Montanari, M. Pisani, Storia della Scuola “A. Manzoni”, Molfetta 2012, p. 90) all’età di 36 anni (come nello Stato delle anime 1906 – 1907 della Parrocchia Cattedrale, in Archivio Diocesano, Molfetta), pubblicò, con la Tip. Michele Conte di Molfetta, l’opuscolo: Una imitazione dei “Suppositi” dell’Ariosto? Appunti e ricerche sulla commedia (pubblicata a Bologna, 1676) di un certo Nemiso Sasgri (pseudonimo di Simone Grassi, autore di molte altre commedie e di parecchie vite di Santi). Intitolata Il Visauro ovvero i Falsi Suppositi, la commedia è ambientata in Nidrosia, capitale della Norvegia, governata dal re Medone del quale è creduto figlio Visauro, che ama la sorella Fidalba, figlia dello stesso Medone, il quale quando apprende la notizia che Visauro non è suo figlio lo scaccia dalla corte. Colpito dal fatto singolare della somiglianza del titolo di questa commedia con quella dell’Ariosto (scritta nel 1507 – 1508) “stabilii di leggerla ed esaminarla attentamente”, egli scrive nell’Avvertenza, per decidere se l’autore, posteriore all’Ariosto, avesse o no imitato costui e se fosse riuscito originale nella compilazione della sua “regitragicommedia”. Dall’esame dei Suppositi dell’Ariosto, e del Visauro del Sasgri, risulta chiaramente, dice il Salvemini: 1) che della commedia dell’Ariosto il Grassi non ha imitato, pur modificando, che il titolo; 2) che nella trattazione della sua commedia egli si è servito di Plauto (Captivi) e di Terenzio (Eunuchus); 3) che, pur potendo riuscire più originale, il Grassi non ha fatto altro che presentarci i soliti caratteri, le solite situazioni che in qualche parte ha travisato. “A titolo di chiusura”, egli raccomanda a qualche studioso l’esame accurato di tutte le opere del Grassi, “esame che, data la sua copiosa produzione, potrebbe riuscire – scrive – proficuo ed importante”. In questo opuscolo (di cui vi è copia nella Biblioteca Comunale “G. Panunzio” di Molfetta, che ringrazio per le fotoriproduzioni qui pubblicate) sono elencati tre altri scritti dello stesso Autore, (impossibile a reperirsi), stampati nel 1907 dalla Tip. Conte: Di un cartulario del Monastero di S. Salvatore di Settimo. Ricerca diplomatico – paleografica, riguardante l’attuale Badìa a Settimo, in territorio di Scandicci (Firenze), nella Università del quale capoluogo il Salvemini si laureò qualche anno prima (v. “Quindici”, aprile 2011, p. 23); (Quintilianus Ist. Or. lib. 1° cap. 1° paragr. 5) Emendazione, riguardante probabilmente la modificazione di un brano del 1° libro delle Institutiones Oratoriae del pedagogista latino (n. in Spagna verso il 53 d.C.) che nel primo dei 12 libri della sua opera, che racchiudono il meglio della lunga esperienza di Quintilliano come rètore e come insegnante, tratta di pedagogia infantile e degli studi elementari ai quali deve essere educato il fanciullo; I metri classici nella poesia italiana e la strofe Alcaica nelle Odi Barbare di G. Carducci, riguardante evidentemente la forma metrica usata dal Poeta, morto il 16 febbraio 1907. *** In quella circostanza, a Molfetta, un Comitato cittadino organizzò una commemorazione per la morte del Carducci, che fu tenuta il 16 marzo da un giovane professore del Liceo – Ginnasio, Guido Sartorio, veneziano, nella grande sala del “Casino degli amici”, dove fu presentato dall’avv. Ilarione Poli, anima del Comitato presieduto dal sig. Pantaleo Nisio, presidente dello stesso Circolo, come riferisce il 19nne studente Leonardo Azzarita (sul quale v. “Quindici”, settembre 2011, p. 23) in “Corriere delle Puglie” (=CdP) dell’ 11 e nel resoconto (La commemorazione di Carducci), del 19 marzo 1907, in cui scrive: “il Prof. Sartorio … esordisce esclamando: Giosuè Carducci non è morto perché vive nell’anima del popolo d’Italia. Séguita parlando dei caratteri generali dell’opera carducciana e del suo valore nel tempo, affermando la sua continuità e la sua perennità. Discorre delle lotte e delle polemiche del Carducci, delle sue umili origini, della gioventù sua triste come l’infanzia per le domestiche sciagure; prosegue raccontando quale tumulto abbia sollevato il suo primo volume di versi e quanto plauso e quanto sdegno abbia suscitato il suo «Inno a Satana». Illustra il concetto che il Carducci ha di Satana ed afferma che in esso il poeta glorificò la Natura e la Ragione. Tratteggia le condizioni politiche dell’Italia d’allora e parla della figura del Carducci in quei tempi d’entusiasmo, di dolore, di sdegno, di sacrifizii. La passione politica del poeta viene eloquentemente illustrata dal Sartorio, che spiegando gl’ideali, le aspirazioni, i palpiti e gli amori del sommo poeta, assegna il giusto posto e l’adeguato valore al Carducci come politico. Bello il paragone fra la passione politica d’allora e quella attuale: l’una vibrante di sincerità, di patriottismo, di eroismo, l’altra inzaccherata del fango di ambizioni ignobili e delle mene vergognose. Parla e declama dei Giambi ed Epodi, ne illustra il carattere, ne dice l’origine, il contenuto, il significato. Discorre del Classicismo così come Carducci l’intese, cioè un ritorno al passato, non vacuo esibizionismomo del poeta e del suo vero significato; discorre delle odi barbare e dell’opera del Carducci come critico e storico della letteratura italiana. Parla pure del Ca Ira che definisce il tentativo epico più potente fatto in Italia e della donna, dell’irredentismo, degl’ideali nuovi, della miseria nella poesia carducciana. Conclude accennando alle Commemorazioni tenute dal Carducci e sopratutto a quella per Garibaldi, e dopo aver affermato essere il poeta il primo propugnatore della laicità della scuola quaranta anni or sono, nell’inaugurazione della sessione del Consiglio comunale felsineo, fa una magnifica chiusa inneggiando all’Italia ed a Roma, agl’ideali nuovi della vita e del lavoro, all’amore che il poeta nutriva per i giovani, al sentimento repubblicano del grande vate che molto ben si distingue da quella piazzaiuolo e gretto dei moderni, e termina inneggiando all’Italia forte, grande, libera, sogno di amore e di grandezza del glorioso cantore della Terza Italia”. In questa solennità – riferisce infine l’Azzarita – Giulio Cozzoli in poco più di cinque ore effigiò la testa leonina del poeta, cosicché questi rivisse nella creta del giovane scultore e nella conferenza del prof. Sartorio, che fu allievo di Francesco Flamini, professore di letteratura italiana all’Università di Padova, e nel 1899 scrisse la biografia del poeta veneziano (1801 – 50) Luigi Carrèr (v. G. Garollo, Dizionario Biografico Universale, Milano 1907), pubblicata l’anno dopo dalla Soc. Editr. D. Alighieri di Roma, e nel 1937 fu preside del Liceo - Ginnasio di Saluzzo. *** Due giorni dopo la morte del Carducci, il Preside del nostro Liceo, Giovanni Panunzio, dette “l’avviso o l’ordine” al prof. Giovanni Battista Ficorilli, che vi insegnava letteratura italiana, di tenere nell’Istituto un discorso sull’opera del poeta, che fu letto la mattina del 19 febbraio. In seguito alle “cortesi insistenze degli amici”, il Ficorilli pubblicò il discorso con la Tip. S. Lapi di Città di Castello, dove (mi informa l’amico prof. Marco I. de Santis con altre notizie sull’A.) aveva già pubblicato altri suoi scritti: Angelo Maria Ricci: la sua vita e le sue opere (1899), Arringhe quattro contro L. S. Catilina/M. T. Cicerone, nuovamente tradotte in italiano (1901), Il significato di alcune frasi e di alcune sentenze restituito: Appunti di letture (1901) e un altro (1901) con P. Bossi di Spoleto: Sei lettere di Cesare Cantù ad A. M. Ricci (un poeta di Rieti vissuto dal 1776 al 1880). Quando nel mese di aprile l’opuscolo sul Carducci vide la luce, ancora l’Azzarita, nel darne notizia in CdP del 16, (Carducciana), scrive: “La prosa robusta dell’egregio professore ha saputo abilmente, direi maestrevolmente ritrarre le condizioni della letteratura in Italia prima che la poesia carducciana prorompesse veemente innovatrice e restauratrice. Belle parole scritte per il Tommaseo, pel Bresciani, pel Mamiani, pel Ranaldi, pel Guerrazzi e finalmente pel Manzoni. Sul romanticismo del quale si dilunga alquanto facendo ripetuti e ben calzanti raffronti con l’opera e gli ideali di G. Carducci, di cui ben definisce il sentimento e l’ideale classico. Con molta competenza e dottrina l’autore parla dell’opera carducciana in relazione alla condizione delle lettere in Italia e della sua efficacia sui moderni avvenimenti della letteratura paesana. I frequenti riuscitissimi paragoni fatti dall’autore fra il Carducci e il divo tedesco W. Goethe, e quegli altri profondi e sottili per acume critico e per ardire sintetico fra il nostro Vate ed Arrigo Heine. Con sottigliezze psicologiche finissime parla del carattere e della costanza politica del poeta, e per quanto dissentiamo dall’opinione dell’autore in questo punto, pur ne ammiriamo l’industrioso artifizio psicologico e dialettico che dimostra l’acume critico e l’audacia delle vedute dello scrittore. Dall’Inno a Satana carducciano alla sua Ode alla Regina noi scorgiamo non come taluni un abisso ma una gobba, un’insenatura del cammino rettilineo del nostro poeta che non sottile e sapiente disquisizione psicologica può appianare. L’opuscolo merita un elogio per la sicurezza dottrinaria dell’autore, per la sua prosa robusta e forbita e per le vedute nuove e profonde con cui discute l’opera del grande estinto”. Il 30 giugno, dopo la commemorazione (il giorno 2) del 1° centenario della nascita di Garibaldi, quando “la massoneria locale tenne una numerosa adunanza, e relatore applauditissimo fu un professore del Liceo” (CdP, 4 giugno 1907, Molfetta. Per G. Garibaldi), lo stesso prof. Ficorilli commemorò l’Eroe con un discorso tenuto la domenica sera nella Sala del Consiglio comunale di Molfetta “ad iniziativa del Circolo giovanile massonico”, come informa Vesevo (l’ins. Giuseppe Poli) in CdP del 4 luglio 1907. Del discorso, pubblicato anch’esso da Lapi di Città di Castello, vi è una copia in Bibl. com. di Molfetta con la dedica autografa dell’autore “All’Illustre Sig. Preside Giovanni Panunzio. Per ricordo”. Nel 1908 ancora il Ficorilli tenne il 12 marzo, nel Liceo di Molfetta un discorso commemorativo di Edmondo de Amicis “nel giorno trigesimo della sua morte”, che fu pubblicato dalla Tip. dei F.lli Panunzio di Molfetta, la cui copia in Biblioteca comunale reca anch’essa la suddetta dedica autografa. Con la stessa Tip. dei F.lli Panunzio, il Ficorilli pubblicò nel 1908: Due imitazioni di Pietro Giordani nella sua lettera al Maggiordomo: lungo e vario discorso dopo XXXVI giorni di carcere. Di questo opuscolo sullo stilista piacentino (1774 – 1848), che nel 1834 subì una breve prigionìa politica mentre era a Parma, dove poi morì, si trova copia nella Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, con la dedica autografa dell’autore “A Ferdinando Martini”, posta anche sulla copia, ivi esistente, dell’opuscolo deamicisiano, nel quale il Martini viene citato dal Ficorilli tra i “descrittori moderni” (p. 26). Lo stesso Martini, tra l’altro, nel maggio 1907 fu tra i deputati che aderirono alla festa organizzata a Roma in onore di Girolamo Nisio, per i suoi 80 anni compiuti (v. CdP, 19 maggio 1907), per il quale compleanno gli insegnanti elementari e del Liceo di Molfetta inviarono messaggi augurali (v. “Quindici”, novembre 2012, p. 22). *** Su Edmondo de Amicis tenne una conferenza nel 1908, a Bari, anche Mauro Altomare (sul quale v. “Quindici”, novembre 2011, p. 22 – 23), insegnante elementare che in quell’anno (come egli stesso scrive di sé in Biografie illustrate …, Molfetta 1937) pubblicò due articoli su “La Puglia Scolastica”, organo dell’Associazione Magistrale di Bari: La classe dei ripetenti e sua necessità (2 gennaio) e Un nobile atto d’Italianità (27 febbraio). Come collaboratore poi dell’”Avanguardia Magistrale” di Palermo, diretta da Francesco Orestano, pubblicò: Altri Paesi! Altre Civiltà! A Lino Ferriani (4 giugno), il quale (nato a Ferrara 1852) fu Procuratore del Re, sociologo, e dal 1905 alla Cassazione di Roma (v. Garollo, Dizionario cit.); Le riforme scolastiche nel Programma delle Elezioni Amministrative (9 luglio); La mutualità nel concetto dell’obbligo e della previdenza (15 ottobre), dove egli - scrive Vesevo in CdP del 26 gennaio 1910 – “convinto propugnatore della mutualità sia nel rapporto della previdenza, che in quello dell’amore alla scuola, ne svolse i vantaggi”; L’ordinamento storico della scuola primaria (15 novembre) e Il funzionamento pedagogico della scuola primaria (24 dicembre). © Riproduzione riservata di forme iridescenti, ma armonia completa di forma e di contenuto, l’una limpida, schietta, italiana, l’altro amore per il vero, per l’utile, pel grande e sopratutto per l’Italia, per la patria dei grandi e dei prodi. Parla del paganesidi

Autore: Pasquale Minervini
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